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livello elementare.
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: GOLFO PERSICO
parole chiave: Iran
Il contrasto tra sciiti e sunniti, che ha caratterizzato tutta la storia araba praticamente dalle origini dell’Islàm, ma che non aveva dato vita a contrasti militarmente e politicamente rilevanti fra i paesi arabi, è improvvisamente esploso in concomitanza della rivoluzione iraniana del 1979, che ha portato alla ribalta un nuovo attore caratterizzato da una forte vocazione egemonica, immediatamente percepito come grave minaccia per il sistema di potere e il peso regionale delle Monarchie del Golfo, soprattutto di quelle con consistenti popolazioni sciite, come Bahrein e Kuwait. Una frattura, quindi, che non solo ha portato alla separazione dell’Iran dal mondo occidentale (che l’aveva inizialmente ed erroneamente considerata un “male minore” rispetto a una possibile deriva comunista di fronte a un regime monarchico in gravissima crisi) ma anche, in forma virulenta, dal mondo arabo sunnita. Tuttavia, all’origine delle attuali tensioni fra le due componenti del mondo arabo non vi è stato tanto il fattore religioso, quanto quello politico della ricerca della supremazia regionale. Lo scontro tra potenze che si contendevano, e ancora si contendono, la supremazia nella regione non è, quindi, contraddistinto da una guerra di religione ma dalla strumentalizzazione della religione a fini politici.
L’espansione dell’influenza iraniana nella regione mediorientale si è sviluppata principalmente attraverso i partiti e i gruppi armati di riferimento arabo-sciiti in Iraq e in Libano. Tuttavia, ancorché non secondario, l’aspetto terrestre della strategia di ampliamento della propria influenza è oggi superato dall’attivismo marittimo della Repubblica Islamica d’Iran che, in questo spazio cruciale sotto il profilo energetico e geopolitico, va a impattare direttamente sul traffico di risorse energetiche dirette verso il resto del mondo. Un’azione che è, come vedremo più avanti, facilitata dalla presenza di un importante passaggio obbligato per le navi, lo Stretto di Hormuz, porta di ingresso e di uscita del Golfo Persico.
Si tratta di un passaggio di poco meno di 100 miglia nautiche di lunghezza per una larghezza variabile tra le 22 e le 35 miglia. Dato che le acque costiere omanite sono poco profonde, normalmente la navigazione avviene su rotte più vicine alle coste iraniane e ciò rende ancor più facile l’azione destrutturante di Teheran. Vale, quindi, la pena di analizzare la strategia marittima iraniana, in modo da cercare di comprendere quali potrebbero essere le sue possibili implicazioni sugli equilibri geopolitici dell’area nel medio-lungo termine.
I precedenti
Le Forze navali iraniane nascono nel 19321 e costituiscono sia un motivo di fierezza nazionale sia uno strumento per l’affermazione delle ambizioni regionali da parte dello scià Mohammed Reza Pahlavi. La natura elitaria della Marina iraniana è rappresentata al suo interno dalla presenza di numerosi familiari dello scià, in qualità di ufficiali. Una preferenza che si riflette anche sull’assegnazione delle risorse economiche, in particolare durante l’ultimo decennio di regno, che portano all’avvio di importanti programmi di sviluppo navale.
La rivoluzione del 1979, oltre agli evidenti e noti aspetti socio-politici, porterà sostanziali cambiamenti anche nello strumento militare iraniano, in particolare nella Marina imperiale. Per prima cosa, tutti i programmi di sviluppo navale vengono immediatamente sospesi. Per quanto attiene al personale della Marina, la maggior parte degli ufficiali vengono considerati come dei potenziali contro-rivoluzionari da parte del regime clericale e, di conseguenza, alcuni vengono imprigionati o assassinati, altri vengono licenziati o costretti alle dimissioni o all’esilio. Un ripulisti politico-ideologico che causa sia un sensibile indebolimento complessivo dello strumento militare marittimo iraniano sia una cessazione tout-court della cooperazione militare con l’Occidente. Le Forze navali vengono poi ridenominate come Marina della Repubblica Islamica d’Iran.
A ciò si aggiunge il fatto che, all’indomani della presa del potere, l’ayatollah Khomeini ha voluto, per varie ragioni, una dualità delle forze navali nazionali suddividendole tra Marina militare convenzionale, che vede la propria area di competenza nelle acque oltre lo Stretto di Hormuz, e Pasdaran (in persiano significa “coloro che vegliano”, conosciuti anche come “i Guardiani della Rivoluzione islamica”), che hanno il principale teatro operativo nelle acque del Golfo e, in particolare, di Hormuz (ciò spiega le loro continue tensioni con la V flotta USA, basata in Bahrein). Una dualità che si riflette nell’art. 150 della Costituzione iraniana, laddove recita che “…il corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica, organizzato dopo il trionfo della Rivoluzione, deve essere mantenuto in modo che possa operare secondo il suo ruolo e i suoi obiettivi. I suoi compiti e le sue aree di responsabilità, in relazione ai compiti e alle aree di responsabilità delle altre Forze Armate, saranno determinati dalla legge, ponendo l’accento sulla cooperazione fraterna e sull’armonia tra di loro.…”2.
La strategia marittima iraniana
Tenuto conto dei rapporti di forza del momento, la strategia marittima pensata dagli ayatollah prevede una risposta asimmetrica, attuata impiegando tante piccole unità veloci per limitare l’accesso al Golfo martellando e cercando di saturare le difese avversarie. Queste piccole unità possono essere equipaggiate con missili antinave e sono in grado sia di effettuare operazioni di posa di mine navali sia di attaccare “in sciame”, impiegando razzi e armi leggere.
L’obiettivo è quello di creare dei presupposti che rendano molto complicato l’accesso al Golfo, non attraverso l’impiego di navi grandi e potenti ma attraverso la presenza di moltissime piattaforme piccole e veloci (si parla di una cinquantina di unità motomissilistiche da 200 tonnellate circa e di centinaia di piattaforme più piccole armate di mitragliatrici e razzi). Una strategia ipotizzata nel 1874 da Théophile Aube, ammiraglio francese considerato il fondatore della Jeune École3.
Una scelta operativa, quella di avere delle capacità navali complessivamente modeste, che indica come l’Iran post-1979 “… non intenda lottare per la supremazia nelle acque del Golfo, ma impedire quella degli USA, attraverso l’impiego di strumenti a basso costo, allo scopo di limitare la capacità di manovra dell’avversario…” 4. Una strategia ideata sia per contrastare le percepite ambizioni egemoniche statunitensi sia per opporsi ad altri rivali regionali, come l’Arabia Saudita.
Ciò nonostante, l’Iran sta ben attento a non rimanere invischiato in conflitti regionali più ampi, che potrebbero estendere il suo isolamento internazionale, e a non superare la soglia di una provocazione fatale, ben conscio che gli USA dispongono di oltre 30.000 uomini nell’area, senza contare portaerei, missili, bombardieri e gruppi d’assalto anfibi. Lo scorso 1° settembre, per esempio, la fregata iraniana Jamaran (foto) ha recuperato due droni statunitensi e solo l’immediato intervento di due unità USA, che erano nelle vicinanze, hanno convinto l’equipaggio a restituire il materiale.
Per quanto attiene al personale, è indicativo di una certa scelta politica il fatto che la Marina convenzionale conti circa 18.000 uomini (dati del 2021), mentre la componente navale dei Pasdaran ne comprenda più di 20.0005.
Come afferma Clément Therme, ricercatore dell’International Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra, la principale debolezza dello strumento marittimo iraniano è rappresentato dalle sue infrastrutture, la maggior parte delle quali è abbastanza datata. Ciò pone intuibili problemi per la manutenzione delle navi e provoca una carenza di flessibilità delle piattaforme utilizzate dalle forze navali.
Anche sotto il profilo addestrativo/tecnologico le navi e gli equipaggi iraniani non brillano, causando imbarazzo a Teheran. Secondo quanto riportato dalle agenzie, il 10 maggio 2020, durante un’esercitazione “a caldo”, sempre il Jamaran ha lanciato un missile “Noor” (missile da crociera antinave a lungo raggio prodotto dall’Iran) che ha agganciato, colpito e affondato la nave appoggio Konarak (foto seguente) invece che il bersaglio trainato, causando 19 morti e 15 feriti. E questo non è stato il primo né il più grave errore compiuto dalle navi dei Pasdaran.
Un altro aspetto della strategia marittima iraniana è quello relativo al tentativo di rompere l’isolamento politico e militare seguito alla rivoluzione. In tale ambito Teheran ha avviato una serie di iniziative di cooperazione (militare) principalmente con Mosca e Pechino. La collaborazione globale con la Cina siglata nel marzo 2021, in particolare, ha lo scopo di incoraggiare l’effettuazione di esercitazioni militari e navali congiunte. Non è una cosa nuova, ma la formalizzazione di ciò che è stato fatto da Iran e Cina negli ultimi dieci anni, avendo effettuato insieme alcune esercitazioni navali, come nel settembre 2014, nel giugno 2017, nel dicembre 2019 e nel gennaio 2022. Le ultime due hanno visto anche la partecipazione della Russia (leggi articolo “Hong Kong, Pechino e il Mar Cinese Meridionale“).
Dato che la Cina nutre delle ambizioni marittime globali e tenuto conto che é il principale importatore di petrolio dalla zona, é molto probabile che Pechino riesca nel breve/medio termine a stabilire un importante punto di appoggio navale sulle coste iraniane del Golfo, in particolare facendo leva sull’intenzione dei due paesi di intensificare la frequenza delle esercitazioni navali congiunte. Pechino avrebbe così accesso permanente a uno spazio strategico sul quale transita il 30% del traffico marittimo di idrocarburi.
Pare, infatti, che siano stati già avviati dei negoziati informali per ottenere l’accesso per 25 anni all’isola iraniana di Kish. Notizia che sarebbe stata smentita dagli organi ufficiali iraniani ma che a Teheran continua a rimbalzare tra le pareti delle stanze dove si decide, mostrando se non altro l’interesse di taluni a mettere sul tavolo l’ipotesi di un tale accordo. Sta di fatto che l’elezione del presidente Ibrahim Raisi nell’agosto 2021 ha reso più concreta una tale eventualità, giacché la sua strategia è basata su un ulteriore avvicinamento tra Teheran e Pechino. Tutto ciò si inserisce in un quadro geopolitico ancora abbastanza teso.
Fine parte I – continua
Renato Scarfi
Articolo pubblicato originariamente su DIFESAONLINE
Note
1 Chelsi Mueller, The origins of the Arab-Iranian conflict: Nationalism and Sovereignty in the Gulf between the World Wars, Cambridge University Press, 2020
2 Testo integrale in inglese sul sito dell’Iran Chamber Society, The Constitution of Islamic Republic of Iran
3 Renato Scarfi, Aspetti marittimi della Prima Guerra Mondiale, Ed. Ponte di Mezzo, 2018
4 Jean-Lup Samaan, Rivalités irano-saouidiennes: la dimension maritime, Moyen-Orient, 2018
5 International Institute for Strategic Studies (IISS), The Military Balance 2022
Foto: IRNA / Tasnim News Agency / web
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è un ufficiale pilota della Marina Militare in congedo. Ha frequentato il corso Normale dell’Accademia Navale e le scuole di volo della Marina Statunitense dove ha conseguito i brevetti di pilotaggio d’areo e d’elicottero. Ha ricoperto incarichi presso lo Stato Maggiore della Difesa, il Comando Operativo Interforze, lo Stato Maggiore della Marina, la Rappresentanza militare italiana presso la NATO a Bruxelles, dove si è occupato di strategia marittima e di terrorismo e, infine, al Gabinetto del Ministro della Difesa, come Capo sezione relazioni internazionali dell’ufficio del Consigliere diplomatico. E’ stato collaboratore della Rivista Marittima e della Rivista informazioni della Difesa, con articoli di politica internazionale e sul mondo arabo-islamico. È laureato in scienze marittime e navali presso l’Università di Pisa e in scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Trieste e ha un Master in antiterrorismo internazionale. È autore dei saggi “Aspetti marittimi della Prima Guerra Mondiale” e “Il terrorismo jihadista”.
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