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Immersioni profonde e la sindrome neurologica da alta pressione (HPNS)

tempo di lettura: 4 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO

AREA: DIDATTICA
parole chiave: immersioni profonde, HPNS
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Verso la fine degli anni ’60 la Royal British Navy iniziò una serie di immersioni sperimentali in camera iperbarica a profondità equivalenti a circa 250 metri, utilizzando una miscela respiratoria composta da elio ed ossigeno (Heliox) al fine di evitare la narcosi d’azoto e la tossicità d’ossigeno che si sarebbero manifestate respirando aria a profondità così elevate. Durante queste immersioni alcuni inusuali segni e sintomi vennero evidenziati nei soggetti coinvolti negli esperimenti. I sintomi includevano tremori, perdita d’acume mentale e, nei casi più severi, vertigini, nausea e vomito. Segni simili vennero anche osservati nella sperimentazione animale, associati a convulsioni di tipo epilettico alle profondità più estreme. La fenomenologia venne chiamata sindrome neurologica da alta pressione (High-Pressure Neurologic Syndrome, HPNS).

HPNS, cosa sappiamo
La sindrome è dovuta all’effetto diretto dell’alta pressione ambientale sul sistema nervoso dei subacquei che respirano Heliox o Trimix (una miscela ternaria composta da elio, ossigeno ed azoto) a pressioni superiori alle 13 atmosfere (equivalenti a profondità di oltre 120 metri) ed è esacerbata da compressioni veloci.

La HPNS è caratterizzata da una serie di alterazioni delle funzioni motorie, sensoriali, vegetative, metaboliche e cognitive inclusi disturbi della memoria a breve e lungo termine. Analisi elettroencefalografiche hanno evidenziato una riduzione delle onde alfa ed un aumento delle onde teta e delta; a profondità attorno ai 170-180 metri le alterazioni dell’elettroencefalogramma ricordano quelle legate a fenomeni di narcolessia temporanea. Un livello di adattamento è stato osservato dopo alcuni giorni di permanenza alla massima profondità ma un completo ritorno a funzioni cognitive normali è ottenuto solo dopo la decompressione.

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La procedura più efficiente per limitare gli effetti della HPNS sembra essere una compressione lenta, con una serie di soste; in ogni caso, a profondità superiori ai 330 metri, i sintomi della HPNS si manifestano comunque anche se si è usata una compressione molto lenta.

L’aggiunta di idrogeno ed azoto alla miscela respiratoria di elio ed ossigeno,  riduce i tremori associati con la HPNS ma ha effetti narcotici alle alte profondità. Nelle immersioni simulate in camera iperbarica della Duke University (progetto “Atlantis”) della Duke University l’uso di Trimix con un 5% di azoto ed una pressione parziale dell’ossigeno mantenuta a 0.5 atmosfere consentì ai subacquei di rimanere operativi fino alla profondità equivalente di 600 metri.

Durante la serie di immersioni “Hydra”, condotte dalla ditta francese Comex, si raggiunse una profondità di 700 metri in camera iperbarica, usando una miscela respiratoria composta da 27% H², 65% He, 7% N², 0.56% O² per un tempo totale di 42 giorni dei quali 15 usati per raggiungere la massima compressione. In un’immersione reale offshore i subacquei sono riusciti a lavorare ad una profondità di 520 metri respirando una miscela contenente il 47% di H² con prestazioni simili a quelle ottenute in condizioni analoghe usando Trimix alla profondità di 150-200 metri.  

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U.S. Navy photo by Chief Photographer’s Mate Eric J. Tilford

Gli effetti psicotici della HPNS, con allucinazioni visive ed auditive e forti alterazioni dell’umore, sono posti in relazione con l’azione narcotica cumulata dei vari gas inerti usati nella miscela. Questi effetti sono dovuti all’aumento di volume delle membrane cellulari a seguito della diffusione dei gas che entrano in soluzione nei lipidi. Quando un “volume critico” è raggiunto si manifestano gli effetti neurologici della HPNS. Teoricamente l’uso di Heliox come miscela respiratoria ha un limite massimo di profondità attorno ai 1,000 metri, oltre il quale gli effetti della HPNS sarebbero debilitanti.  Studi su modelli animali hanno indicato la possibilità di utilizzare farmaci per limitare gli effetti della HPNS aprendo quindi nuovi scenari per le immersioni ultra-profonde. Sebbene le alterazioni legate alla HPNS spariscano una volta decompressi, gli effetti a lungo termine sul sistema nervoso sono frequentemente osservati durante le immersioni a saturazione profonde tra i 200 e i 500 metri. Questi effetti includono alterazioni dell’elettroencefalogramma, difficoltà di concentrazione e parestesia.

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acquanauti del progetto NEEMO 16, Tim Peake (astronauta dell’Agenzia spaziale europea) e Steve Squyres (Cornell University) si addestrano a muoversi sul fondo dell’oceano – NASA Public domain File:NEEMO 16 Tim Peake Steve Squyres.JPG – Wikimedia Commons

L’immersione Off-shore
L’impatto della HPNS sul lavoro offshore profondo è senz’altro un problema che pone dei limiti all’effettiva massima profondità alla quale è possibile operare. Il progresso tecnologico, con lo sviluppo di sistemi autonomi e robotizzati per il lavoro subacqueo, certamente riduce la necessità di impegnare i subacquei a profondità eccessivamente elevate. Tuttavia, in diverse situazioni, la presenza umana è ancora essenziale e pertanto le ricerche sui metodi di controllo e riduzione dei rischi associati con la HPNS continuano ad essere tra le priorità della medicina iperbarica.

L’immersione profonda sportiva
La maggioranza dei subacquei sportivi non si troverà mai esposta a condizioni tali da incorrere nella HPNS, tuttavia alcuni dei sintomi sono stati riportati da subacquei impegnati in immersioni sportive profonde attorno ai 200 metri. Un sistema adottato per limitare gli effetti della HPNS è di ridurre al minimo il tempo di fondo e risalire rapidamente alle quote di decompressione in modo da limitare l’esposizione a condizioni ambientali (alta pressione) che favoriscano la comparsa della HPNS.

Si ritiene che, in alcuni incidenti fatali che hanno coinvolto subacquei molto esperti, impegnati in immersioni ad alta profondità, la HPNS abbia giocato un ruolo importante, generando tremori tali da rendere impossibile il controllo dei movimenti e quindi impedire la reazione a situazioni di emergenza.  La ricerca, naturalmente, continua.

 

Giorgio Caramanna

 

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