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livello elementare
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ARGOMENTO: BIOLOGIA MARINA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
Parole chiave: bioluminescenza batterica, telerilevamento satellitare, ecologia microbica, quorum sensing, biologia marina
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Nel corso dei secoli, i marinai hanno riferito di aver assistito a eventi notturni surreali in cui la superficie del mare produceva un bagliore intenso, uniforme e prolungato che si estendeva fino all’orizzonte in tutte le direzioni. Il mare di latte, chiamato anche milky sea o mareel, è un fenomeno luminoso in cui ampie aree di mare (fino a 6.000 miglia quadrate) sembrano brillare di notte in varie tonalità di blu. Il fenomeno è tanto forte che può essere osservato dai satelliti in orbita attorno alla Terra.
Tra le tante teorie si ipotizza che i “mari di latte” siano fenomeni di bioluminescenza insolitamente forti, che possono essere prodotti anche da colonie di batteri in associazione con una fioritura microalgale nelle acque superficiali.
Bioluminescenza in mare
Il mareel è tipicamente causato da un dinoflagellato, la Noctiluca scintillans (noto come “scintilla di mare”, che emette bioluminescenza quando viene disturbato.
Noctiluca scintillans, dinoflagellati che emettono luce – autore Maria Antónia Sampayo, Instituto de Oceanografia, Faculdade Ciências da Universidade de LisboaNoctiluca scintillans varias.jpg – Wikimedia Commons
Tra il 1915 e il 1993 sono stati documentati ben 235 avvistamenti di questo fenomeno, per la maggior parte nell’Oceano Indiano nordoccidentale e vicino all’Indonesia. Il bagliore luminescente appare concentrato sulla superficie dell’oceano e non si mescola uniformemente in tutta la colonna d’acqua.
Vibrio aquamarinus (harveyi ?) sp. nov. – Sea luminous bacteria – Autore Лавров Константин Валерьевич Lucifer IMG 2481-1.JPG – Wikimedia Commons
Nel 1985, durante uno di questi questi fenomeni, una nave da ricerca nel Mar Arabico prelevò dei campioni d’acqua di mare e i biologi ritennero che l’effetto fosse causato dal batterio Vibrio harveyi che viveva in associazione con colonie della microalga Phaerocystis. Nel 2005, Steven Miller, del Naval Research Laboratory di Monterey, California, fu in grado di abbinare le immagini satellitari del 1995 ad un resoconto di una nave mercantile. Il Programma satellitare meteorologico della Difesa degli Stati Uniti valutò che l’area lattiginosa fosse di circa 6000 miglia quadrate e brillò per tre notti consecutive. Mentre le foto monocromatiche facevano apparire questo effetto di color bianco, Steven Haddock, del Monterey Bay Aquarium Research Institute, sostenne che la luce prodotta dai batteri fosse in realtà di color blu, e apparisse bianca all’occhio perché i nostri bastoncelli (usati per la visione notturna) non possono discriminare il colore.
Nel luglio 2015, il fenomeno si verificò nuovamente ed il National Institute of Oceanography and Kerala Fisheries Department confermò che quelle onde brillanti sulla superficie del mare erano causate da dinoflagellati, alghe microscopiche per lo più unicellulari e flagellate che rappresentano uno dei più importanti gruppi del fitoplancton sia marino che d’acqua dolce con oltre 2000 specie viventi. Nel caso specifico si trattava di Noctiluca scintillans. Questo fenomeno è stato osservato anche nelle Shetland e in altre aree costiere del mondo, e descritto di color verde piuttosto che il tradizionale colore lattiginoso blu o bianco visto nel resto del mondo. Non è ancor noto se questa differenza dipenda dall’area o semplicemente dalla percezione diversa di quel colore cianico tendente al verde.
Perchè si verificano?
La spiegazione biologica della natura dei mari lattiginosi è ancora discussa dalla comunità scientifica anche a causa della loro natura effimera e della scarsità di osservazioni scientifiche raccolte in situ. Una cosa interessante è che più del 70% dei mari di latte sono stati osservati nell’Oceano Indiano nord occidentale, più comunemente durante il monsone sud-ovest estivo, con un altro ammasso più piccolo (≈17%) nelle acque vicino a Giava, in Indonesia. Questo dato è però discutibile in quanto gli avvistamenti sono stati casuali e spesso avvenuti lungo le rotte commerciali e non è noto quanto questo fenomeno si verifichi in altre zone del mondo meno frequentate dal traffico marittimo. Come premesso, gli scienziati ritengono che gli organismi responsabili di questi fenomeni luminosi siano principalmente dinoflagellati e batteri. I primi emettono brevi lampi luminosi (minori di un secondo) in risposta a disturbi meccanici e sono noti per essere i principali responsabili della bioluminescenza osservabile nelle onde che si infrangono su una spiaggia o nella scia di una nave. Nel caso dei batteri è noto che in laboratorio, in condizioni particolari, emettono invece un bagliore continuo anche se relativamente debole (per cellula) che può persistere per molti giorni. La scoperta del vibrione nel golfo arabico ne fa dei candidati ideali per giustificare questo fenomeno.
Bioluminescenza nel porto turistico di Zeebrugge, Belgio – credit Hans Hillewaert – Noctiluca scintillans.jpg – Wikimedia Commons
Ciò nonostante l’ipotesi che siano i batteri a causare i mari lattiginosi in alto mare è ancora da dimostrare. Il problema è legato al quorum sensing (sensibilità e controllo del livello), un sistema di intercomunicazione utlizzato dai batteri basato sul controllo della loro densità di popolazione per monitorare le condizioni dell’ambiente in cui si trovano e scambiarsi informazioni utili per la sopravvivenza tramite molecole segnale. Queste prendono il nome di autoinduttori e, a concentrazioni elevate, innescano delle reazioni “cellula-cellula” che consentono ai batteri di comunicare fra di loro, nel caso specifico, attraverso dei segnali luminosi.
Da studi di laboratorio è emerso che, perchè ciò avvenga, è necessario avere un’alta concentrazione di enzimi ossidativi (luciferasi), ovvero si ha bisogno di una densità cellulare piuttosto alta, ≈108 cellule · ml-1 (d’altronde che senso avrebbe farlo se si è isolati?). Questo comporta che i batteri planctonici oceanici non potrebbero emettere luce a meno di crescere ed aggregarsi su un substrato solido (come quello algale). In quel caso l’induzione potrebbe avvenire in colonie molto piccole, aumentando il quorum sensing localmente. Una ipotesi potrebbe essere legata all’associazione simbiotica di questi batteri luminosi con le colonie di Phaerocystis osservata nel mar Arabico.
Un aiuto dallo spazio
Secondo uno studio del 2005, Detection of a bioluminescent milky sea from space la difficoltà oggettiva di raccogliere osservazioni dirette di questi fenomeni negli oceani del mondo potrebbe essere risolta attraverso il telerilevamento satellitare. Lo studio, svolto su un’area di ≈15.400 km quadrati dell’Oceano Indiano nordoccidentale, dimostra che questa tecnica di osservazione è possibile. In estrema sintesi, secondo gli autori, il telerilevamento satellitare può rappresentare l’unico mezzo effettivamente utilizzabile per analizzare questi fenomeni di bioluminescenza marina in alto mare. Attraverso tecniche satellitari diurne si potrebbero valutare le aree di presenza di fitoplancton di maggiore priorità per la ricerca, confermando poi con i sensori notturni la presenza di eventi attivi di milky sea. Questo consentirebbe inoltre di coordinare meglio gli sforzi in situ da parte delle navi di ricerca.
In sintesi, la combinazione di osservazioni satellitari e dei dati raccolti in mare potrebbe aiutarci a comprendere meglio il ruolo, il comportamento e le implicazioni ambientali di questi fenomeni, facendo luce su un mistero di lunga data della tradizione marittima.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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