Scenari per il futuro dell’oceano
In un recente studio, viene presentata una interessante valutazione su ciò che la razza umana ha causato in questi ultimi anni, perseguendo in un cammino verso l’estinzione ecologica delle specie e degli ecosistemi oceanici del pianeta. Ho trovato questo lavoro molto interessante e trova molte conferme in altri studi futurologici, come Multiple Future redatto dal Comando NATO di Transformazione (Allied Command Transformation). L’autore, Jeremy Jackson, rivela che, se da un lato stiamo assistendo ad un esplosione demografica di specie animali e vegetali precedentemente rare, dall’altro osserviamo delle perdite di biodiversità importanti per l’uso alimentare umano. Ad esempio si è notata una crescita di specie come le meduse a fronte delle risorse ittiche o di dinoflagellati tossici che si sostituiscono al fitoplancton in precedenza dominante.
Tendenze previste
Quale sarà la vita futura negli oceani? Purtroppo il trend è chiaramente evidente; si rende necessario agire rapidamente per ridurre la pesca eccessiva, l’inquinamento e l’aumento di CO2 in atmosfera. Jackson sottolinea che la piccola pesca morirà soffocata dalla multinazionali del pescato e molte specie pregiate, come il tonno rosso, potrebbero addirittura estinguersi. A causa di cambiamenti climatici e dell’inquinamento, le acque superficiali diventeranno sempre più calde ed acide, con conseguente rapido declino ed estinzione della maggior parte dei coralli di barriera e di altri organismi calcificanti.

i grandi pesci scompariranno?
Le acque superficiali più calde e leggere inibiranno il mescolamento verticale dei nutrienti in superficie e quello dell’ossigeno nelle acque più profonde, con conseguente crollo della produttività negli ecosistemi pelagici ed ipossia diffusa al di sotto del termoclino. Un fenomeno non straordinario in quanto già avvenuto decenni fa nel Mar Nero. L’allargamento delle “zone morte” attorno ai continenti e di altre forme di inquinamento renderà le acque costiere troppo tossiche per l’acquacoltura ed aumenteranno le epidemie di malattie. La fusione accelerata degli strati di ghiaccio polari libererà grandi quantità di acqua dolce che galleggeranno sulla superficie degli oceani inibendo ulteriormente la miscelazione verticale ed alzando il livello del mare che inonderà i litorali. Un fenomeno importante che interesserà in certi casi centinaia di chilometri nell’interno delle coste. Nello stesso tempo l’intensità delle tempeste crescerà minacciando le popolazioni e gli ecosistemi costieri. Non ultimo anche i cicli bio-geo-chimici globali saranno profondamente alterati.

Cronologia dei cambiamenti ambientali ed ecologici nel SWC costiero negli ultimi 10 anni. (a) Struttura ecologica di assemblaggi biotici stimati dall’asse PCA 1, (b) per cento di carbonato nei sedimenti, (c) MART e (d) tassi di estinzione per specie di corallo e molluschi generati. Il cambiamento ambientale si concentra nel periodo della chiusura finale dello stretto di Panama intorno a 4,4-3,5 Ma, mentre i picchi in estinzione sono rimasti indietro di 1-2 Myr. Le barre di errore orizzontali indicano intervalli di confidenza del 95% e le barre verticali indicano le stime di età massima e minima delle collezioni. Adattato da O’Dea et al. (2007). dallo studio di Jackson
In sintesi, a meno di un’azione decisiva per invertire le tendenze attuali, non è difficile immaginare come questi cambiamenti previsti possano portarci ad una catastrofe globale per l’umanità. Gli oceani stanno diventando più caldi e il ghiaccio marino più acido. Quello polare si sta sciogliendo in modo misurabile più rapidamente di quanto previsto dai modelli climatici globali di dieci anni fa. L’eutrofizzazione, l’ipossia e il numero di zone morte aumentano in modo misurabile in quantità e dimensioni. La miscelazione verticale degli oceani diminuisce sensibilmente con diminuzioni considerevolmente grandi nella produttività pelagica. Sempre più attività di pesca sono crollate con la concomitante estinzione ecologica di grandi specie ittiche. Quindi, la domanda non è se queste tendenze avverranno, ma quanto velocemente avverranno e quali saranno le conseguenze per gli oceani e l’Umanità.

24 specie comuni di briozoi cupuladridi hanno risposto al cambiamento ambientale (barra gialla orizzontale) nel SWC. Con il crollo della produttività planctonica, le specie sopravvissute riducevano significativamente i loro livelli di riproduzione clonale, mentre le specie di nuova origine erano prevalentemente aclonali. Al contrario, le specie che non riuscirono a ridurre i livelli di riproduzione clonale si estinsero 1-2 Ma, dopo che l’ambiente cambiò, tranne che per due specie, indicate dagli asterischi nella figura, che sopravvissero nel Pacifico orientale (rosso). Lo spessore della barra verticale per ogni specie rappresenta la percentuale di colonie clonali. I dati per tutte le specie combinate (barra grigia / estrema destra) sono stati calcolati come la percentuale di tutte le colonie clonali indipendentemente dalle specie. Si noti che la clonalità dello 0% viene spostata leggermente a destra per dare dei valori interamente aclali di spessore. Adattato da O’Dea e Jackson (2009). dallo studio di Jackson
Interessante osservare che le variazioni oceanografiche previste supereranno quelle connesse con la trasformazione ecologica e le estinzioni di specie caraibiche a seguito del sollevamento del istmo di Panama, e si avvicineranno a quelle del primo Cenozoico e agli eventi ipertermali del Mesozoico. Questo fattore è importante perché precedenti episodi di anossia, avvenuti nel passato geologico del pianeta, furono associati ad estinzioni di massa di specie marine di acque profonde e coralli della barriera corallina. Se si pensa che l’anossia alla fine del Permiano comportò l’estinzione del 95% delle specie animali del pianeta, il futuro non appare roseo e un’altra grande estinzione di massa appare quindi inevitabile.
Come possiamo prevenire il degrado irreversibile degli oceani?
La popolazione del pianeta è troppo elevata e si sono verificati troppi cambiamenti chimico-fisico per riportare rapidamente gli oceani al loro stato originario. Il rate demografico necessiterà di sempre maggiore energia con inevitabili costi ambientali. Già oggi lo sfruttamento delle risorse del pianeta è insostenibile; consideriamo che l’impatto ambientale umano è passato dai circa due miliardi di persone nel 1950 (che utilizzavano da un terzo alla metà delle risorse rinnovabili della Terra) a 6,8 miliardi di persone che oggi ne utilizzano più del 140% (Global Footprint Network 2010). Per assicurarci un futuro, è necessario un impegno sociale, economico e politico affrontando i tre grandi fattori di degrado dell’oceano: la pesca eccessiva, l’inquinamento e l’aumento di CO2.
Si può fare
La pesca eccessiva è potenzialmente reversibile tramite semplici ma decisi cambiamenti nel comportamento umano. Al momento pochissime specie ittiche di interesse economico si sono estinte. La maggior parte delle attività di pesca costiera sono diminuite o crollate, e l’inefficacia delle misure internazionali di fermare la pesca pirata e per ridurre lo sfruttamento delle specie in pericolo critico suggerisce che gli esseri umani non siano in grado di applicare una moderazione dei loro appetiti su scala globale. La moratoria sulla caccia alle balene è un’eccezione ma non ha sortito effetti concreti con molti paesi. Se si guarda al futuro, i grandi predatori saranno sull’orlo dell’estinzione entro questo secolo.
L’inquinamento da sostanze nutritive è anch’esso potenzialmente reversibile applicando riforme drastiche delle pratiche agricole, sostanziali restrizioni all’uso di fertilizzanti, ed un trattamento delle acque reflue di tutti i rifiuti animali. Gli sforzi per ridurre nutrienti legati al dilavamento degli estuari, come nel Baltico e nella Chesapeake Bay, hanno incontrato solo qualche modesto successo. L’ipossia sfortunatamente può persistere a tempo indeterminato. Per quanto concerne il run-off dei nutrienti degli oceani la tendenza generale è in forte aumento.
Con queste circostanze, entro questo secolo, il numero e le dimensioni delle zone morte (dead zone) come nel Golfo del Messico (vedi la foto a lato), aumenteranno e formeranno delle strisce continue di migliaia di chilometri lungo le coste di tutti i continenti. Il rapporto OSPAR 2002 sullo stato di salute degli ecosistemi marini ritiene che la causa sia attribuibile ai livelli di azoto. Questo comporta un incremento della DCO (domanda chimica di ossigeno) e della DBO (domanda biologica di ossigeno). Anche le fioriture tossiche aumenteranno in dimensioni e frequenza e la produzione primaria sarà sempre più dominata dal ciclo microbico, con effetti catastrofici sulla pesca e sull’acquacoltura.
Le sfide per ridurre le emissioni di gas serra sono ancora maggiori. Ciononostante, si potrebbero ottenere riduzioni rapide ed importanti grazie ad una combinazione di incentivi economici e tassazioni verso gli inadempienti. Il tutto sulla base di un impegno globale per lo sviluppo di energia più efficiente e di tecnologie alternative ad emissione zero. La necessità di un’azione immediata è pressante perché il riscaldamento degli oceani e l’acidificazione continueranno ad aumentare per secoli a causa dell’impatto residuo delle emissioni rilasciate fino ad oggi. A parte lo sviluppo di miracolose tecnologie per assorbire la CO2 su vasta scala, di fatto il riscaldamento e l’acidificazione continueranno indefinitamente. Tutti noi siamo responsabili della situazione e dovremo impegnarci insieme per fare la differenza. L’alternativa è un mondo con centinaia di milioni, se non miliardi, di rifugiati climatici, in crescente conflitto globale per l’acqua, cibo e luoghi abitabili da vivere.
Sia ben chiaro, i problemi sono al 99% economici e politici e non scientifici, e non abbiamo bisogno di nuovi dati scientifici per sapere cosa fare. La domanda che Jackson ci pone è se possiamo superare la nostra apatia, ignoranza, corruzione e avidità per agire in modo responsabile o aspettare che la catastrofe ci colpisca.
Non possiamo dargli torto.

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