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livello elementare
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ARGOMENTO: ECOLOGIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: tutela del mare
.I ventuno Paesi che si affacciano sul Mediterraneo hanno fallito sinora nell’impegno globale stabilito dieci anni fa (obiettivo Aichi n.11 nell’ambito della Convenzione internazionale sulla Diversità Biologica) di proteggere entro il 2020 effettivamente ed efficacemente il 10% del loro mare e di fermare la continua perdita di biodiversità nella regione.
Lo dimostra il report del WWF reso noto il 29 novembre 2019 dal titolo: Verso il 2020: Fact check sulla tutela del Mediterraneo.
Nonostante risulti, solo sulla carta, complessivamente tutelato il 9,68% del Mare Mediterraneo, le aree marine a vario titolo protette (per norme internazionali e nazionali) che hanno propri piani di gestione sono solo il 2,48% e quelle che implementano i propri piani assicurando una gestione effettiva ed efficace sono ancora meno, il 1,27% e localizzate nella sponda nord del Mediterraneo. Se poi si passa a fare un focus su quale percentuale del Mediterraneo sia sottoposta a protezione integrale si scopre che solo lo 0,03% del Mar Mediterraneo beneficia della massima tutela..
L’Italia, che è apparentemente in una buona situazione tutelando a vario titolo il 19,12% delle proprie acque territoriali (0-12 miglia marine) e presentando piani di gestione nel 18,04% che tutelano teoricamente i nostri mari, in realtà non si discosta dallo sconfortante quadro generale descritto dal WWF, considerato che la gestione viene effettivamente implementata solo nel 1,67% delle nostre acque marine. Il Fact check del WWF è stato lanciato in vista della Conferenza delle Parti – COP 21 della Convenzione di Barcellona che riunirà la prossima settimana (2-5 dicembre) a Napoli con i 21 governi del Mediterraneo: la richiesta del WWF è di aumentare in maniera considerevole gli investimenti e le risorse nella gestione delle aree protette e ripristinare habitat e specie marine unici minacciati dallo sfruttamento eccessivo e dagli effetti dei cambiamenti climatici globali.
L’analisi WWF dimostra che nell’ultimo decennio quasi tutti i Paesi del Mediterraneo hanno palesemente disatteso l’obbligo di creare entro il 2020 una rete adeguata di aree marine a vario titolo protette: l’analisi fatta area per area dimostra che questa rete contribuirebbe fortemente al ripristino del capitale naturale marino che si stima possa generare 5.600 miliardi di dollari all’anno, principalmente nei settori della pesca, acquacoltura e turismo. Il fact-check del WWF evidenzia come a distanza di quattro decenni dal suo lancio, la Convenzione e le sue Parti contraenti stanno venendo meno al loro mandato e stanno lasciando il Mediterraneo in gran parte non protetto e sfruttato eccessivamente da industrie come petrolio e gas, attività in continua crescita..
La Convenzione di Barcellona per la Protezione dell’Ambiente marino delle Regioni costiere del Mediterraneo fu lanciata nel 1976 per tutelare la grande ricchezza della biodiversità marina del Mar Mediterraneo. Questo bacino, pur costituendo lo 0,82% della superficie degli oceani globali, ospita circa il 7,5% delle specie marine globali, con una presenza stimata recentemente di circa 17.000 diverse specie. Sono sette i Protocolli attuativi della Convenzione di Barcellona, che ancora non sono stati tutti ratificati dai ventuno Paesi. L’Italia dal 1979 ad oggi ha ratificato solo quattro protocolli (Dumping, Prevenzione dell’emergenza, Inquinamento da fonti terrestri, Aree protette e Diversità Biologica), mentre mancano ancora all’appello la ratifica dei Protocolli Offshore/Inquinamento da esplorazione e sfruttamento di idrocarburi, Protocollo sui Rifiuti Pericolosi e Protocollo sulla Gestione Integrata delle Zone Costiere.
L’Italia è, con la presenza di 14.000 specie stimate nelle proprie acque, uno dei Paesi del Mediterraneo più ricco di biodiversità marina. Si aggiunga che delle 8.750 specie indicate nella check list delle specie marine mediterranee, il 10% è nota esclusivamente per i mari italiani e che delle dieci specie di cetacei presenti con popolazioni nel bacino ben otto possono essere considerate regolari nelle acque italiane (fonte: WWF Medtrends). Al nostro Paese serve un salto di qualità nella tutela dei nostri mari, se davvero vuole rendere effettiva ed efficace la tutela dei 700 km di costa e dei 228mila ettari di mare tutelati, che dovrebbe essere assicurata dalle 27 Aree Marine Protette del nostro Paese. Le aree marine protette, purtroppo, continuano ad essere la parte più debole del sistema di tutela italiano: frammentate e di piccole dimensioni, con governance inefficace e finanziamenti limitatissimi.
Per non dire che il nostro Paese ha ancora aperte procedure di infrazione sulla depurazione delle acque e sulla designazione dei siti della rete Natura 2000 che inevitabilmente hanno ripercussioni a mare – dichiara la presidente del WWF Italia, Donatella Bianchi, che aggiunge: “Il Santuario dei cetacei Pelagos, la più grande area di tutela transnazionale dei mammiferi marini istituita al mondo, che da solo contribuisce ad una quota del 3,4% della superficie complessivamente a vario titolo protetta del Mediterraneo, continua ad essere un gigante dai piedi di argilla, senza un vero e proprio ente gestore. È arrivato il momento che l’Italia assuma un’iniziativa nei confronti degli altri Paesi che hanno contribuito a istituirlo nel 1999 (Francia e Principato di Monaco) per far valere nel Mediterraneo nord occidentale misure reali di regolazione del traffico marittimo che salvino i cetacei ed evitino il rischio collisioni e mettano un argine all’inquinamento marino, a partire da quello della plastica.“.
“La Convenzione di Barcellona offre ai governi mediterranei uno strumento unico e utile per lavorare insieme, tuttavia ha bisogno di un cambio di passo” afferma Giuseppe Di Carlo, direttore della Mediterranean Marine Initiative del WWF. La cronica mancanza di investimenti e di interesse dei paesi rispetto alla biodiversità sta minando seriamente la capacità del nostro mare di mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici e di sostenere la nostra economia blu. Per i leader mediterranei la protezione della biodiversità deve diventare una delle massime priorità politiche, devono cioè, impegnarsi a proteggere efficacemente almeno il 30% del Mediterraneo entro il 2030, aggiunge Di Carlo.
Il Fact check del WWF evidenzia ritardi e fallimenti ricorrenti da parte di quasi tutti i paesi del Mediterraneo nel passaggio da parchi sulla carta ad aree protette ben gestite in mare.
Ad esempio, Croazia, Italia, Grecia, Slovenia e Spagna hanno designato una parte considerevole delle loro aree marine come aree a vario titolo protette, ma le misure di gestione finalizzate a proteggere la biodiversità sono spesso inadeguate e, quando effettive, sono limitate a pochissime aree. Altri paesi, come Albania, Algeria, Cipro, Israele, Marocco, Montenegro, Slovenia e Turchia, hanno limitato i loro sforzi di gestione a pochi o piccolissime aree protette. Egitto, Libano, Libia, Siria, Tunisia e Monaco non hanno attuato o approvato alcun piano di gestione o monitoraggio nelle aree che sostengono di proteggere.
Una parte insignificante del mare, calcolata allo 0,03%, è attualmente completamente protetta da qualsiasi intervento umano.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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