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Sottomarini nucleari o convenzionali nell’Oceano Pacifico? Vantaggi e svantaggi operativi della scelta australiana

tempo di lettura: 10 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO

parole chiave: valutazione operativa, sottomarini, Australia

 

Si continua a fare molto rumore mediatico sui futuri sottomarini australiani. Come noto, l’Australia ha deciso di acquisire otto sottomarini nucleari dagli Stati uniti, cancellando un precedente contratto di dodici battelli di costruzione francese (Classe Scorpene). Nella stampa non specialistica si sono sommate un certo numero di inesattezze giustificabili solo dal fatto che molto spesso gli autori, non possedendo una sufficiente cultura specifica, azzardano valutazioni che non trovano ragione in una giustificazione operativa, e sembrano piuttosto arrampicarsi su presupposti economici e politici che in realtà sono solo una parte del quadro.

Pianificazione di un armamento
Da un punto di vista analitico la scelta di acquisire un armamento dipende da molti fattori che hanno come punto di partenza il livello di ambizione della nazione a fronte di minacce da parte di possibili avversari. La valutazione è estremamente complessa (non a caso il processo ha una durata di circa due anni) e affronta la missione primaria, l’area geografica di impiego, la minaccia presente, il supporto necessario, e gli aspetti economici. 

In estrema sintesi, il livello di ambizione di una nazione viene approvato a livello governativo e giustifica lo sforzo economico che dovrà poi essere esercitato per l’acquisizione, il mantenimento dell’armamento nel tempo fino alla sua definitiva dismissione. È un processo complesso che coinvolge gli staff della Difesa, del ministero degli Affari Esteri, dell’Economia e l’industria di riferimento. Il livello di ambizione è ovviamente giustificato dalla situazione internazionale che si prevede in un periodo di medio e lungo termine (valutazione necessaria per calcolare i costi di esercizio, supporto e manutenzione per tutta la durata della vita operativa, nonché la sua dismissione).

L’armamento (nave, sottomarino, aereo, ecc.) deve essere definito nel suo insieme, ovvero devono essere sviluppate le sue architetture (sistemi propulsivi, dotazioni logistiche, sistemi d’arma). Quindi vengono valutati i pro e contro a fronte della possibile minaccia esterna, che di fatto ne giustifica l’acquisizione, e le capacità di attacco e difesa avversarie (sistemi attivi e passivi) guardando non al momento ma ai possibili sviluppi tecnologici futuri. Si comprende quindi come l’area geografica di impiego assuma un ruolo importante per la definizione dei sistemi. In questa fase viene definito anche il life cycle dello stesso, partendo dall’acquisizione fino alla completa dismissione.

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Dopo questa necessaria premessa, in questo breve articolo approfondiremo gli aspetti operativi che, come abbiamo premesso, forniscono un fattore importante per la definizione delle caratteristiche di una nuova acquisizione.

Dopo aver descritto i fattori che entrano in gioco nell’impiego dei sottomarini nel III millennio, forniremo una valutazione, quanto più scevra da ogni valutazione politica o industriale, dell’impiego degli stessi nell’Indo-Pacifico, al fine di sintetizzare quei pro e contro operativi che hanno portato la Marina Australiana a preferire la soluzione nucleare statunitense a quella precedente francese, che come ricorderete prevedeva 12 sottomarini convenzionali classe Scorpene.

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La classe Scorpene è una classe di sottomarini a propulsione convenzionale di nuova generazione, sviluppato e prodotto in Francia da Naval Group (ex DCNS) in collaborazione con l’industriale spagnolo Navantia per le vendite all’esportazione. Acquistati da Cile, Malesia, India e Brasile ne dovevano essere costruiti 12 per l’Australia ma, come è noto, il contratto è stato rotto dall’Australia che ha preferito l’ipotesi nucleare –  nella foto il battello INS Kalvari classe Scorpene acquisito dalla Marina Indiana – Fonte marina indiana INS Kalvari (S21) at sea.jpg – Wikimedia Commons

L’impiego dei sottomarini del III millennio 
La possibilità per i sottomarini di essere efficacemente impiegati efficacemente in uno scenario operativo (inteso come insieme di missione, situazione ambientale e minaccia) dipende sostanzialmente da queste caratteristiche:

  • Velocità (in immersione), che influisce sul tempo necessario a raggiungere la zona di operazione, tornare in porto ed evadere dalla scoperta avversaria o dai siluri.
  • Autonomia, che determina il raggio di azione.
  • Massima quota operativa, rilevante per potere sfruttare la zona d’ombra creata dalle termocline (porzioni di colonna d’acqua dove la velocità del suono diminuisce con la quota e che si trovano sotto uno strato superficiale isotermo).
  • Coefficiente di indiscrezione, cioè la percentuale di tempo durante il quale il sottomarino deve esporre lo snorkel per ricaricare le batterie. Ciò vale quasi esclusivamente per i sottomarini convenzionali, perché quelli nucleari non hanno bisogno di interagire con la superficie per questioni propulsive. 
  • Capacità dei propri sistemi d’arma (prestazioni di sonar, siluri, missili a cambiamento di ambiente, ecc.).
  • Silenziosità, per limitare la portata a cui viene scoperto da sonar passivi avversari.
  • Dimensione dello scafo, un fattore che influisce sulle risorse (apparecchiature, equipaggio) che possono essere imbarcate, sulla capacità di effettuare operazioni di snorkel con mare grosso, sulla riflessione di un impulso sonoro di un sonar attivo avversario, e sul fondale minimo dove può compiere operazioni, considerando  che più piccolo è il sottomarino e minore è il fondale necessario per operare.

Se molte di queste caratteristiche sono legate allo sviluppo della tecnologia i fattori oceanografici sono complessi e variabili in funzione dell’area geografica di impiego, per l’impiego di sottomarini nell’Indo-Pacifico ci soffermeremo sul fattore delle batimetrie che, come abbiamo visto costringono il limite operativo del sottomarino.

Partiamo da una “regola” fondamentale: è buona norma, per i sottomarini, non navigare né troppo lenti né troppo veloci in vicinanza della superficie o della quota massima sfruttabile. Questo perché a basse velocità il sottomarino è più difficile da controllare, mentre ad alte velocità eventuali problemi di controllo della quota possono portare ad inconvenienti significativi. Ad esempio, se il sottomarino si trova a quota superficiale, in caso di perdita di controllo verticale, può “delfinare”, esponendosi così alla sua scoperta. Se è a quota profonda può invece urtare il fondale (le batimetrie dei fondali non sono poi così precise in tutto il mondo) o, se ad alta velocità, superare la quota massima operativa ed avvicinarsi pericolosamente alla quota di schiacciamento (o addirittura superarla!).

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Esempio di cosa può succedere in caso di perdita del controllo in quota del sottomarino

Analizzando le rotte marittime frequentate dal traffico mercantile e le relative batimetriche (linee di ugual profondità) attraversate si deduce che le prime possono essere pattugliate in maniera efficiente, assicurando al sottomarino la necessaria discrezione. Sottomarini di minori dimensioni riducono la probabilità di essere scoperti da parte del nemico ma, nel caso specifico, la differenza tra un sottomarino convenzionale classe Scorpene ed un nucleare classe Los Angeles (come esempio) può quindi essere considerata genericamente trascurabile . 

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una restituzione istantanea delle rotte commerciali nell’Indo-Pacifico attraverso le posizioni AIS del traffico mercantile. Si deduce che il flusso marittimo segue rotte ben definite, che attraversano aree in cui le caratteristiche oceanografiche sono favorevoli all’impiego dei sottomarini

Quali sono le aree più favorevoli per le operazioni con sottomarini di tali dimensioni?
Per rispondere a tale domanda occorre fare un paio di ulteriori considerazioni. Il sottomarino, auspicabilmente, deve rimanere ad una quota abbastanza profonda per evitare il traffico mercantile, soprattutto quello di grosse dimensioni, per motivi di sicurezza. Il rumore delle eliche delle navi, normalmente rilevabili dal sottomarino attraverso il sonar, potrebbe essere schermato dalla parte prodiera dello scafo, rendendo così la nave “invisibile” (con conseguente rischio di collisione). Si rende quindi necessario mantenere un’adeguata separazione di quota sia dal traffico che dal fondale, che tipicamente varia con la velocità impiegata: maggiore è la velocità a cui si opera e maggiore deve essere la separazione.

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Separazione in quota dal traffico mercantile e dal fondo marino

Teoricamente un sottomarino potrebbe operare (con molto addestramento), a basse velocità, anche in fondali di 40 metri, mantenendo una decina di metri di separazione dal fondale ed una quindicina dalla superficie. Una tattica rischiosa che può essere eseguita qualora non sia riportata la presenza in zona di grosse petroliere (che possono avere pescaggi di oltre 20 metri). Operazioni in fondali così bassi vengono preferibilmente effettuate per periodi limitati e/o per attività particolari (ad esempio durante la raccolta di dati intelligence in vicinanza della costa oppure con operazioni per il rilascio di operatori delle Forze Speciali). L’appoggio sul fondo è normalmente evitato in quanto presenta rischi legati alla morfologia del fondale, al tipo di sedimento ed alla sempre possibile presenza di ostacoli e ordigni sul fondo.

Più tipiche sono invece le operazioni effettuate in fondali alti o intermedi. Sebbene una profondità di 150 metri offra già abbastanza libertà di manovra, batimetriche di 300 metri o superiori permettono al sottomarino di avvicinarsi alla massima quota operativa (tipicamente 200÷300 metri) senza un significativo pericolo di urtare il fondo. La quota viene generalmente sfruttata dal sottomarino nelle fasi di scoperta, avvicinamento al bersaglio, eventuale attacco e disimpegno.

Nell’area australiana, indonesiana e nel Mar Cinese Meridionale si hanno situazioni oceanografiche favorevoli sia per quanto concerne le profondità in gioco che per la propagazione acustica, necessaria per la scoperta, sorveglianza e intercetto dei bersagli avversari. Oceanograficamente parlando si va dall’assenza di uno strato superficiale isotermo (ovvero di ugual temperatura) a zone dove tale strato si estende fino a 30-50 metri ed eccezionalmente a 70-100 metri. Tale strato, dove la velocità del suono aumenta leggermente con la quota, è importante perché forma una sorta di “condotto” dove le onde sonore si propagano a lunga distanza ed è quindi sfruttabile per la scoperta e localizzazione di contatti di superficie o subacquei che si trovano in tale strato nonché per una eventuale verifica finale del bersaglio immediatamente prima dell’attacco.

Immediatamente al di sotto c’è una termoclina più o meno netta che invece va a limitare la propagazione acustica. Questa viene generalmente sfruttata dai sottomarini per effettuare un avvicinamento occulto o per evadere dalla scoperta avversaria (per “rompere il contatto”). I sonar a scafo delle navi antisommergibili cercano invece di sfruttare la buona propagazione acustica nello strato superficiale. Qualora siano forniti anche di sonar a profondità variabile le navi possono collocare il sonar a quote più profonde e sfruttare meglio il condotto, ma questo è un argomento complesso che esula dal presente articolo.

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Una qualsiasi unità navale emette nel suo transito di superficie del rumore che si propaga nello strato superficiale e sotto di esso come indicato dai raggi azzurri/viola. Mediante tale rumore il sottomarino effettua la scoperta, classificazione e tracciamento dei bersagli, per un eventuale successivo attacco. Per scoprire a maggiore distanza il sottomarino si porta nello strato superficiale, dove la propagazione acustica è migliore. Per avvicinarsi senza essere scoperto dal sonar avversario si immerge sfruttando la peggiore propagazione acustica al di sotto della termoclina.

Dopo queste premesse, necessarie per comprendere i limiti operativi ambientali per operare con dei sottomarini in maniera occulta, analizziamo in dettaglio l’Indo-pacifico. Come si può osservare, le batimetriche del presumibile teatro operativo per l’impiego dei battelli australiani garantiscono un impiego indifferente di sottomarini convenzionali o nucleari.

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Rappresentazione del possibile Teatro Operativo per i sottomarini australiani (fonte: database GEBCO; software Panoply della NASA). Le zone di colore blu scuro sono quelle di profondità “abbastanza sicura” (80 metri o superiore) che permettono al sottomarino di sfruttare uno strato superficiale di 30~40 metri (per la scoperta dei bersagli) e la relativa sottostante termoclina (per evitare la scoperta da parte degli avversari)

In estrema sintesi, dalla mappa si evince che grazie alle caratteristiche oceanografiche e morfologiche l’area dell’Indo-Pacifico si presta ad operazioni di sorveglianza e interdizione occulte con sottomarini. Ma quali sono i più indicati?

Nucleari o convenzionali?
Arriviamo ora alla domanda più scottante. Vediamo in estrema sintesi quali siano i vantaggi della scelta di battelli a propulsione nucleare in un simile teatro rispetto a dei sottomarini convenzionali. Vogliamo precisare che la scelta di una propulsione o dell’altra non ha niente a che vedere con il tipo di missione e con l’armamento dei sottomarini che, secondo le dichiarazioni politiche, resterebbe comunque convenzionale (siluri, missili antinave o da crociera, mine navali).

Come noto, i vantaggi dei sottomarini nucleari sono sostanzialmente la maggiore velocità ed autonomia (fattori che influiscono sul raggio di azione e sul  tempo di trasferimento per raggiungere l’area di operazione) ed il coefficiente di indiscrezione. Questo fattore è legato al fatto che un nucleare non ha la necessità di un convenzionale di effettuare delle emersioni periodiche per ricaricare le batterie per cui riduce la possibilità di essere scoperto. Questo perchè un sottomarino nucleare può restare per mesi in immersione senza dover riemergere e la sua limitazione è solo legata alla quantità di cibo a bordo. Un vantaggio notevole a fronte delle distanze in gioco e della necessità di mantenere un controllo continuo delle rotte.

Ma ci sono anche dei contro
La Marina australiana dovrà superare nei prossimi anni un certo numero di difficoltà: una maggiore complessità della gestione dell’apparato di propulsione nucleare (conduzione, manutenzione, gestione delle reattori esauriti), l’addestramento del personale destinato sui nuovi sottomarini che necessiterà di competenze e capacità nuove (un cambio epocale), un fattore che potrebbe richiedere, almeno nella fase iniziale, l’utilizzo di equipaggi misti austro-statunitensi.

Un altro fattore da considerare è la maggiore rumorosità di un battello nucleare a fronte di un convenzionale, cosa che ne faciliterebbe la scoperta da parte dei dispositivi aeronavali avversari. Un elemento che, nonostante i progressi sul silenziamento dei sottomarini, non è da considerarsi minimale. Non ultimo, va considerato che la capacità di contrasto (antisommergibile) da parte dei possibili avversari è ipotizzata secondo i nostri canoni attuali ma nessuno possiede una sfera di cristallo. La tecnologia avanza ed anche i sistemi di contrasto. 

In sintesi, la nuova scelta australiana, al di là delle difficoltà contrattuali e della complessa situazione politica, trova delle evidenti giustificazioni operative che si sposano con le possibili future missioni di sorveglianza delle rotte di comunicazione marittime (SLOC). La Marina australiana inizierà un lungo cammino che la legherà agli alleati anglo-statunitensi per molto tempo ma il ritorno operativo comporterà per i possibili avversari nell’area non pochi mal di testa.

 

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Fernando Cerutti
Contrammiraglio in congedo della Marina Militare italiana (riserva) specializzato nel campo della lotta contro i sommergibili. In possesso di grande esperienza operativa su diversi tipi di unità navali, sempre in ruolo antisom, ha redatto diverse pubblicazioni di dottrina nazionale, tra cui le linee guida per la riduzione dell’impatto ambientale dei sonar attivi sui mammiferi marini. E’ attualmente consulente indipendente per FINCANTIERI

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Andrea Mucedola
Contrammiraglio in congedo della Marina Militare italiana (riserva) è in possesso della specializzazione superiore in contromisure mine. In precedenza, Capo Dipartimento e vice capo reparto del 3 Reparto dello Stato Maggiore della Marina, dopo il suo congedo è analista geopolitico in gruppi di lavoro nazionali e internazionali per l’analisi in supporto alle operazioni di maritime security, in particolare per constabulary e antipiracy operation. E’ ricercatore subacqueo scientifico, fondatore e Direttore di OCEAN4FUTURE e, nel 2019, gli è stato conferito a Ustica il Tridente d’Oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee (AISTS) per la comunicazione mediatica sulla cultura del mare.

 

 

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