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La vita potrebbe arrivare dallo spazio: scoperti aminoacidi sull’asteroide Ryugu

tempo di lettura: 4 minuti

 

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livello elementare

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ARGOMENTO: ASTRONOMIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: asteroidi, panspermia

 

L’analisi di campioni raccolti dalla sonda giapponese Hayabusa 2 sull’asteroide Ryugu ha rilevato un’ampia varietà di molecole organiche tra cui tracce di uracile, una delle cinque basi azotate che compongono il nostro codice genetico, in pratica uno dei mattoni fondamentali per l’RNA. I risultati sono stati pubblicati il 21 marzo sulla rivista Nature Communications. Le ricadute potrebbero essere notevoli in quanto darebbe forza alle teorie che ipotizzano che le molecole necessarie per la vita potrebbero essere arrivate sulla Terra dallo spazio. Sebbene in passato l’analisi di meteoriti ritrovati sulla Terra aveva rivelato la presenza degli amminoacidi essenziali per costruire la vita, gli scienziati erano in dubbio se avessero un’origine terrestre, ovvero si trattasse di una contaminazione dei corpuscoli extraterrestri al loro arrivo sulla Terra, oppure se questi provenissero dallo spazio. Un dubbio che potrebbe essere fugato da un’importante scoperta. L’analisi di campioni di terreno raccolti sull’asteroide Ryugu ha provato che queste basi azotate sono presenti nel cosmo e potrebbero quindi arrivare occasionalmente su alcuni pianeti, permettendo lo sviluppo della vita.

Raccontiamo ora questa importante scoperta
Tutto iniziò con l’invio della sonda spaziale Hayabusa 2 (はやぶさ ovvero Falco pellegrino 2), sviluppata dall’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), sull’asteroide 162173 Ryugu per prelevarne dei campioni del suolo da riportare sulla Terra. Il lancio della missione avvenne il 3 dicembre 2014 ed il 27 giugno 2018 la sonda raggiunse l’asteroide orbitandogli ad una distanza di circa 20 chilometri. Una volta raggiunta la superficie dell’asteroide, con una sonda secondaria, fu sparato un piccolo proiettile di tantalio della massa di 5 grammi ad una velocità di circa 300 metri al secondo contro il suolo. La nube di detriti generata dall’impatto fu raccolta in una camera interna della sonda. La delicata operazione fu effettuata due volte per essere sicuri di raccogliere campioni non contaminati.

Terminata questa fase di osservazione e campionamento, Hayabusa 2 ripartì da Ryugu il 13 novembre 2019 e, una volta raggiunta la Terra,  il 6 dicembre 2020, rilasciò una capsula contenente i campioni in prossimità del poligono militare di Woomera nel deserto australiano. Terminata l’operazione Hayabusa 2 proseguì la sua missione dirigendosi nuovamente nello spazio profondo per raggiungere, nel 2031, l’asteroide 1998 KY26.  Dall’analisi dei campioni raccolti (due prelievi per un totale di 5,4 g) emerse la presenza di un’ampia varietà di molecole organiche, tra cui l’uracile, una delle quattro basi azotate nell’acido ribonucleico. Inoltre, furono scoperte tracce di niacina, una delle tre forme della vitamina B3, ed altri derivati. I risultati sono stati pubblicati nello studio citato e confermano che queste molecole prebiotiche si formarono in asteroidi come Ryugu, avendo  quindi la possibilità di viaggiare nello spazio e, forse, arrivare sulla Terra primordiale.

Un’ipotesi eccitante che richiama la panspermia, un’antica teoria che risale al pensiero del filosofo greco Anassagora. In seguito l’ipotesi fu risollevata alla fine del 1700 da Benoit de Maillet che definì “semi piovuti dagli oceani dei cieli“, nell’XIX secolo da William Thomson (comunemente noto come Lord Kelvin) e dal chimico svedese Jöns Jacob Berzelius (che nel 1830 confermò la presenza di composti del carbonio in alcune meteoriti), nel XX secolo da Svante Arrhenius e, in tempi più recenti dagli astronomi Stephen Hawking, Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe. Nel 1973, Leslie Orgel e il premio Nobel Francis Crick pubblicarono una fantasiosa teoria di una “panspermia diretta“, indotta da una “forma di vita avanzata” responsabile di aver inviato i semi della vita sulla Terra per sviluppare nuove forme di vita. Un creatore che, ai confini del tempo, avrebbe avviato un programma senza fine per colonizzare l’universo.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 640px-Panspermie_2.0.svg-wikipedia.png

panspermia, una tesi attraente – lavoro personale (own work) – autore Count_NightmarePanspermie 2.0.svg – Wikimedia Commons

Ma cos’è esattamente la panspermia?
In parole semplici secondo la panspermia i “semi della vita” sono sparsi ovunque nell’Universo, presenti nella polvere stellare e nei corpi di maggiori dimensioni come meteoriti, asteroidi, comete e planetoidi. Dalla metà degli anni ’70 i già citati Hoyle e Wickramasinghe teorizzarono che polimeri organici potessero costituire una parte importante della polvere interstellare, ipotesi che, alla luce di questi risultati, sembra oggi essere provata. Una conseguenza interessante della teoria della panspermia è che nel caso la vita in tutto l’Universo dovrebbe essere molto simile dal punto di vista biochimico, di fatto derivando dagli stessi elementi organici ancestrali. Questi “contaminando” altri pianeti, in caso di condizioni chimico fisiche favorevoli, potrebbero quindi innescare la nascita della vita che poi si svilupperebbe a seconda delle diverse condizioni. Una tesi non tanto fantascientifica se si pensa che sul nostro pianeta abbiamo esempi concettualmente simili nelle profondità marine dove la vita si è evoluta in condizioni chimico fisiche estreme. Quindi perché questo non potrebbe essere possibile su altri corpi celesti?

Un’ultima considerazione
L’origine della vita sulla Terra è una questione controversa, con una varietà di potenziali ambienti proposti tra cui le emissioni idrotermali oceaniche e terrestri. Tuttavia la vita, per potersi sviluppare, ha bisogno di amminoacidi per sintetizzare le proteine, che sono i ”mattoni” responsabili delle reazioni metaboliche, della replicazione del DNA e l’evoluzione delle cellule in organismi. Sebbene sia stata dimostrata la possibilità di generare amminoacidi sulla Terra primordiale, non è chiaro come essi si siano potuti sintetizzare in ambienti extraterrestri abioticamente.

Tutto ebbe inizio 4,7 miliardi di anni fa, quando si formò il nostro sistema solare e residui del disco protoplanetario incominciarono a disperdersi nello spazio portando con loro molecole della vita. I più grandi raggiunsero una temperatura sufficiente per consentire una differenziazione chimica (e in alcuni casi si formò acqua), in altri si generarono fenomeni vulcanici. In particolare, in quella fascia di asteroidi, a causa dell’interferenza gravitazionale di Giove sulle loro orbite, aumentarono gradualmente le loro collisioni e, come su un grande tavolo di biliardo tridimensionale, sopravvissero solo i corpi più grandi; gli altri formarono meteoriti e polveri cosmiche o furono proiettati fuori dal sistema solare. Alcune meteoriti incominciarono così a trasportare queste molecole e, forse, potrebbero essere state le responsabili dello sviluppo della vita sulla Terra o su altri pianeti. Un’ipotesi affascinante in cui molto è ancora da scrivere.

in anteprima:  versione colorata del C-type asteroid 162173 Ryugu, visto attraverso la ONC-T camera di bordo della sonda Hayabusa2 – Image Credit: JAXA Hayabusa 2 – autore Meli Thev – fonte DARTS ARCHIVE 
Ryugu colored.jpg – Wikimedia Commons

 

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