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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XX – XXI SECOLO
AREA: OVUNQUE
parole chiave: Marina russa
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Dopo il lungo periodo di stasi, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica, negli ultimi anni Mosca è tornata a riflettere su come rilanciare le sue forze navali. Era l’ottobre del 2008 quando l’allora presidente Medvedev nominò come ministro della Difesa Anatoliy Serdyukov affinché studiasse un piano per dotare la Marina di sei nuove portaerei da destinare alle flotte del Pacifico e del Mare del Nord, con la prima pronta fra il 2013 e il 2015. L’anno precedente il comandante in capo della Marina russa, ammiraglio Vladimir Masorin, aveva rilanciato le ambizioni oceaniche della Russia affermando che entro i vent’anni successivi Mosca avrebbe schierato sei gruppi da battaglia di portaerei (carrier group), costituendo la seconda flotta di superficie più potente al mondo dopo quella statunitense che, tutt’oggi mantiene in servizio attivo dieci gruppi da battaglia di portaerei. Nel 2009, la Strategia di sicurezza nazionale della Federazione russa individuava proprio nella Marina uno dei pilastri attraverso cui riportare la Russia allo status di potenza globale indiscussa.
L’immissione in servizio di una nuova classe di portaerei avrebbe così gratificato l’orgoglio nazionale di un paese orfano dello status di grande potenza e, soprattutto, della Marina forgiata dall’ammiraglio sovietico Sergei Gorshkov, che fu in grado di competere alla pari con le forze degli Stati Uniti al tempo della guerra fredda. Ciononostante, negli ultimi anni, la parabola seguita dalla Marina russa si è rivelata ben diversa. Piuttosto che dedicarsi allo sviluppo di capacità d’intervento a lungo raggio, sul modello della Marina Usa o, in misura minore, della Royal Navy britannica, Mosca ha finito per privilegiare la componente delle sue Forze marittime dedicata alla difesa costiera (fregate e corvette) o alla deterrenza strategica (i sottomarini nucleari), lasciando che le unità di superficie maggiori, che un tempo costituivano il nerbo delle forze d’altura sovietiche, si deteriorassero col passare degli anni. È il caso della portaerei Admiral Kuznetsov (in servizio dal 1991) che, quando sarà messa in disarmo, non troverà nessuna portaerei pronta a rimpiazzarla, o dell’ultimo incrociatore lanciamissili a propulsione nucleare d’età sovietica Pyotr Velikiy, oggi ammiraglia della Flotta del Nord.
I programmi di riarmo della Marina russa non lasciano dubbi sulle priorità delle sue forze di superficie nella prossima decade, con contratti di acquisto per unità minori (le già citate fregate multiruolo classe Admiral Gorshkov Krivack-IV, oppure le corvette di classe Steregushchii, Project 22160 e Buyan), strumenti ideali per difendere la periferia marittima e gli interessi della Federazione.
Una riscoperta di una politica navale che risale ai tempi degli zar
Questa componente navale a difesa del territoriale opererebbe in tandem con la componente sottomarina che rimane una fra le più capaci e letali al mondo. Una protezione degli interessi russi che si estenderebbe all’Artico, alle acque del Pacifico nord-occidentale ed al Mar Nero, regioni marittime politicamente ed economicamente importanti in cui Putin intende riaffermare a pieno titolo la propria egemonia. Progressi tecnologici, mutamenti climatici e corsa alle risorse energetiche hanno infatti rimesso in discussione un assunto su cui si erano fondate alcune delle principali teorie geopolitiche del pensiero strategico occidentale: l’inviolabilità dell’Artico, barriera che da settentrione ha influenzato per oltre due secoli scelte e mosse di politica internazionale del mondo russo. Ciò ha dato il là alla competizione fra le potenze artiche (soprattutto Russia, Norvegia e Canada, quindi Stati Uniti e persino Cina, via Groenlandia e Islanda) per accaparrarsi le ingenti risorse celate nei suoi fondali e assumere il controllo delle rotte commerciali. In particolare, la nuova strategia artica della Russia è fondata sulla costituzione di un Comando Interforze Artico preposto a “vegliare” su quella che l’ultima Dottrina militare definisce come un’area prioritaria per gli interessi della Federazione. Un’area in cui riaprire le basi ex-sovietiche, dal Mare di Barents allo Stretto di Bering, ed effettuare pattugliamenti sempre più frequenti con le unità della Flotta del Nord sulle acque del Passaggio a Nord-Est.
Le Mistral avrebbero così potuto concorrere a rafforzare la presenza russa nella regione artica e a difendere gli interessi della Federazione alla luce della competizione ivi montante. Ma avrebbero avuto un ruolo di primo piano anche nei teatri del Pacifico e del Mediterraneo: in Asia Orientale, ove l’assertività cinese ha innescato una corsa al riarmo navale che coinvolge le maggiori potenze dell’area, e dove Mosca ha dal 1945 una disputa irrisolta sulla sovranità delle Isole Curili con il Giappone che incide sulle proprie pretese nel mare di Ochotsk (ricco di risorse energetiche e ittiche); nel Mar Nero, la cui flotta è quella meglio posizionata per intervenire nel Mediterraneo (tanto più dopo gli ultimi accordi con Cipro e l’Egitto) e che fino a oggi poteva contare solo sull’incrociatore Moskva quale unità maggiore per le campagne al di là dello stretto del Bosforo. D’altro canto, mantenere in servizio attivo unità come le Mistral avrebbe avuto un suo costo, drenando risorse e assetti da una flotta di superficie usurata dal trascorrere degli anni e in attesa di rimpiazzi per continuare a operare al pieno delle proprie capacità. Come ogni altra portaerei o portaelicotteri, le Mistral avrebbero infatti necessitato di una scorta preposta alla loro difesa (cacciatorpediniere, fregate e sottomarini) ogniqualvolta avessero preso il mare per una missione; le loro possibilità operazionali sarebbero dipese dalla capacità della flotta di assicurarsi di volta in volta il controllo marittimo e, se necessario, di saperlo difendere. L’ordine di Hollande di fermare la consegna della Vladivostok potrebbe allora non costituire una sconfitta per Mosca: l’accordo del 2011, quantomeno controverso, avrebbe assicurato alla Russia assetti moderni con cui rilanciare le proprie ambizioni marittime ma a patto di saperle adattare agli imperativi strategici della Federazione e, soprattutto, allo stato effettivo delle proprie forze navali. La notizia di procedere autarchicamente affidando la costruzione al Nevskoye, il principale attore russo nella progettazioni di grandi navi di superficie, compresi porta container civili e navi cargo, incuriosisce. In particolare, la dichiarazione di Sergey Vlasov, CEO di Nevskoye, sulla possibilità di costruire ben due tipi di portaerei: una nave a propulsione nucleare (con un dislocamento di 80-85 mila tonnellate e circa 70 aerei a bordo) ed una portaerei non nucleare (da 55-65 mila tonnellate e 55 aerei) fa comprendere la volontà di modificare la capacità di proiezione della nuova flotta russa. Facile a dirsi ma difficile da realizzare. Rimane aperta la constatazione su come dare protezione a queste navi. Si tratta di un cambiamento epocale che potrebbe non essere sostenibile da Mosca.
in parte liberamente estratto dall’articolo di Alberto de Sanctis a cui si rimanda per una lettura completa – copyright Limesonline
in anteprima: portaerei russa Kuznetsov, Ministero della Difesa russo
http://мультимедиа.минобороны.рф/files/morf/VMF_wallpapers.zip
File:Admiral Kuznetsov aircraft carrier.jpg – Wikimedia Commons

ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.