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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVIII SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Corsica, Genova, brigantini, feluche
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Dal 1729 al 1768 la Corsica fu scossa da quarant’anni di sollevazioni contro il dominio genovese e di guerre civili fra ribelli e lealisti. L’isola costituiva l’antemurale di quel mar Ligure su cui la Repubblica rivendicava un dominio esclusivo, e rappresentava il principale bacino di reclutamento dell’esercito genovese. Al suo possesso, inoltre, era legata buona parte del prestigio internazionale della Repubblica. Per questi motivi il suo controllo era considerato fondamentale dalla maggioranza dell’oligarchia genovese. E tale considerazione si mantenne inalterata fino alla fine del conflitto còrso, nonostante il progressivo ed evidente deterioramento delle risorse militari e finanziarie della Repubblica, risorse consunte da quello che apparve già a molti contemporanei come un tunnel senza via di uscita.
Un teatro di guerra particolare
Questo quarantennio fino a pochi anni fa è stato studiato soprattutto dal punto di vista còrso, come un conflitto principalmente terrestre che presenta significativi risvolti marittimi solo durante il generalato di Pasquale Paoli.
Dal punto di vista genovese, tuttavia, il mare rivestì un ruolo fondamentale per l’intero arco del conflitto. Per comprendere appieno l’importanza che ebbero le operazioni navali nelle guerre di Corsica si devono tener presenti alcuni elementi fondamentali che caratterizzarono il teatro bellico nel suo complesso. In primo luogo le sollevazioni ebbero quasi sempre il proprio epicentro nelle regioni dell’interno, di riflesso la presenza genovese si concentrò sulle coste, grazie al costante possesso delle piazzeforti di Bastia, Aiaccio, Calvi e Bonifacio, di altri presidi minori e di un numero alquanto variabile di torri litoranee. In secondo luogo i presidi costieri svolsero il ruolo fondamentale di basi e punti di appoggio per i corpi di spedizione inviati verso l’interno e rappresentarono, inoltre, altrettanti punti di collegamento tra Genova e le regioni controllate dalle fazioni lealiste. Infine il sistema logistico genovese, in forza della pochezza delle vie di comunicazione terrestri, privilegiò di gran lunga i vettori marittimi, anche su distanze che a terra sarebbero risultate notevolmente inferiori.
La presenza genovese in Corsica risultò quindi saldamente ancorata alle coste, con alcune significative propaggini verso l’interno nella parte meridionale e sudorientale dell’isola, che dipendevano costantemente anch’esse dai rifornimenti via mare. In un quadro siffatto emerge con evidenza l’importanza che ebbero le operazioni navali, sia di per sé, sia in funzione di quelle terrestri. Ma non si trattò solo di questo. Le sollevazioni si alimentavano attraverso il contrabbando marittimo, grazie al quale i ribelli si procuravano materiale bellico e sale, per il cui approvvigionamento l’isola dipendeva totalmente dall’esterno. La lotta al contrabbando fu di conseguenza uno degli elementi centrali della strategia genovese e in alcuni momenti, di fronte all’inefficacia delle operazioni terrestri, assurse al rango di obiettivo principale, nella speranza che l’insurrezione si sarebbe esaurita per mancanza di mezzi. Per perseguire tale obiettivo era indispensabile controllare capillarmente gli oltre mille chilometri di coste dell’isola, ed era necessario farlo senza poter fa conto sul cordone di torri litoranee realizzato fra tardo Cinquecento e Seicento; cordone che, in conseguenza delle alterne vicende del conflitto, era stato in gran parte smantellato. La lotta al contrabbando fu quindi affidata alla marina da guerra, e il teatro marittimo divenne ancor più centrale quando, negli anni Sessanta, alla lotta al contrabbando si affiancò anche quella contro la flotta corsara allestita dal generale ribelle Pasquale Paoli.
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La Marina da guerra della Repubblica di Genova: galee pubbliche ed armamenti privati
Quando parliamo della marina da guerra della Repubblica di Genova ci riferiamo – come è tipico di molte realtà di antico regime e in particolare proprio di quella genovese – in parte ad una flotta statale, in parte ad imbarcazioni private, impiegate saltuariamente in caso di necessità.
Nel 1729 lo stuolo ordinario, ossia la flotta permanente, si componeva di cinque galee, ridotte poi a quattro nel 1748. Si trattava quindi di una forza modesta, peraltro poco adatta al teatro bellico còrso, in quanto le galee non erano i bastimenti più idonei per la caccia ai piccoli navigli utilizzati dai contrabbandieri e dai corsari ribelli. Soprattutto per questo motivo le galee venivano solitamente inviate in corso con almeno una feluca, un felucone o una piccola galeotta di conserva. Queste unità leggere, infatti, erano considerate determinanti per il buon esito delle operazioni di caccia, tant’è vero che i capitani delle galee, nelle poche occasioni in cui dovettero operare senza il loro appoggio, non mancarono di evidenziare quanto fossero necessarie. Si trattava di legni mercantili noleggiati e armati temporaneamente in pubblico servizio.
brigantino a destra e feluca a sinistra – autore ignoto
Fu questa la componente preminente nel teatro marittimo còrso, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. Essa non fu limitata ai legni armati come conserve delle galee ma comprese anche, e soprattutto, velieri e bastimenti a remi di varie dimensioni che operarono indipendentemente dalle unità dello stuolo permanente.
Ed è interessante notare che anche i mercantili armati di maggiori dimensioni – pinchi, barche, galeotte e brigantine a remi – furono sovente affiancati da unità leggere a remi di conserva, formando un binomio fra “nave madre” e “unità cacciatrice” analogo a quello costituito da una galea e dalla sua conserva. Tra il 1729 e il 1768 la tipologia dei mercantili armati in corso e in guerra fu quanto mai varia. Nella documentazione ritroviamo, come abbiamo già accennato, sia bastimenti a vela, come i pinchi e le barche; sia bastimenti a remi come le brigantine, le galeotte, i feluconi, le feluche, i leudi e le gondole; sia, infine, imbarcazioni a propulsione mista, velica e remica, come i piccoli pinchi «corridori» di Laigueglia e lo sciabecchino Il Veloce.
Lo sciabecco era una imbarcazione di origine araba con tre alberi a vela latina del peso di circa 150 tonnellate, armate generalmente con 12 o 20 cannoni usata spesso come nave da carico. Originariamente era usata come imbarcazione per la pesca con le reti che discendeva dal dromone bizantino, più corto ma più capiente della galea. possedeva 3 alberi con vele latine e fiocco latino teso tra l’albero di bompresso e quello di trinchetto e con un certo numero di remi (da otto a dodici). Tipica Mediterranea, fu usata dalle marine europee a partire dal XIV secolo ma il suo massimo periodo di diffusione fu il Settecento per contrastare i corsari barbareschi. – nota della redazione – autore Sciabecco ligure (cherini.eu)
Per comprendere appieno la varietà dei navigli di cui stiamo parlando si devono tener presenti due fattori. Innanzitutto nella civiltà del legno le costruzioni navali non erano standardizzate come ai giorni nostri. I maestri d’ascia erano artigiani, e da artigiani realizzavano i bastimenti come prodotti singoli e unici, anche se indubbiamente con una struttura riconducibile a una, o più, tipologie generali. In secondo luogo i bastimenti durante la loro vita subivano spesso trasformazioni anche radicali. Ad esempio, per quanto riguarda il nostro caso, i mercantili armati, prima di prendere servizio, passavano dall’arsenale di Genova dove venivano modificati assumendo caratteristiche più idonee all’impiego bellico e, spesso, mutando anche radicalmente d’aspetto.
Gli organi del governo genovese preposti all’organizzazione delle forze navali sceglievano i mercantili da armare in guerra in base ad esigenze sia operative che economiche. Una prima distinzione riguardava la stagionalità delle operazioni. In linea di massima per le operazioni nella buona stagione erano preferiti i legni a remi, più adatti a navigare nelle calme estive. Viceversa in inverno la scelta cadeva solitamente sui velieri, perché tenevano meglio il mare col cattivo tempo. Una seconda distinzione riguardava gli scopi operativi. Per le operazioni di caccia ai piccoli bastimenti ribelli erano più adatti i legni leggeri a remi (cioè le gondole, i leudi, gli scappavia, le feluche e i feluconi), in forza di una maggiore manovrabilità e agilità, soprattutto sotto costa. Tuttavia le forze navali non erano destinate solo alla caccia dei corsari ribelli e dei contrabbandieri, ma dovevano espletare anche missioni di trasporto, di supporto alle operazioni militari terrestri e di contro corsa anti barbaresca. In questo caso i velieri e i bastimenti a remi più grandi (come le brigantine a remi e le galeotte) erano più adatti, perché avevano maggiore capacità di carico dei legni leggeri e, essendo meglio armati, erano più idonei ad affrontare le imbarcazioni barbaresche. La soluzione ottimale sarebbe stata quella di mobilitare squadre miste numericamente consistenti in modo da garantire la massima flessibilità operativa. Ma nel corso del conflitto i governati genovesi dovettero subordinare costantemente le necessità belliche alle condizioni tutt’altro che floride delle casse pubbliche. Da qui la ricerca di soluzioni che coniugassero efficienza ed economia di spesa, mediante l’uso di bastimenti con caratteristiche adatte all’espletamento di compiti diversi: pinchi «corridori» e piccoli sciabecchi veloci muniti di remi, brigantine modificate in modo da assumere alcune delle caratteristiche proprie delle galeotte e feluconi più grandi e meglio armati di quelli normali. Si trattò inoltre, quasi sempre, di un numero limitato di imbarcazioni che, visti gli enormi spazi marittimi da coprire, ottenevano risultati modesti.
Ma da dove provenivano i mercantili armati?
È interessante notare, a questo riguardo, che i bacini di reclutamento di questi bastimenti e dei loro equipaggi furono quasi sempre gli stessi e coincisero con quelle comunità delle riviere liguri in cui esisteva una tradizione cantieristica radicata, con particolari specializzazioni soprattutto per quanto riguardava i legni a remi. Da Chiavari, ad esempio, venivano principalmente le feluche, da Lerici i feluconi di grandi dimensioni, da Alassio e, in subordine, da Diano le brigantine e le galeotte.
Per la provenienza dei pinchi e della barche non abbiamo distinzioni così nette, ma alcune località spiccano comunque anche in questo ambito, in particolare Sturla, Deiva, Laigueglia, Alassio e Lavagna. Oltre che come unità militari i velieri erano noleggiati spesso anche come bastimenti da trasporto: in questo caso la provenienza è ancora più eterogenea, e alle località sopracitate dobbiamo aggiungere Pegli, Quinto, Recco, Chiavari, Bonassola, Moneglia, Nervi, Bogliasco, Pieve, Framura, Sori, Cavi di Lavagna e il Capocorso. In Corsica vennero noleggiati soprattutto legni leggeri a remi provenienti dalle marinerie del Capocorso e delle città di Bastia, Aiaccio, Bonifacio e Calvi. Si trattò di armamenti frequenti in quanto immediatamente reperibili in loco, anche se considerati di qualità inferiore rispetto a quelli liguri, con la significativa eccezione di quelli bonifacini.
Il comando
Per quanto concerne la gerarchia di comando delle forze navali, al vertice troviamo naturalmente il massimo organo di governo della Repubblica, i Serenissimi Collegi. I Collegi avevano competenza su tutte le questioni che si riferivano della marina da guerra; ma non potevano inviare bastimenti fuori del mar Ligure senza il consenso del Minor Consiglio. In seno ai Collegi l’esame delle singole questioni marittime era affidato alla Giunta di Marina, una commissione permanente istituita nel 1651 che solitamente operava solo in sede referente, ma che poteva esercitare anche poteri esecutivi; e non solo in campo propriamente navale, ma anche in quei settori, come la politica estera e la gestione del personale consolare, che rientravano nell’ambito marittimo. Per la gestione del conflitto còrso fu creato nel 1731 un apposito organo temporaneo, la Deputazione di Corsica, che ebbe fra le sue competenze anche l’organizzazione di alcuni armamenti navali straordinari. Lo stuolo ordinario e l’arsenale dipendevano invece dal Magistrato delle Galee, istituito nel 1559, mentre la principale magistratura navale della Repubblica era, dal 1546, il Magistrato dei Conservatori del Mare: essa aveva infatti competenza su tutta la materia marittima che esulasse dal ristretto campo di autorità del Magistrato della Galee.
Questo ordinamento era assai meno irrazionale di quanto possa sembrare a prima vista «poiché alla molteplicità di organi esecutivi faceva riscontro l’accentramento del potere decisionale nei Collegi». E l’autorità dei Collegi era ancor più accentuata dal fatto che nella marina genovese non esistevano ufficiali generali in servizio permanente. Al comando delle forze navali erano preposte, a seconda dei casi, due figure istituzionali straordinarie: il Generale delle Galee e il Commissario generale dell’Armamento. La carica di Generale delle Galee fu introdotta nel 1559 ma non venne più conferita dopo il 1685. A partire da questa data si elessero solo Commissari generali dell’Armamento, i quali duravano in carica il tempo necessario per portare a termine una specifica incombenza e avevano autorità solo sulle navi poste alle loro dirette dipendenze. La decisione di nominare un Commissario generale dell’Armamento spettava al Minor Consiglio, mentre l’elezione vera e propria veniva fatta dai Collegi.
Per quanto concerne il teatro còrso le galee e le altre unità ivi operanti erano sottoposte all’autorità del Governatore generale e del Commissario generale di Corsica (o dei Commissari generali, nei periodi in cui questa carica fu detenuta collegialmente da due soggetti). In mare le squadre miste erano al comando dei capitani delle galee, la cui gerarchia era regolata in base all’anzianità, col più anziano che, naturalmente, comandava la Capitana. In particolari circostanze e nel caso di grosse squadre tale comando fu affidato a un Commissario generale dell’Armamento, affiancato da un Commissario di Guerra (nel 1767), o a un organo di comando straordinario, i Governatori delle Galee (nel 1731). Le flottiglie di bastimenti straordinari che operavano indipendentemente dalle galee erano affidate o a ufficiali superiori di particolare abilità e di comprovata esperienza nominati ad hoc o, più semplicemente, al capitano più anziano. Si trattava per lo più di esperti marinai – sebbene non mancassero ufficiali delle truppe di terra, spesso totalmente digiuni di navigazione – provenienti dall’ufficialità dello stuolo pubblico o dai quadri di comando dei bastimenti armati dalla Deputazione all’armamento contro i corsari barbareschi I singoli bastimenti erano comandati o dal rispettivo patrone o da un militare in possesso della patente di «capitano di mare e guerra». Solitamente il patrone del mercantile restava comunque a bordo in qualità di secondo in comando – col grado di tenente o capitano tenente – e spesso si occupava in prima persona della navigazione, in forza della conoscenza che aveva del suo bastimento. In linea di massima i mercantili armati più grandi erano affidati a soggetti che avevano già il grado di capitano o ai loro patroni elevati a tale grado, mentre i legni leggeri erano quasi sempre comandanti dai rispettivi patroni senza bisogno che a questi fossero conferiti specifici gradi militari. Fanno eccezione alcuni battelli posti agli ordini di ufficiali dell’esercito, di solito di grado inferiore – tenenti o alfieri – e, nel caso di operazioni in squadra, le unità su cui era imbarcato il capitano comandante di conserva.
Conclusioni
Come ha efficacemente sottolineato Paolo Giacomone Piana la preponderante presenza dell’armamento straordinario “privato” costituì «l’elemento caratteristico della politica navale genovese» per tutta l’età moderna. Questo fu ancor più vero per il XVIII secolo, quando, dopo la fine della secolare alleanza con la Spagna, venne meno il ruolo di tutela e di deterrenza verso la minaccia corsara barbaresca assolto dalla squadra degli assentisti genovesi al servizio degli Austrias. Nell’ambito di un tale quadro internazionale, si può facilmente comprendere come il sopraggiungere, inaspettato, delle sollevazioni còrse abbia portato ad una notevole accentuazione di questo elemento caratteristico della politica navale genovese: tanto più che una finanza statale in continuo peggioramento sconsigliava un più largo impiego di risorse permanenti. Per una marina strutturata essenzialmente in funzione della lotta ai corsari barbareschi, le guerre di Corsica rappresentarono una sfida del tutto nuova. Un sfida affrontata sia ricorrendo a strumenti tradizionali, sia cercando soluzioni nuove, da cui Genova uscì non del tutto sconfitta, grazie alla flessibilità dei suoi ordinamenti navali e alla notevole vitalità dimostrata dalle marinerie delle riviere liguri, che costituirono il nerbo delle sue flotte.
Emiliano Beri
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Emiliano Beri si è laureato con lode in Storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova. Nel 2011 vi ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia, discutendo una tesi sulle guerre di Corsica del medio Settecento. Dal 2012 al 2016 è stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia e Geografia dell’Università di Genova. Negli anni accademici 2016-17 e 2017-18 ha insegnato Storia sociale nel corso di Laurea triennale in Storia e Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze Storiche della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. Per l’anno accademico 2018-19 è stato docente aggregato di Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze storiche della stessa Scuola. A partire dall’anno accademico 2019-20 è docente aggregato sia di Storia militare che di Storia sociale.
Molto interressanto.
Grazie Emiliano , sito molto interessante .