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Breve storia dell’autorespiratore a ossigeno – seconda parte

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare 
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ARGOMENTO: STORIA DELLA SUBACQUEA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: ITALIA
parole chiave: A.R.O.
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Ritorniamo alla storia dell’autorespiratore ad ossigeno (A.R.O.), raccontata sempre con dovizia di particolari e curiosità dal nostro storico della subacquea Fabio Vitale.

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Autorespiratore Davis nella configurazione di apparecchio di salvataggio per sommergibilisti. Sarà il punto di partenza per lo sviluppo dell’autorespiratore a ossigeno utilizzato dai sommozzatori della Marina (Archivio Fabio Vitale)

E’ innegabile che l’A.R.O. abbia avuto in Italia un insolito sviluppo. Il manuale tecnico per gli ufficiali medici della Regia Marina italiana del 1938 tratta in un capitolo, forse per la prima volta, la figura del sommozzatore. A questa nuova figura professionale vengono dedicate ben undici facciate e si comincia a percepire che, seppur non paragonabile al palombaro, anche il sommozzatore può essere un utile alleato nelle ispezioni e nei lavori a bassa profondità.

Il manuale riporta che il sommozzatore può immergersi con l’ausilio di un autorespiratore ad ossigeno (A.R.O.), apparecchio estremamente pratico e poco ingombrante che però limita la profondità dell’immersione a 10-15 metri. La particolarità di questo autorespiratore sta nel suo utilizzo in circuito chiuso, quindi senza emissione di bolle verso l’esterno.

ARO

parti costituente una apparecchiatura A.R.O.

I primi autorespiratori ad ossigeno impiegati dai sommozzatori italiani furono le apparecchiature inglesi Davis (concepite per la fuoriuscita d’emergenza dai sommergibili) che furono poi modificate e adattate alle esigenze specifiche. Questi respiratori ad ossigeno erano costruiti in Italia dalla ditta Zannoni su licenza della ditta inglese Siebe & Gorman di cui Zannoni era agente generale per l’Italia. Nei primi modelli l’autonomia non era particolarmente elevata e mantenevano tutta una serie di difetti (ad esempio la facilità ad allagarsi quando usati in profondità), cosa che li rendeva ancora poco adatti ad un impiego subacqueo. La svolta arrivò con la ricerca di un respiratore subacqueo che potesse rispondere alle richieste imposte dallo sviluppo di un  mezzo d’assalto: il siluro a lenta corsa che sarebbe diventato un precursore della guerra asimmetrica moderna.

2

Uno dei primi prototipi del Siluro a Lenta Corsa di Tesei e Toschi. La sua realizzazione definitiva vedrà ancora diverse modifiche (Archivio Ufficio Storico Marina Militare)

Quando nel 1935 iniziò la sperimentazione del Siluro a Lenta Corsa (S.L.C. il cosiddetto “maiale”) ideato da Teseo Tesei ed Elios Toschi, due capitani del Genio Navale della Regia Marina italiana, il problema che si posero era cosa far impiegare ai due piloti del mezzo per consentirgli di respirare sott’acqua per lunghi periodi.

Un’idea rivoluzionaria
L’idea del S.L.C. derivava da un mezzo (chiamato Mignatta) già utilizzato nel 1918 da due ufficiali italiani, Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci. Di fatto Tesei e Toschi rielaborarono il concetto operativo che stava alla base della Mignatta e progettarono il Siluro a Lenta Corsa (S.L.C.), modificando un siluro in modo tale da renderlo simile ad un minisommergibile. Due uomini a cavalcioni di esso e muniti di un respiratore in grado di fornire una lunga autonomia potevano così navigare a pelo d’acqua e, all’occorrenza, immergersi e procedere sott’acqua per tratti anche lunghi. Il Siluro a Lenta Corsa aveva scopi offensivi e utilizzava una carica esplosiva che poteva essere posizionata al di sotto della chiglia della nave appesa a un cavo steso da un aletta antirollio all’altra. Si comprese immediatamente che quello che necessitava di una sostanziale messa a punto era proprio l’autorespiratore ad ossigeno in dotazione ai due piloti del “maiale”. L’apparecchio ad ossigeno avrebbe dovuto assicurare la respirazione, sia nelle fasi di navigazione subacquea che nella fase finale d’attacco, ovvero quando bisognava fissare la carica esplosiva allo scafo.

Interessante notare che il respiratore ad ossigeno, illustrato dal Dorello nel suo manuale del 1938, fu quello “ufficialmente” adottato dalla Regia Marina. Una versione diversa da quella degli operatori dei mezzi d’assalto (probabilmente per coprire il segreto di un’attrezzatura considerata giustamente strategica). Per cercare la migliore soluzione possibile fu creata un’apposita commissione composta, oltre che dal Maggiore Medico Ferdinando Dorello, anche dal Capitano di Fregata Catalano Gonzaga di Cirella e dal Comandante Mario Moschini.

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Due sommozzatori Gamma in addestramento muniti di autorespiratore IAC a grande autonomia e maschera gran facciale a due oculari, presso Livorno (Archivio Ufficio Storico Marina Militare)

Questa commissione, insediatasi nel gennaio del 1935, lavorò per trovare una soluzione efficace e, dopo aver dettato i punti fondamentali cui si sarebbero dovute attenere le ditte interpellate nella realizzazione dell’autorespiratore, ottenne nei primi mesi del 1936 un primo modello abbastanza perfezionato. Era realizzato dalla I.A.C. (Industria Articoli Caoutchouc), un’azienda di Tivoli produttrice di maschere antigas che aveva creato un apposito reparto per la produzione di attrezzature subacquee con a capo il noto Comandante Angelo Belloni, stravagante e geniale inventore di apparecchiature subacquee. Questo autorespiratore, che ricalcava la sua struttura portante dal Davis, era stato concepito per essere utilizzato in accoppiamento ad una maschera in gomma anatomica a due oculari, divenuta poi famosa come emblema dei nostri operatori.

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Guastatore (Gamma) equipaggiato con Aro a piccola autonomia (Archivio Ufficio Storico Marina Militare)

Era il modello 49 e venne prodotto in circa trenta esemplari ed utilizzato nella fase iniziale degli addestramenti degli operatori degli S.L.C.. Dopo ulteriori modifiche ne venne prodotto uno più perfezionato, il 49/bis che fu poi l’autorespiratore adottato dagli operatori della X^ Flottiglia Mas e dai sommozzatori della Marina.

Fu quindi eliminata la valvola di sovrappressione laterale (il sommozzatore poteva scaricare eventuale ossigeno in eccesso allentando semplicemente le labbra dal boccaglio) e l’autonomia venne portata a cinque ore. Oltre a questo autorespiratore a grande autonomia ne veniva fabbricato un modello con una autonomia minore ma con un minor ingombro. Nel prosieguo della guerra vennero poi prodotti dalla Pirelli e dalla Salvas altri tipi di autorespiratori sia per gli operatori dei mezzi d’assalto sia per gli uomini Gamma.

Gli A.R.O. furono l’attrezzatura portante dei sommozzatori della Marina, sia durante la guerra che negli anni immediatamente successivi, quando ci fu la necessità di coadiuvare i palombari in tantissimi lavori a bassa profondità nei porti e nei fiumi.

Fabio Vitale

 

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