livello elementare
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ARGOMENTO: BIOLOGIA E ECOLOGIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: specie aliene, invasioni
Il fenomeno dell’introduzione di specie aliene è particolarmente grave in tutto il bacino mediterraneo, anche se … non tutte le specie considerate “esotiche” sono realmente introdotte.
l’invasione di specie aliene è già iniziata … quali saranno le conseguenze a lungo termine sugli ecosistemi mediterranei? – photo credit andrea mucedola
Gli animali e i vegetali tendono ad espandere il proprio areale e, nella maggior parte dei casi, un organismo compare in una certa zona solo in seguito ad una dinamica naturale. Una specie si definisce, invece, introdotta se la sua apparizione in una regione risulta direttamente o indirettamente legata alle attività umane. Il fenomeno delle introduzioni, sia in ambiente marino che terrestre, ha avuto origine con l’uomo stesso. Di fatto, da quando l’uomo ha cominciato a spostarsi, è divenuto un agente volontario o involontario d’introduzione di specie, come testimonia l’origine esotica di un gran numero delle nostre piante coltivate. Lento e fortemente aleatorio per millenni, questo fenomeno s’è bruscamente accelerato alla fine del XIX° secolo con l’avvento della società industriale. La possibilità di migrazione degli organismi è incrementata sia attraverso modificazioni geografiche, che hanno messo in connessione ambienti fino ad allora isolati, sia attraverso i mezzi di trasporto come imbarcazioni ed aerei.
In Mediterraneo, le prime introduzioni spettacolari si sono verificate agli inizi del XX° secolo. L’apertura del Canale di Suez rappresenta un importante vettore di introduzione di specie tropicali. In un primo momento le acque estremamente salate dei laghi amari, che si trovano lungo il percorso del canale, hanno rappresentato una barriera per molti organismi, ma, gradatamente, i laghi hanno diluito le loro acque, equiparandosi alla concentrazione salina dei mari. Venuta a mancare tale barriera, molti organismi hanno cominciato a transitare dal Mar Rosso verso il Mediterraneo, stabilizzandosi soprattutto nel bacino orientale, ma cominciando a spingersi anche verso occidente.
Caulerpa racemosa nei fondali dell’Argentario – photo credit andrea mucedola
Altri vettori di introduzione sono rappresentati dal traffico marittimo, dall’acquacoltura e dall’acquariologia. Gli organismi possono essere trasportati sia attaccati alla chiglia delle imbarcazioni sia nelle acque di zavorra, che vengono scaricate una volta che la nave è arrivata a destinazione. Molte specie esotiche, soprattutto molluschi, sono state importate volontariamente per scopi di allevamento e molte altre sono state introdotte accidentalmente insieme alle specie importate, così come è accaduto, a partire dagli anni ’60, in seguito all’utilizzo di ostriche giapponesi in molti allevamenti mediterranei. Infine, alcuni organismi esotici sono apparsi nei nostri mari perché rilasciati in modo volontario o accidentale da acquari.
Le Caulerpe sono alghe verdi dotate di una parte stolonifera strisciante, che permette loro di accrescersi velocemente e di colonizzare qualunque substrato, compresi gli atri organismi bentonici. Gli stoloni sono ancorati al fondo tramite rizoidi che, a differenza che nella maggior parte delle altre alghe, hanno la capacità di assorbire sostanze nutritive dai sedimenti, con un meccanismo simile a quello delle radici delle piante superiori. Dalla parte superiore degli stoloni si innalzano verticalmente le fronde la cui forma è caratteristica peculiare di ciascuna specie. In Mediterraneo esistono alcune specie native, ma la più diffusa è la specie invasiva Caulerpa racemosa, originaria dell’Australia meridionale e introdotta in Mediterraneo agli inizi degli anni ’90 attraverso il traffico marittimo o l’acquariologia, essendo una specie ampiamente utilizzata negli acquari di tutto il mondo. La Caulerpa racemosa può accrescersi indifferentemente sia sulle scogliere rocciose che sui fondali sabbiosi fin oltre i 70 metri di profondità. Nelle aree colonizzate, riesce a coprire completamente la maggior parte degli organismi sessili animali e vegetali, costituendo con gli stoloni un reticolo verde impenetrabile che, una volta stratificatosi, può portare alla morte degli organismi sottostanti. La stagionalità dell’alga, che si accresce nei mesi caldi, permette ai popolamenti mediterranei di non scomparire completamente e di continuare a svilupparsi, specialmente in primavera; ma a fine estate, i fondali sono nuovamente invasi. Il perdurare dell’invasione può portare alla scomparsa di molte specie native e ad una diminuzione della biodiversità. |
La maggior parte delle specie introdotte muore appena liberata nel nuovo ambiente, ma una piccola parte riesce a sopravvivere e ad insediarsi e, tra queste, fortunatamente solo poche possono dar vita a vere e proprie invasioni. Una specie introdotta può divenire invasiva perché manca di competitori e nemici naturali, trova una nicchia ecologica libera oppure presenta caratteristiche di accrescimento e competitività più forti delle popolazioni di origine poiché deriva da pochi individui selezionati. È stato calcolato che meno della centesima parte delle specie introdotte diviene infestante. Una percentuale che sembra insignificante, ma sufficiente per dare vita a spettacolari invasioni con gravi ripercussioni sull’ambiente e sulle attività umane.
Le conseguenze di un’invasione biologica sono soprattutto ecologiche, in quanto lo sviluppo di una specie alloctona può comportare la scomparsa delle specie native, quindi una diminuzione della biodiversità e della produzione e lo sconvolgimento delle reti trofiche. Inoltre, in molti casi si manifestano anche delle conseguenze sulle attività economiche di una regione. La pesca può venire danneggiata se il proliferare di una specie esotica, magari non commestibile per l’uomo e per altri animali, allontana le specie normalmente sfruttate, rendendo una zona improduttiva.
Caulerpa taxifolia, l’alga killer. Le alghe sono vegetali marini provvisti di clorofilla con un corpo complesso in cui non si distinguono fusto, radici e foglie fiori e frutti. In caso contrario si definiscono piante (tipico esempio mediterraneo è la Posidonia oceanica) – photo credit www.biologiamarina.org
In alcuni casi, l’attività di pesca è stata danneggiata anche dal proliferare di alghe invasive che, crescendo sulle reti, le rendevano inutilizzabili. Anche il turismo può essere danneggiato dallo sviluppo di una specie invasiva se questa elimina la biodiversità che caratterizza i fondali maggiormente apprezzati dai subacquei. Molti sono gli organismi alloctoni segnalati in Mediterraneo, sia tra gli invertebrati che tra i pesci. Le invasioni più preoccupanti sono però legate alle macro alghe, soprattutto forme filamentose e specie del genere Caulerpa. Caulerpa taxifolia, denominata dai mass media “alga killer”, è presente per fortuna solamente in aree circoscritte del Mediterraneo, mentre la “cugina” Caulerpa racemosa ha ormai colonizzato quasi tutte le zone costiere del bacino.
Altre specie invasive, meno appariscenti ma ugualmente dannose, sono le alghe rosse filamentose Acrothamnion preissii e Womersleyella setacea; queste specie costituiscono densi feltri un po’ ovunque nel Mediterraneo occidentale. Recentemente è apparsa nelle acque dell’Isola di Pianosa un’altra alga rossa filamentosa particolarmente invasiva, la Lophocladia lallemandii, capace nei periodi di massimo sviluppo vegetativo di ricoprire completamente le altre specie bentoniche. Oltre alle macroalghe, molte sono anche le alghe microscopiche unicellulari che vengono facilmente introdotte in Mediterraneo attraverso le acque di zavorra delle navi.
Ostreopsis ovata, un dinoflagellato tropicale responsabile di morie di animali bentonici e intossicazioni anche a carico degli umani da www.livorno24.com
Tra queste, tristemente famosa è l’Ostreopsis ovata, un dinoflagellato tropicale che forma delle pellicole marroni-rossastre sugli scogli e sulle macroalghe e che può essere responsabile di morie di invertebrati bentonici e di fenomeni di intossicazione anche per i bagnanti. A partire dal 1998 si sono registrate diverse fioriture dell’alga in Toscana e in Sardegna, in particolare dove sono state realizzate barriere artificiali antierosione. Per prevenire situazioni di emergenza, le Regioni attraverso le loro agenzie per l’ambiente (ARPA) hanno inserito nei loro piani di monitoraggio anche il controllo della presenza e sviluppo di popolamenti di Ostreopsis ovata.
Luigi Piazzi
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è biologo ricercatore presso l’Università degli Studi di Sassari (UNISS) – Dipartimento di Scienze della Natura e del Territorio. E’ docente presso l’International School of Scientific Diving di tecniche per la ricerca subacquea.