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Scoperti esemplari di rare meduse fantasma nei gelidi abissi dell’Antartide

tempo di lettura: 7 minuti

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ARGOMENTO: BIOLOGIA MARINA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO ANTARTICO
parole chiave: medusa fantasma,

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Durante l’ultima stagione turistica, tra ottobre 2022 e gennaio 2023, nel corso di una serie di immersioni con uno dei minisommergibili della Vikings Octantis, alcuni fortunati turisti, imbarcati sulla nave appartenente alla flotta delle Viking Expeditions, al largo della costa di Rongé Island, Antartide, hanno osservato e fotografato, in tre eventi separati, sette esemplari di meduse fantasma (Stygiomedusa gigantea). L’osservazione intorno agli 80 metri di profondità è stata una fortunata circostanza per questi occasionali scienziati della Viking Octantis che, a bordo di uno dei due minisommergibili si sono trovati improvvisamente davanti questi straordinari giganteschi animali marini.  

La cosa curiosa è che gli eventi non si sono verificati a bordo di una mezzo navale per la ricerca oceanografica ma su una lussuosa nave passeggeri che offre la possibilità di unire al piacere delle crociere la partecipazione a spedizioni scientifiche, unendosi ad un nutrito numero di specialisti e ricercatori. A bordo sono disponibili diversi battelli di superficie, che possono essere rilasciati in mare per poter esplorare le acque meno profonde, e due minisommergibili chiamati, sulla Viking Octantis, George e Ringo (ovviamente sull’altra nave della flotta, la Viking Polaris, si chiamano John  e Paul, sempre in onore dei celeberrimi Beatles che resero famosa la canzone Yellow submarine). Ma torniamo a quei fortunati eventi. Al loro ritorno in superficie, i fortunati turisti hanno mostrato le immagini scattate a Daniel M. Moore, un biologo marino dell’Università di Exeter nel Regno Unito, che fa parte dello staff scientifico imbarcato sulla Octantis. Moore, con una certa emozione li ha informati che avevano visto “qualcosa di incredibilmente raro”, delle meduse giganti che normalmente vivono a grandi profondità e che, in 110 anni di osservazioni (1899-2009), erano state avvistate solo 118 volte per un totale di 118 individui.

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avvistamenti delle meduse Stygiomedusa gigantea, da Moore (opera citata nei riferimenti); in rosso l’ultimo avvistamento effettuato dai turisti della Viking Expeditions.

Storicamente, il primo avvistamento risale al 1901 in Antartide quando fu riportata la cattura di una ‘grande medusa’ del peso di ’90 libbre’ (circa 45 kg), con braccia o estremità lunghe circa 11 metri. Gli ultimi avvistamenti in Antartide seguono quello avvenuti nel Golfo del Messico dal Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI) e da un mezzo subacqueo ROV (Remotely Operated Vehicle) nell’ambito del programma SERPENT della Louisiana State University, in cui quattro grandi meduse giganti furono filmate mentre nuotavano nel loro ambiente naturale.

Ma non sono tutte rare
Alcune meduse giganti sono relativamente comuni. La grande medusa Nomura (Nemopilema nomurai) è endemica nel mar Giallo e del mar Cinese Orientale, dove è stata identificata per la prima volta negli anni venti. Il tocco dei suoi tentacoli, che possono raggiungere i 30 metri di lunghezza, non è piacevole e lascia dei segni sulla pelle dei malcapitati, causando vari sintomi, come gonfiore e dolore, e, in dosi elevate, anche la morte. Recentemente, cioè dall’anno 2002, una loro abbondante popolazione si è spinta nel mar del Giappone, a causa delle forti piogge e dei cambiamenti climatici, che hanno aumentato le temperature dei mari, l’ambiente marino nipponico è diventato più adatto alla riproduzione per questa specie al punto che i pescatori trovano spesso le loro reti appesantite dalla pesca accidentale di questi animali che possono arrivare ad oltre 200 kg di peso. 

Un’altra grande medusa, la Criniera di leone (Cyanea capillata) può vantare il record di essere la più grande del mondo e risulta abbondante anche nel Mare del Nord, dell’Artico e del nord Pacifico e Atlantico. 

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Cyanea capillata, medusa criniera di leone, la più grande specie conosciuta di meduse. Può raggiungere oltre 2 metri di diametro con tentacoli lunghi circa 30 metri, contenenti milioni di nematocisti (cellule pungenti). La medusa può essere incontrata dalle acque artiche alle coste degli Stati Uniti e del Messico. In particolare, questo bellissimo esemplare è stato fotografato nell’Oceano Pacifico occidentale, nel Mare di Okhotsk – Autore W.Carter
Lion’s mane jellyfish in Gullmarn fjord at Sämstad 8.jpg – Wikimedia Commons

Ma la Stygiomedusa è diversa
Le meduse avvistate in Antartide vivono nelle zone mesopelagiche o batipelagiche, cioè nella fascia tra gli 800 ed i 2000 metri di profondità. Questo comporta che per poterle osservare e studiare bisogna necessariamente immergersi in profondità (anche perché se fosse portata forzatamente in superficie con una rete di campionamento se ne causerebbe la morte). Fermo restando che il loro incontro sia comunque da considerarsi fortuito, in quanto la loro densità è considerata molto bassa, il modo più semplice per poterle osservare è impiegare dei ROV o un batiscafo da ricerca.

Un animale biologicamente curioso
Le meduse sono presenti nelle acque del nostro pianeta da circa 650 milioni di anni e si sono adattate a vivere in diversi habitat, dai mari profondi alle acque dolci. In particolare, la Stygiomedusa è endemica negli abissi, in condizioni di assoluta oscurità e in prossimità di aree con presenze importanti di zooplancton, come gli upwelling e le fumarole nere. Data la scarsità di osservazioni, si ipotizza che si nutra di pesci, copepodi e gamberetti come la maggior parte delle meduse. Purtroppo, l’impossibilità di portarne in superficie esemplari in buone condizioni (praticamente si distruggono a causa delle differenze di pressione) restringe le possibilità dei biologi marini per poterle studiare in vita.  Dai resti di quelle catturate nelle reti di raccolta e dalle immagini, sembrerebbe che nella loro evoluzione questi animali marini abbiano perso una parte dei loro tentacoli, in particolare quelli marginali posti al bordo dell’ombrello, che di solito sono quelli urticanti. Questo è confermato dal fatto che i tentacoli esaminati non sono urticanti (a differenza di quelli delle altre meduse giganti che abbiamo citato). Dal grande ombrello, che può arrivare a 140 cm di diametro, si estendono quattro lunghi tentacoli che possono raggiungere i cinque metri di lunghezza (in un caso di circa dieci metri).

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Immagini di individui di Stygiomedusa gigantea incontrati nelle acque al largo della Penisola Antartica a (a) Georges Point, Rongé Island, a 87 m, (b) Fournier Bay, Anvers Island, a 280 me (c) e (d) Paradise Harbor, nei pressi della base antartica argentina Brown Station a 87 m. L’individuo mostrato in (c) aveva un curioso nodo nella sua appendice alimentare, mostrato più dettagliatamente in (d). (Foto: [a] Antony Gilbert, [b] Mark Niesink e [c] e [d] Gregory Gibbons.) da studio di Moore View of Personal submersibles offer novel ecological research access to Antarctic waters: an example, with observations of the rarely encountered scyphozoan Stygiomedusa gigantea (polarresearch.net)

I quattro tentacoli buccali, appiattiti, sottili e canalicolati al centro, sono “appiccicosi” per potersi meglio avvinghiare alle prede per tenerle ferme mentre le divorano. Il tutto senza bisogno di immobilizzarle con delle tossine che normalmente sono contenute nelle cellule urticanti delle meduse comuni. Le Stygiomeduse sono di color rosso molto scuro o bruno-marrone a causa della presenza di un pigmento, la porfirina, caratteristica questa in comune a diversi altri animali abissali come il quanto meno inquietante  Vampyrotheutis infernalis.

Un pigmento che gli animali che vivono alla luce del sole non possono usare in quanto tossico e fotosensibile alla luce del sole. L’ipotesi che la porfirina, essendo una molecola fotosensibile, che si degrada facilmente alla luce, possa fungere da sensore di allarme per segnalare la presenza di animali abissali in grado di emettere bioluminescenza, sembra non essere confermata; secondo le misurazioni fatte questo pigmento degrada nel visibile alle lunghezze d’onda tra 400 e 420 nm (blu) e poi tra 530 e 595 nm (giallo-verde), quindi la luce verde-blu emessa dagli organismi bioluminescenti non dovrebbe provocare segnali di allarme per alterazioni. Potrebbe quindi essere un sistema di mimetismo per rendersi invisibile in quegli ambienti oscuri.

Interessante il loro ciclo riproduttivo
Le meduse, che appartengono alla classe dei Scifozoi, si riproducono in tre fasi; le meduse adulte producono uova che sono fecondate. Al loro schiudersi, usciranno delle piccole larve, chiamate planule, che nuoteranno fino ad incontrare delle superfici dure, come rocce o coralli, sulla quale si collocheranno stabilmente, creando un polipo, detto scyphistoma, dall’aspetto simile ad un’anemone di mare. I polipi si moltiplicheranno creando così delle grandi colonie che riposeranno per diversi mesi fino al sopraggiungere della stagione ideale che li farà rilasciare e diffondersi nel volume d’acqua. Da questo processo, che prende il nome di strobiliazione, nasceranno giovani meduse (efire) per riproduzione asessuata,  libere di nuotare completando il loro ciclo vitale. Nel caso di queste meduse giganti, la riproduzione è diversa. La loro anatomia mostra quattro gonadi, contenute in tasche dove l’embrione si sviluppa sulla superficie esterna all’interno di una cisti. Di fatto sembra che nelle Stygiomeduse la fase di polipo non esista e la giovane medusa si sviluppi direttamente in queste cisti in prossimità delle ovaie. Le piccole medusa sono quindi nutrite grazie ad un “cordone ombelicale” che va dalla cisti al sistema gastrovascolare della medusa e quindi sono ‘partorite’ in modo viviparo.

Una curiosità
Queste meduse sembrano vivere nelle acque più calde in associazione con il Thalassobathia pelagica, un pesce di profondità anche chiamato brotula pelagica. In letteratura, è stata segnalata una relazione simbiotica tra questo pesce e la Stygiomeduse gigantea (Harbison et al. 1973; Drazen & Robison 2004), ed è probabile che quest’ultima benefici della presenza del T. pelagica soprattutto in acque più calde per la rimozione dei parassiti (Purcell & Arai 2001). Questo non avviene nell’oceano Antartico dove la minore prevalenza e la crescita lenta dei parassiti in quelle acque più fredde (Harvell et al. 2002) può giustificare la loro non presenza in associazione.

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una Stygiomedusa gigantea fotografata da un ROV del Monterey Aquarium (MBARI) @MBARI

In sintesi, la scoperta occasionale da parte di questi turisti, al di là dello stupore suscitato, ha avuto un valore importante nel campo della citizen science, in quanto ha contribuito indirettamente, alla ricerca su questi giganteschi invertebrati, che vivono nella zona oscura e fredda degli oceani polari e che tanto devono ancora raccontarci.

 

Riferimenti

https://www.nationalgeographic.it/la-rarissima-medusa-fantasma-gigante-e-stata-avvistata-in-antartide

Daniel Moore et alii, Personal submersibles offer novel ecological research access to Antarctic waters: an example, with observations of the rarely encountered scyphozoan Stygiomedusa gigantea https://polarresearch.net/index.php/polar/article/view/8873

Edward T. Browne, « Coelenterata V. Medusae », Natural History, AMNH, vol. 5,‎ 1910, p. 1-62 ISSN 0028-0712 https://www.biodiversitylibrary.org/page/17270042#page/199/mode/1up

Harbison G.R., Smith K.L. & Backus R.H. 1973. Stygiomedusa fabulosa  from  the  North  Atlantic:  its  taxonomy,  with  a  note  on  its  natural  history.  Journal  of  the  Marine  Biological  Association of the United Kingdom53, 615–617, doi: 10.1017/S0025315400058811

Harvell  C.D.,  Mitchell  C.E.,  Ward  J.R.,  Altizer  S.,  Dobson  A.P., Ostfeld R.S. & Samuel M.D. 2002. Climate warming and  disease  risks  for  terrestrial  and  marine  biota.  Science 296, 2158–2162, https://www.science.org/doi/10.1126/science.1063699

Drazen J.C. & Robison B.H. 2004. Direct observations of the association  between  a  deep-sea  fish  and  a  giant  scypho-medusa. Marine and Freshwater Behaviour and Physiology 37, 209–214, doi: 10.1080/10236240400006190 

Purcell J.E. & Arai M.N. 2001. Interactions of pelagic cnidarians and ctenophores with fish: a review. Hydrobiologia451, 27–44, doi: 10.1023/A:1011883905394 

 

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