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La presenza militare navale russa in Sudan

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO 
AREA: AFRICA
parole chiave: Russia, Sudan, Mar Rosso, Oceano Indiano, SLOC

 

Abbiamo parlato in articoli precedenti della penetrazione cinese in Africa. Poco si parla di quella russa che in questi ultimi anni si è estesa dai Paesi costieri del Mediterraneo (in Siria con la base di Tartous) fino al Sudan.

La scelta del Sudan, vecchio partner della Russia sin dall’epoca sovietica, incominciò a prendere forma dopo il 2014 quando la richiesta di creare una base navale russa a Gibuti fu respinta in risposta alle pressioni statunitensi.

Sudan-Russia: una lunga storia
Nel maggio 2019, fu delineato un nuovo accordo russo-sudanese di cooperazione militare inerente la costruzione di una base navale russa a Port Sudan di natura “difensiva” e mirata a “mantenere la pace e la stabilità nella regione“. Tra novembre e dicembre 2020, sono stati parzialmente ratificati fra i due Paesi una serie di documenti che consentirebbero alla marina russa non solo di accedere al porto sudanese di Port Sudan ma di crearvi un punto di approvvigionamento logistico che comprende lo sviluppo delle infrastrutture necessarie per la manutenzione delle navi e per il supporto degli equipaggi delle navi.

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Vladimir Putin e Omar_al-Bashir a colloquio nel 2017 da Russia-Sudan talks • President of Russia (kremlin.ru)

Questo accordo, sottolineo ancora non del tutto ratificato dal Parlamento sudanese, comprende alcuni punti interessanti che comprendono una suddivisione delle competenze tra i due Stati.

In estrema sintesi, secondo l’Accordo, qualora completamente ratificato:
– Il Sudan mantiene uguali diritti di utilizzare le strutture di attracco ma solo se le autorità russe sono d’accordo.
– Il territorio della base di supporto comprende sia la zona costiera sia quella prospiciente a mare.
– A livello tattico, il capo della base di rifornimento russo ed il comandante sudanese della base navale di Port Sudan sono autorizzati, dai rispettivi ministeri della difesa, ad affrontare direttamente questioni legate all’uso della struttura.
– La protezione terrestre (ovvero dal lato terrestre) è di responsabilità delle forze di sicurezza sudanesi mentre quella lato mare ed aerea è assegnata alle forze armate russe.
– Le Forze russe sono autorizzate a svolgere ogni tipo di attività ritenuta necessaria per il funzionamento, supporto e protezione delle loro navi da guerra, compreso il dragaggio e l’allestimento di ormeggi galleggianti.
– Modifiche alle strutture a terra possono essere modificate, ricostruite o demolite solo se la parte sudanese sarà d’accordo.
– Il Sudan potrà richiedere assistenza per attività congiunte (ma anche solo a carico della marina russa) di ricerca e salvataggio, difesa contro incursioni dal mare, difesa aerea e trasporto di armi alle rispettive parti.

Forse, il punto più intrigante è una clausola secondo cui le navi da guerra russe a propulsione nucleare potrebbero accedere al PMTO-Sudan.

Considerando che tale opportunità non è comune (la sosta di unità nucleari non è garantita in ogni porto) e che la marina russa ha nel suo arsenale due tipi di piattaforme da combattimento a propulsione nucleare (gli incrociatori da battaglia classe Uskakov da 24.000 tonnellate ex classe Kirov ed una varietà di sottomarini multiruolo a propulsione nucleare), una simile possibilità potrebbe consentire un valore aggiunto non trascurabile per la marina russa sia per le operazioni nell’Oceano Indiano che nel Mediterraneo.

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SEVEROMORSK, Russia (April 15, 2011) Chief of Naval Operations (CNO) Adm. Gary Roughead tours the Russian Northern Fleet with Vice Adm. Andrey Olgertovich Volozhinsky, acting commander of the Russian Northern Fleet in Severomorsk, Russia. (U.S. Navy photo by Chief Mass Communication Specialist Tiffini Jones Vanderwyst/Released) – File:Admiral Ushakov destroyer in Severomorsk, April 2011.jpg – Wikimedia Commons

La durata dell’eventuale accordo sarebbe di venticinque anni, con rinnovo automatico ogni decennio successivo, se nessuno dei due Paesi si opporrà.

Rapporti Russia- Sudan
Va sottolineato che i rapporti tra i due Paesi sono già molto stretti. La Russia esporta in Sudan oltre l’80% delle armi acquistate dal poverissimo Paese africano (l’8% è fornito dalla Cina). Inoltre, il Gruppo Wagner, già presente in Libia, è in Sudan dal 2018, secondo il RUSI, ufficialmente incaricato di sorvegliare le miniere d’oro sudanesi gestite dal M-Invest, una società collegata a Wagner,
proprietario del gruppo Yevgeny Prigozhin.

Inutile dire che l’accordo ha immediatamente attirato l’attenzione dei media e … l’irritazione del mondo occidentale, in quanto non sono chiare le ragioni delle intenzioni di Mosca nell’area. Dopo la perdita della base nelle Dahlak, al termine della guerra tra Etiopia e Eritrea, questa nuova struttura militare russa in Mar Rosso rappresenterebbe la logica conseguenza del recente coinvolgimento navale di Mosca sulle coste dell’Africa orientale e nell’Oceano Indiano occidentale, dimostrando il rinascente interesse della Russia nella regione. Negli ultimi due decenni, la marina russa ha effettuato, a dimostrazione della sua politica di impegno nella regione africana orientale, visite ai possibili partner nella regione. Inoltre, è da tempo impegnata in attività in mare a contrasto della pirateria nel Corno d’Africa. L’uso di una base navale in Sudan consentirebbe un supporto locale alle navi russe, risolvendo il non indifferente problema logistico. Per completezza, le attività della marina russa ha compreso l’esplorazione di nuove risorse energetiche marine nell’area, il proseguo della cooperazione militare e industriale nell’ambito dell’industria della difesa nell’indo-pacifico, e l’esportazione di armi e tecnologia nucleare non militare negli stati costieri dell’Oceano Indiano. 

Una politica, quella della presenza russa in mar Rosso, comprensibile in considerazione del sempre maggiore interesse per le rotte dell’Indo Pacifico, propedeutico ad arginare, in maniera deterrente, tentativi esclusivi di controllo delle rotte marittime verso e dall’Africa dal Golfo Persico e dai mari orientali lungo la via della seta. 

Oltre la presenza c’è di più?
Ci possiamo domandare se il dislocamento di unità russe nel mar Rosso, con una presenza sempre più attiva nell’Oceano Indiano occidentale, e l’acquisizione di una base navale in Sudan possa riflettere un’ambizione di controllo marittimo da parte di Putin in quella regione del mondo. Dalle ultime dimostrazioni di impiego navale in mar Nero, risulta difficile appoggiare questa teoria in quanto l’efficenza e presenza delle navi sembrerebbe lontana da quella dell‘8° Squadrone operativo della flotta sovietica del Pacifico. 

Un piccolo passo indietro
La flotta russa del Pacifico, Tikhookeanskiy flot, iniziò a schierare forze nell’Oceano Indiano, creando l’8° Squadrone Operativo (Oceano Indiano) nel 1968 ovvero a seguito della dichiarazione del ritiro delle forze militari britanniche (entro il 1971). I compiti assegnati furono principalmente il bilanciamento a fronte della Marina degli Stati Uniti e l’attività di presenza con un ruolo di promozione della politica estera sovietica. L’8° squadrone operativo, nel 1980, arrivò ad una consistenza di “una decina di incrociatori missilistici, cacciatorpediniere e fregate e più di una dozzina di navi di supporto” in contrapposizione alla Task Force 70 (TF 70) della Marina statunitense nella regione. Inoltre, erano stati ridislocati aerei da ricognizione sovietici Ilyushin Il-38, con base ad Aden ed in Etiopia. Al termine della guerra fredda, la sua consistenza diminuì drammaticamente. Negli anni ’90 e 2000, di fatto la flotta del Pacifico perse molte delle sue unità più grandi tra cui tutte le portaerei; alla fine degli anni 2010, la flotta era composta da un incrociatore missilistico, cinque cacciatorpediniere, dieci sottomarini nucleari, otto sottomarini diesel-elettrici più numerose unità leggere, navi anfibie e ausiliari. L’attenzione verso l’Indiano diminuì ma le cose potrebbero cambiare.

Un aumento della presenza russa in mar Rosso potrebbe avere un impiego esclusivamente politico in quanto queste forze non sarebbero comunque in grado di sostenere obiettivi operativi di lungo termine, in particolar modo in un conflitto ad alta intensità, ma solo operazioni, come quelle attuali, legate a compiti constabulary (antipirateria). Si potrebbe anche ipotizzare il supporto ad obiettivi politici, attori governativi e non governativi nella regione; missioni per lo più in sostegno ad operazioni terrestri, vista la presenza “non ufficiale” dei Wagner sul territorio.

Secondo Africa express il Sudan è un Paese ancora in gran parte inesplorato in cui le risorse minerarie, in primis l’oro, vengono gestiti in maniera spesso illegale. Secondo un’inchiesta del The Telegraph, la Russia avrebbe contrabbandato centinaia di tonnellate di oro dal Sudan negli ultimi anni, quadruplicando dal 2010 la quantità di oro detenuto nella sua Banca centrale, attraverso importazioni dall’estero e la produzione delle sue vaste miniere d’oro interne. Secondo l’ONG Global Witness, il Sudan esporta ogni anno 16 miliardi di dollari d’oro negli Emirati Arabi e i Russi hanno ottenuto molte licenze senza subire i dovuti controlli sulle compagnie russe, alcune delle quali senza esperienza nel settore. Oro che fluisce nelle casse di Mosca, lasciando il Sudan sempre più povero.

In sintesi, il continente nero continua ad essere una polveriera in cui il cerino è in mano ai nuovi colonialisti che, nonostante le diverse origini, si rassomigliano per il loro comportamento. 

Andrea Mucedola

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in anteprima la fregata russa RFS Admiral Grigorovich entra a Porto Sudanfebbraio 2021 – Photo Ruptly

 

 

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