ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: ODIERNO
AREA: MEDITERRANEO
parole chiave: immigrazione
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Dal 10 al 11 dicembre 2018, si terrà a Marrakech, Marocco, la conferenza internazionale per l’adozione di un patto globale per assicurare una migrazione sicura, ordinata e regolare. Il documento “Global compact for safe, orderly and regular migration” è già stato distribuito e, in prima analisi, presenta alcuni aspetti controversi già sollevati da alcuni analisti. Fra di essi, Diplomazia italiana ha pubblicato un’analisi del documento identificando diverse criticità, esprimendo preoccupazione per l’ambiguità della sua matrice ideologica, dei suoi effetti e dell’azione a suo sostegno portata avanti dalle Nazioni Unite e dell’OIM, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. In estrema sintesi, l’analisi sottolinea come questo “Patto globale” attribuirebbe alle Nazioni Unite funzioni di governance sovranazionale dell’immigrazione, divenendo “gestore” dei flussi migratori internazionali e sottraendo agli Stati il controllo dei propri confini, di fatto privandoli della loro sovranità.
La tematica è di estrema delicatezza, in particolar modo per Paesi di confine come l’Italia, la cui collocazione geografica ne fa un crocevia dei flussi migratori. Nel colpevole silenzio, rotto solo da dichiarazioni lapalissiane e poco visionarie sul futuro del pianeta, si ha la sensazione che la situazione del controllo migratorio possa sfuggire di mano creando sempre maggiore instabilità le cui prime vittime sarebbero i Paesi di confine.
Il documento citato vale un’analisi accurata e va menzionata la pregevole iniziativa del Centro di studi politici e strategici Machiavelli che, per primo in Italia, ha lanciato il dibattito sviluppando un approfondito dossier, “I global compact su migrazioni e rifugiati“ recentemente presentato alla Camera dei Deputati.
L’autore, Carlo Sacino, analista geopolitico del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, ha esaminato il documento dell’ONU, effettuando un interessante raffronto con il programma dell’attuale governo italiano in materia di immigrazione e mettendone in evidenza compatibilità ed incompatibilità. Tra gli obbiettivi più discutibili del documento si ritrova una “non meglio specificata” estensione dei diritti ai migranti indipendentemente dallo status di legalità del loro ingresso nei Paesi di approdo, inclusi servizi di base, e un limite alla custodia cautelare dei clandestini (aspetto che fino a prova contraria ricade nelle decisioni di politica interna di un Paese ovvero nella sua sovranità di decidere gli aspetti legali e giuridici al suo interno). Le conclusioni dell’autore confermano il punto di vista espresso anche da Diplomazia italiana ovvero che il “Patto globale” sull’immigrazione proposto dall’ONU non è nell’interesse degli italiani.
Una decisione pericolosa che potrebbe essere il primo passo per un governo mondiale al di sopra delle sovranità nazionali
A Marrakech i governi del mondo saranno chiamati a firmare due documenti. Il “Patto globale” per un’immigrazione “sicura, ordinata e regolare” ed il “Patto globale per i rifugiati”. Entrambi i documenti mirano, tramite un approccio multilaterale, a creare un mondo dai confini aperti. Il “Patto globale sull’immigrazione” presenta numerose criticità che tradiscono la sua impostazione marcatamente ideologica e superficiale per affrontare in maniera pragmatica le sfide che colpiranno il pianeta nei prossimi anni. Primo: il documento preconizza flussi migratori continui, giustificandoli con motivazioni sia economiche sia demografiche. Secondo: esso vuole creare obblighi crescenti in capo agli Stati circa i servizi da fornire agli immigrati, indipendentemente dal loro status giuridico. Terzo: il “Patto globale” si propone di impedire di perseguire penalmente chi fornisce assistenza indebita all’immigrazione. Di fatto non sembra dare soluzioni ma palliativi che possono avere un vantaggio limitato nel tempo e che sfoceranno in un’instabilità globale. Le prime reazioni internazionali sono controverse. Paesi come gli USA, l’Australia, l’Ungheria e l’Austria hanno già espresso il loro disaccordo ed hanno dichiarato che non aderiranno al “Patto globale sull’immigrazione”.
Il “Patto globale sui rifugiati” si concentra invece sul rafforzamento della cooperazione internazionale, rimpatri volontari e creazione di piattaforme di supporto temporanee per le emergenze. La chiave di lettura che ne indica la debolezza è proprio nel “supporto temporaneo” al problema ovvero dove dovrebbero essere realizzate. Senza un equa distribuzione nel nostro Paese una simile tendenza sarebbe catastrofica. Ben vengano invece strutture vicine ai luoghi di origine, supportate equamente dalla comunità internazionale.
Considerazioni
I media italiani parlano spesso di mancanza di solidarietà del Governo Conte verso i migranti dal cosiddetto terzo mondo. Di fatto il programma di Governo prevede, tra le tante cose, delle azioni largamente condivisibili in merito al tema dell’immigrazione che richiedono una riduzione della pressione dei flussi sulle frontiere esterne, una rinegoziazione delle missioni europee nel Mediterraneo (per ottenere una redistribuzione dei migranti tra i paesi europei), un ricollocamento obbligatorio ed automatico de richiedenti asilo ed un allontanamento dei richiedenti asilo in caso di reati.
Tutto in una auspicata trasparenza nella gestione dei fondi pubblici per l’accoglienza. A questa ricerca di maggiore pragmatismo si osserva uno sfruttamento incomprensibile di tali realtà per motivi concettualmente incomprensibili se non giustificati da un antagonismo puramente politico. In questo contesto appare interessante l’atteggiamento dei grandi Paesi europei che avversano la politica italiana in ogni modo, tacciando il popolo italiano di razzismo e nel contempo scaricano tutto il peso sul nostro Paese. Considerando che questa situazione mette economicamente in crisi l’Italia e la sua politica estera (come membro dell’Unione Europea) si potrebbe pensare male ovvero a chi giova l’indebolimento dell’Italia? Certamente alle altre potenze industriali che hanno dimostrato di parlare molto bene ma di non accettare, con motivi diversi, un equa redistribuzione dei migranti. Ed il bersaglio mediatico è sempre l’Italia che di sicuro non deve accettare lezioni di etica da molti altri Paesi vicini. Di fatto chi continua a rimetterci è quella parte dei bisognosi che, attraverso mille peripezie, attraversano il mare per un ottenere un futuro migliore.

i profughi di guerra hanno diritto di aiuto … ma quanti migranti possono essere assimilati a questa categoria? Secondo il Viminale, a giugno 2018, delle 44.233 richieste (31.367 presentate quest’anno e le restanti “avanzate” dall’anno scorso), meno della metà hanno avuto un esito positivo: il 7% ha ottenuto lo status di rifugiato, il 4% la protezione sussidiaria e il 28% il permesso straordinario per “motivi umanitari”. Il restante 61% é stato respinto (negli anni precedenti no era stato diverso, ad esempio nel 2017 era il 57%).
Certo non è facile farsi un’idea chiara
Le immagini che pervengono dai media mostrano un popolo di disperati che cercano un futuro migliore in Europa fuggendo da guerre e conflitti sociali. La fuga sembra essere l’unica possibilità per sopravvivere. Come dargli torto vedendo gli orrori che ci vengono mostrati ad hoc dai mass media. In realtà, e per fortuna, le cose in molti casi non sono proprio così. Di fatto le fonti ufficiali (non solo italiane) parlano di una netta maggioranza di migranti economici che, non senza sacrifici, investono le loro risorse per attraversare il mare ed accedere ai Paesi Europei.
Ora seguitemi con attenzione
Pagare migliaia di dollari per attraversare il mare è un biglietto molto costoso per persone che vengono da Paesi in cui una famiglia vive con 50 dollari al mese. Come è possibile che ciò avvenga con una tale facilità? Se queste persone sono abbienti o comunque in disponibilità economica come possono far pervenire il denaro a destinazione? Esiste un meccanismo interessante che viene descritto dal dottor Giuseppe Morabito, membro dell’Osservatorio sul Fondamentalismo religioso e sul terrorismo e del International Institute of Humanitarian Law. Si chiama Hawala, il più famoso e storico sistema finanziario informale nel mondo arabo, che trae le sue origini dalla legge islamica tradizionale sin dall’ottavo secolo. Esso si basa su un rapporto fiduciario tra il richiedente, che dispone la rimessa, e il broker che la materializza. Questo sistema di finanziamento è funzionale a trasferire denaro, molte volte di provenienza illecita, senza passaggi fisici. In pratica chi vuole raggiungere un altro Paese consegna il denaro ad un intermediario (hawaladar) che si trova nel Paese di origine. L’intermediario comunica un codice di autenticazione che questi ricorderà una volta giunto a destinazione. Una volta terminato il viaggio, il migrante si presenterà ad un altro hawaladar, che risiede nel Paese di arrivo, che, una volta verificato il codice, liquiderà la somma convenuta al beneficiario. In pratica non esiste alcun trasferimento fisico di denaro, ma un sistema di compensazione.
Gli hawaladar opererebbero in attività commerciali (bazar, alimentari, compro oro, phone center, etc) che nulla hanno a che vedere con le banche o attività a norma e controllabili. A questo punto le congetture possono essere diverse: da chi emigra verso un nuovo Paese per trovare un futuro migliore a chi lo fa per motivi politici o terroristici. Attraverso l’hawala gli scambi di denaro diventano occulti e non controllabili. Si può immaginare anche un tragitto al contrario, ovvero soldi che vengono trasferiti ai Paesi di origine in un ciclo di riciclaggio. Ovviamente non è sempre così ma il dubbio rimane.
A chi giova minare la sovranità di uno Stato?
Considerando che buona parte dei migranti sono senza un lavoro stabile e cadono nelle mani della criminalità organizzata, vivendo oltre il limite accettabile, pensate che stiamo facendo un opera meritoria a concedergli un’accesso senza limiti alle frontiere?
Non si comprende come un organismo internazionale come l’ONU possa decidere di obbligare uno Stato sovrano ad accogliere un volume di migranti non dignitosamente gestibile. E’ facile fare, nei salotti dei benpensanti o nei salotti televisivi, un raffronto con i nostri connazionali che negli ultimi due secoli lasciarono aree depresse del nostro Paese per cercare fortuna in Europa o oltre oceano. In realtà il quadro sociale attuale è molto diverso e non comparabile.

Filippine – da shutterstock
I migranti di oggi hanno un sogno molto diverso di quelli del secolo scorso, ed inseguono falsi miti maturati grazie ai programmi trasmessi via satellite e ricevuti dalle antenne satellitari, onnipresenti nelle bidonville africane e dell’America latina. Basta parlare con alcuni di loro della loro storia pregressa e di cosa si aspettano e si rimane sconcertati. Il meccanismo di accoglienza nel nostro Paese purtroppo non funziona e non può funzionare con queste premesse rendendo questi disperati facile preda di criminalità nostrana (ma non solo). Ironicamente, credendo di fare del bene, creiamo risentimento e avversità verso il nostro modo di vivere che non possono comprendere. Inoltre, sono stati scoperti casi di Associazioni che hanno sfruttato a loro vantaggio lo Stato, incamerando fondi per il sostegno di questi disperati. Naturalmente non si può generalizzare ma in quei casi si verificarono situazioni umanamente inaccettabili che spesso terminavano con l’allontanamento volontario dei migranti, spesso per disperazione, che a loro finivano in mano ad organizzazioni criminali. Non meravigliamoci se prostituzione e spaccio di droga sono diventati tristi destini di molti di loro.
Purtroppo, “Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è uno dei principali e più remunerativi business criminali“. E’ quanto viene sottolineato nella Relazione semestrale della Dia, spiegando che le organizzazioni criminali straniere e quelle italiane hanno formato delle alleanze che impegnano ancora di più le nostre forze dell’ordine. I mass media, con giusto disdegno, mostrano questi disperati in aree degradate lamentandosi della mancanza delle Istituzioni che non si curano della dignità di queste persone. Niente da eccepire se non fosse che alcuni di questi “disperati” non sembra vogliano integrarsi ma solo attingere alle presunte ricchezze del nostro Paese. Nel frattempo note testate giornalistiche continuano a proporre una politica basata su temi sociali importanti come la solidarietà verso i bisognosi senza però fare una valutazione asettica dell’effettiva sostenibilità di questo sforzo da parte del nostro Paese.
In altre parole, siamo in grado di assorbire una massa sempre maggiore di migranti con costi enormi che non sono e non potranno mai essere sostenibili?
Sarebbe certamente meglio ottenere una moratoria internazionale al fine di creare condizioni di sviluppo in quei Paesi. I vantaggi sarebbero enormi: innanzitutto i migranti non dovrebbero abbandonare la loro terra e le loro origini, mantenendo così i loro usi e costumi, dettati dalla loro cultura, senza dover subire l’impatto di dover vivere in un altro mondo che si basa su principi etici, morali e religiosi sviluppati in secoli di differente cultura.
Il mondo occidentale potrebbe investire nel loro sviluppo risparmiando in investimenti e spese interne (sanità, educazione e forze dell’ordine/armate) e creando in loco le condizioni di sicurezza e progresso di cui i migranti hanno bisogno. Questo favorirebbe un approccio di integrazione decisamente più morbido grazie alle condizioni ambientali più congegnali. Inoltre, si spezzerebbe il flusso criminale che vede nella disperazioni di molti un modo per poter fare denaro illecito. Un flusso criminale che vede alleate mafie transnazionali con le quali, soprattutto in mare, è in corso una lotta senza quartiere. Questo non vuol dire che si dovrebbero creare mondi a velocità differente? Assolutamente no, anzi il progresso si baserebbe su condizioni di sviluppo armonizzate con il tessuto sociale locale che favorirebbero gli interessi comuni.
Un errore di base
In sintesi, il grosso errore compiuto dall’Occidente è stato quello di voler interpretare il modo di vivere degli altri sui nostri parametri cercando poi di imporli a civiltà che si sono evolute nei secoli in maniera differente. Questa diversità culturale ci rende complesso comprendere le loro ragioni e pone le basi di fenomeni sociali estremi come il razzismo. In contrapposizione nasce la “solidarietà integralista” che vede solo i problemi dell’immediato senza una visione olistica del problema.
Di fatto, introducendo fattori di instabilità sociale andiamo a minare il tessuto connettivo della nostra società che sarà sempre meno in grado di risolvere le sfide future. Per assurdo questa falsa solidarietà crea solo attrito e paura verso i nuovi arrivati. L’immigrazione deve essere quindi compatibile con la nostra effettiva possibilità di ricezione. Invece di aprire ciecamente le porte, dovremmo investire nelle aree di origine o limitrofe, come proposto da due studiosi di Oxford, Collier e Betts, che hanno ipotizzato la creazione di rifugi-città in paesi terzi sicuri e vicini ai luoghi di crisi.

diamo loro ciò di cui hanno bisogno: stabilità, educazione, sviluppo
Il piano di azione contenuto nel documento dell’ONU propone una distribuzione delle competenze secondo il principio del vantaggio comparato. I Paesi sviluppati del mondo provvederebbero all’onere economico per intero, mentre quelli in via di sviluppo all’onere fisico.
Secondo l’analisi presentata dal Centro di studi politici e strategici Machiavelli i 5 miliardi di euro dedicati dall’Italia nel 2018 all’accoglienza sarebbero più che sufficienti a mantenere il 90% dei rifugiati che ora si trovano nei paesi in via di sviluppo. Quindi perché non optare per una soluzione di aiuto decentrato? Ulteriori importanti vantaggi includerebbero viaggi più brevi e sicuri per i rifugiati (compreso quello del ritorno) e minori differenze socio-culturali che faciliterebbero l’integrazione.
In sintesi, il Governo italiano, nella prossima fase di discussione del Patto dovrebbe opporsi fermamente ad una politica no-border, che porrebbe le basi della creazione di un irresponsabile “diritto a migrare”, e spingere invece verso una gestione olistica del problema al fine di evitare un non gestibile effetto “palla di neve” che porterebbe un aumento dei fenomeni di xenofobia e malessere sociale, fenomeni forieri solo di maggiore instabilità sociale.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
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