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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: CINA
parole chiave: Sud Est asiatico, potere marittimo, asse russo-cinese
Le relazioni con i principali Paesi
Per quanto riguarda i principali contenziosi con gli altri Paesi asiatici, di cui ho già riferito in miei precedenti articoli, questi vedono al centro delle dispute l’area marittima che bagna le coste asiatiche più orientali, sia per questioni di sovranità nazionale che, soprattutto, per questioni di sfruttamento delle importanti risorse marine presenti.
Dopo il Mar Cinese, inoltre, anche l’Oceano Indiano si sta configurando come spazio conteso da Pechino. In tale ambito, come scrive Peter Frankopan, “… nell’estate del 2016 il Pakistan ha annunciato che avrebbe speso cinque miliardi di dollari per l’acquisto di otto sommergibili d’attacco a propulsione diesel-elettrica dalla Cina …” 2. Queste relazioni politico-economiche in tema di armamenti navali hanno causato apprensione in India, notoriamente già contrapposta sia al Pakistan che alla Cina per questioni territoriali. Non solo, la fornitura di capacità navali al Pakistan fornisce alla Cina un motivo in più per “entrare” nell’Oceano Indiano, evidenziando le sue ambizioni anche in quell’area.
Non è un caso, infatti, se da qualche anno nell’area sono ormai “… sempre presenti almeno otto navi da guerra cinesi alla volta (in un’occasione ce n’erano di pattuglia addirittura quattrodici) … ”, ufficialmente per operazioni antipirateria.
India
Una presenza che preoccupa Nuova Delhi, anche per l’atteggiamento sempre più aggressivo mostrato dagli equipaggi cinesi. Una crescente tensione che nel febbraio 2018 ha portato Pechino a denunciare le minacce subite da alcune navi cinesi, contro cui alcune unità indiane avrebbero indirizzato un colpo di avvertimento. La denuncia è stata immediatamente smentita dalle autorità indiane. Nel marzo 2018, inoltre, alcune esercitazioni congiunte (Milan 2018) effettuate nella parte meridionale del Golfo del Bengala (isole Andamane e Nicobare), con la partecipazione di navi provenienti da 23 Paesi, tra cui India, Australia, Malesia, Myanmar, Nuova Zelanda, Oman e Cambogia, hanno innervosito le autorità cinesi a tal punto da aver rilasciato dichiarazioni infuocate, sottolineando come tali azioni avrebbero potuto portare le potenzialità di conflitto dalla terra al mare. Una situazione preoccupante che, come vedremo più avanti, ha convinto Nuova Delhi ad abbandonare il tradizionale “non allineamento” politico e militare, facendo schierare l’India con gli Stati Uniti. Allo scopo di monitorare l’attività dei sottomarini cinesi di passaggio l’India ha, intanto, provveduto quest’anno alla stesura di una rete di idrofoni e di rilevatori di anomalie magnetiche lunga circa 2.300 km, tra l’isola di Sumatra e l’arcipelago delle già ricordate isole Andamane-Nicobare. La catena idrofonica, una versione più moderna di quella impiegata durante la Guerra Fredda per la rilevazione dei movimenti dei sottomarini russi, verrà impiegata anche dai velivoli ASW per la localizzazione dei sommergibili tramite triangolazione.
Giappone
Il Giappone, come detto, vede ancora aperto il contenzioso con la Cina in relazione alla sovranità sulle disabitate isole Senkaku (o Diaoyu, come le chiamano i cinesi) rivendicate da Pechino in base a criteri storici e geografici. Senza entrare nel merito giuridico della questione, basti ricordare che Tokyo vorrebbe che il confine delle rispettive Zone Economiche Esclusive fosse identificato con la linea mediana dei confini marittimi, mentre Pechino afferma che la sua ZEE dovrebbe arrivare fino al limite della piattaforma continentale (canale di Okinawa). Si tratta, in estrema sintesi, di una sovrapposizione di circa 81.000 miglia nautiche quadrate di mare pescoso e con discrete riserve di idrocarburi. All’interno di tale area si trovano le isole Senkaku. Nel novembre del 2013 la Cina ha unilateralmente deciso di istituire una zona di identificazione di difesa aerea (ADIZ) sopra le isole contese, ribadendo così la propria posizione in merito alla sovranità sull’arcipelago. Detta zona si sovrappone completamente ad analogo spazio aereo istituito dal Giappone nel 1968 a protezione delle isole da possibili incursioni aeree. Allo scopo di rendere evidente l’asserito abbandono di quelle isole da parte giapponese, inoltre, la Cina ha ultimamente innalzato il livello di presenza navale attorno all’area contestata e all’interno delle sue acque contigue. In un’occasione un’unità cinese stava perseguendo un peschereccio giapponese, e un’unità della Guardia Costiera è stata costretta a intervenire a difesa dei connazionali. Le ansie nipponiche sono quindi tutt’altro che irragionevoli e infondate. Il Giappone sembra avere, comunque, le risorse economiche e tecnologiche per cercare di rispondere a queste sfide, sviluppando una capacità missilistica a lungo raggio e di proiezione navale, completate da una credibile difesa antimissile. Tuttavia, non manca chi teme che un Giappone politicamente più attivo e nuovamente militarmente significativo possa costituire una minaccia per gli equilibri dell’area.
In particolare, la crescita della flotta nipponica è ancora vista con un certo sospetto. Che sia un retaggio delle note vicende dello scorso secolo o meno, l’ostilità antinipponica in Asia è ancora profonda e molto radicata, anche se la profonda mutazione operata da quel Paese nel secondo dopoguerra, e l’enorme lavoro diplomatico sviluppato per la completa riabilitazione della propria identità storica e geopolitica, sembra abbiano dimostrato che il Paese dovrebbe aver compreso come controllare la propria sensibilità sui temi che riguardano la sua specificità. Un tema che in passato l’ha indotto a scelte rovinose. Dopo essere stato logorato per lungo tempo dal dilemma se puntare alla regionalizzazione, coltivando più profonde relazioni con la Cina (fino ai primi anni novanta definite come l’unico architrave della diplomazia nipponica) o se seguire la “ruota” americana, assumendosi maggiori responsabilità politiche nell’area, sembra quindi che l’aggressivo atteggiamento cinese abbia fatto definitivamente pendere la bilancia di Tokyo a favore della seconda ipotesi. Ciò ha portato ad aumentare il proprio arsenale complessivo, con un conseguente sensibile aumento delle spese per la difesa. Dopo aver da qualche tempo esteso la sua già citata area di autodifesa il Giappone è quindi passato alla costruzione di una moderna flotta d’alto mare, che comporta la necessità di copertura aeronavale. Le portaerei non ci sono ancora, ma non è detto che tarderanno molto ad arrivare.
Russia
La Russia, potenza che sta lentamente riorganizzando e ammodernando la propria flotta (si parla di circa 20 navi impostate nel solo 2020) dopo la grave crisi patita alla fine dello scorso secolo, ha visto un graduale miglioramento dei suoi complessi rapporti con la Cina. Favorito dalla fine della gara per il primato nel mondo comunista, tale miglioramento delle relazioni ha permesso a Pechino di accedere alla tecnologia necessaria per iniziare lo sviluppo di una flotta moderna e competitiva e a Mosca di raccogliere oltre nove miliardi di euro di vendite di armamento navale. La sua transizione ancora in corso, comunque, si riflette sul coinvolgimento complessivo in Asia e sulla proiezione della sua flotta nel Pacifico. Ciò nondimeno, pur nel ridimensionamento del suo impegno e al temporaneo abbandono forzato dei primitivi obiettivi di espansione della propria influenza, Mosca non intende rinunciare al proprio ruolo di importante Paese anche asiatico e affacciato sul Pacifico. Forte di complessivamente circa 60 unità navali di superficie e di 20 sottomarini (una componente, quella subacquea, ancora oggi potente e temibile) la Russia continua, quindi, a curare con assiduità le relazioni internazionali su quello scacchiere, sforzandosi di mantenere quelle tradizionali e di migliorare quelle eventualmente deteriorate. In tale ambito il presidente Putin, nel corso del recente incontro annuale del Valdai discussion club (Mosca 20-22 ottobre 2020), una sorta di Davos russo inaugurato nel 2004, si è dichiarato possibilista riguardo un eventuale partenariato militare tra Russia e Cina, la cui cooperazione nel settore navale potrebbe servire a bilanciare la potenza navale degli Stati Uniti e alleati nell’area.
Stati Uniti
Per quanto attiene agli Stati Uniti, nessuna amministrazione mette in discussione l’interesse all’Asia e al Pacifico, generalmente condiviso dall’opinione pubblica. In tale ambito, nonostante Washington stia attraversando un periodo di generale tendenza alla riduzione del coinvolgimento internazionale, il livello dell’impegno (anche militare) nell’area non ha subito alcun tipo di ridimensionamento, anzi. A dispetto dei recenti afflati isolazionistici, Washington è cosciente della propria supremazia militare, schiacciante e continuamente aggiornata, e intende continuare a influire ovunque si manifestino pericoli di conflitti e rivolgimenti, Indo-Pacifico in primis.
Ma il mantenimento di una credibile e competitiva (anche sotto il profilo numerico) presenza navale ha un prezzo che gli USA non possono sostenere a lungo da soli.
Alleati degli Stati Uniti
Ecco quindi che in attesa di cooperazione, per esempio, da parte degli alleati della NATO (Italia? Francia? Regno Unito? Germania?) cui è stata chiesta la disponibilità ad essere presenti anche i quelle lontane acque, si è formato un asse che cerca di arginare il crescente presenzialismo marittimo cinese nell’area Indo-Pacifico, il “Quad” composto da Stati Uniti, Australia, India e Giappone. Essi hanno avviato una collaborazione navale che, per alcuni osservatori, potrebbe rappresentare il nucleo di una NATO asiatica. Lanciata diversi anni fa dal primo ministro giapponese Shinzo Abe, questa iniziativa di dialogo sulla sicurezza non era mai effettivamente decollata per non intaccare i rapporti con Pechino. Solo il recente acuirsi delle tensioni marittime regionali, e la postura più aggressiva dei cinesi, ha permesso di imprimere una determinante spinta alla sua realizzazione. Un quadrilatero che si propone, quindi, come collaborazione per il contenimento strategico della Cina sulle migliaia di miglia marine rappresentate dal teatro Indo-Pacifico. Un’iniziativa che ha esordito con un’esercitazione navale in comune, un chiaro messaggio sussurrato direttamente all’orecchio cinese.
Fine parte II – continua
Renato Scarfi
1 “Peace looks fragile in Asia”, di Paul Dibb, uno dei massimi esperti militari del Pacific Rim e direttore del Centro per gli Studi Strategici di Camberra, sull’International Herald Tribune 19 giugno 2002 (articolo ripreso anche dal New York Times)
2 Peter Frankopan, Le nuove vie della seta, Mondadori, 2019, pag. 104
articolo pubblicato originariamente su Difesaonline
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è un ufficiale pilota della Marina Militare della riserva. Ha frequentato il corso Normale dell’Accademia Navale e le scuole di volo della Marina Statunitense dove ha conseguito i brevetti di pilotaggio d’areo e d’elicottero. Ha ricoperto incarichi presso lo Stato Maggiore della Difesa, il Comando Operativo Interforze, lo Stato Maggiore della Marina, la Rappresentanza militare italiana presso la NATO a Bruxelles, dove si è occupato di strategia marittima e di terrorismo e, infine, al Gabinetto del Ministro della Difesa, come Capo sezione relazioni internazionali dell’ufficio del Consigliere diplomatico. E’ stato collaboratore della Rivista Marittima e della Rivista informazioni della Difesa, con articoli di politica internazionale e sul mondo arabo-islamico. È laureato in scienze marittime e navali presso l’Università di Pisa e in scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Trieste e ha un Master in antiterrorismo internazionale. È autore dei saggi “Aspetti marittimi della Prima Guerra Mondiale” e “Il terrorismo jihadista”
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