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livello elementare.
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: Cina, situazione strategica negli oceani, Taiwan, USA
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Quali sono le implicazioni per la sicurezza nella regione e nel più ampio Indo-Pacifico?
L’imminente 80° anniversario della battaglia di Guadalcanal (un’isola dell’arcipelago delle Salomone), combattuta nel settembre 1942, è un promemoria che dovrebbe far riflettere profondamente sull’importanza strategica duratura delle Salomone. Questo è particolarmente vero per l’Australia, che si trova a poco più di 3.200 chilometri di distanza. Le Isole Salomone si estendono su rotte marittime e di comunicazione critiche per l’Australia, ma sono anche della massima importanza strategica per i vicini della Papua Nuova Guinea e per la nuova nazione emergente dalla sua regione autonoma di Bougainville, che si trova appena a nord del confine con le Isole Salomone, così come le Fiji e la Nuova Zelanda. La Nuova Zelanda ha firmato un “accordo di partenariato” con le Fiji il 29 marzo, a seguito delle rivelazioni dell’esistenza dell’accordo sulla sicurezza Isole Salomone-Cina, e questo fa seguito a un importante aggiornamento della cooperazione in materia di difesa tra le Fiji e l’Australia a metà marzo 2022.
La stessa Francia segue con preoccupazione le dinamiche e, dopo una breve crisi dovuta alla nota vicenda del contratto dei sottomarini sospeso dall’Australia, ha mantenuto saldi i rapporti con USA, Australia e Nuova Zelanda. Il timore di Parigi è che, nonostante la mozione unionista abbia vinto il terzo e definitivo referendum per la autodeterminazione della Nuova Caledonia, il voto etnico che lo ha caratterizzato possa essere sfruttato per sobillare il malcontento dei kanaki verso la Francia, timorosa di perdere il controllo dell’arcipelago che ha importanti giacimenti del preziosissimo nickel. Ricordo che la Cina è alla caccia infinita di metalli rari per le produzioni industriali con tecnologie di punta. Ad ogni buon conto, nelle more del prossimo programma di riarmo di Parigi, una fetta non insignificante sarà destinata a rafforzare la sua presenza militare nell’Indo-Pacifico (sono territori francesi anche la Polinesia e le isole di Wallis e Futuna), ormai ridotta al lumicino.
Ma anche altri Stati della regione (ad esempio Indonesia e Filippine) vedono con silenziosa preoccupazione le manovre di Pechino, avendo tutti buone ragioni per temerle, come presenze più o meno ampie di comunità cinesi, altri potenziali driver di crisi quali divisioni etnico-religiose, movimenti separatisti, risorse e giacimenti di prodotti strategici (idrocarburi e minerali), sviluppi economico-sociali importanti ma con seri squilibri regionali interni.
L’opinione è ancora incerta sull’uso che la Cina farà dell’accordo sulla sicurezza, in primis se installare o meno una base militare nelle Isole Salomone. Sogavare, e coloro che non sono stati turbati dall’accordo, insistono che la Cina non costruirà una base militare per proiettare la sua potenza nel Pacifico sud-occidentale. Alcuni esperti scartano l’opzione considerando che è improbabile che la Cina costruisca una base navale nelle Isole Salomone perché gli avamposti militari stranieri non sono il (solo, sinora) modo in cui opera Pechino. Questo è vero, ma solo in parte.
Non solo Gibuti?
È vero che al momento Gibuti è l’unica base all’estero della Armata Popolare di Liberazione, ma non è un segreto che Pechino punta ad averne una sul lato africano dell’Atlantico (si parla con insistenza della Guinea Equatoriale quale possibile sito). Tuttavia le passate aperture della Cina a Vanuatu nel 2018 e Papua Nuova Guinea nel 2020, e le attività al porto di Hambantota in Sri Lanka, al porto di Gwadar in Pakistan (queste ultime due, nonostante i problemi interni dello Sri Lanka e le difficili relazioni di Pechino con Rawalpindi, farebbero parte della cosiddetta “collana di perle’ cinese con cui, secondo l’India, dovrebbe strangolarla). Non ultimo, va menzionata la base navale di Ream in Cambogia e la presenza costante navale cinese nei porti di Myanmar/Burma e ora, potenzialmente, le Isole Salomone, che raccontano un’altra storia, anche se in divenire e per nulla comparabile agli USA che dispongono di 759 installazioni militari in 80 paesi dell’area).
È improbabile che una mossa così provocatoria come la costruzione di una base militare cinese avvenga a breve termine, soprattutto per l’allarme suscitato e le durissime reazioni australiane; ma la Cina continua a giocare un gioco strategico lungo e complesso. Sogavare ha continuato a cercare di sedare le preoccupazioni dicendo che “L’Australia rimane il nostro partner preferito e non faremo nulla per minare la sicurezza nazionale australiana“. Parole considerate poco credibili vista la spregiudicatezza dell’Uomo.
Di conseguenza, è ora necessaria una ricalibrazione della geopolitica del Pacifico. Intanto l’accordo tra le Salomone e la Cina ha già avuto un impatto sugli approcci statunitensi e alleati al Pacifico (come i recenti accordi tra Australia e Nuova Zelanda con le Fiji). Un esempio calzante sono state le udienze del Senato degli Stati Uniti sui COFA (Compact of Free Association) Negotiations tenutesi il 29 marzo. Quell’udienza ha ascoltato relazioni dai Dipartimenti di Stato, Difesa e Interni sullo stato dei negoziati per il rinnovo degli accordi tra gli USA e le Isole Marshall, gli Stati Federati di Micronesia e la Repubblica di Palau (tutti stati già facenti parte del Trust Territory of the Pacific Islands, dato in amministrazione temporanea dall’ONU agli USA tra il 1947 e il 1994, dopo essere stati, rispettivamente prima colonie tedesche e, successivamente alla prima guerra mondiale, mandati della Società delle Nazioni affidate al Giappone sino alla sua sconfitta nel 1945). Questi negoziati non progrediscono in modo significativo dal dicembre 2020 (e gli attuali accordi scadranno a partire dal 2023) e per dare una spinta a questi negoziati, un diplomatico, l’ambasciatore Joseph Jun, è stato nominato inviato presidenziale speciale per i negoziati sul rinnovo di questi accordi e non lasciare spiragli a possibili intromissioni di Pechino, che come si è visto, è anche in grado di agire con grande rapidità e determinazione. Infatti proprio alla vigili della importante riunione del Quad a Tokyo, il ministro degli esteri cinese Wany Yi, ha iniziato il suo tour regionale proprio con un visita alle Salomone, con tappe successive a Kiribati, Samoa, Fiji, Tonga, Vanuatu, Papua Nuova Guinea ed Est Timor.
Anche se non appartenenti alla prima linea che fronteggia la Cina (formata da Corea del Sud, Giappone, Taiwan e Filippine), gli USA non possono permettere che si aprano spazi di penetrazione nella ‘seconda linea’ (che coincide in buona parte con gli arcipelaghi del Sud Pacifico) alla marina cinese e Washington. Per cui alleati e partners devono agire in fretta, operando anche in favore di politiche economiche e sociali inclusive che smussino ragioni di malcontento ed evitare di perdere opportunità. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno annunciato solo nel febbraio 2022 che avevano in programma di riaprire la loro ambasciata delle Isole Salomone, chiusa per ragioni di bilancio dal 1993.
Il più vasto scacchiere dell’Indo-Pacifico resta una priorità strategica per gli USA e il viaggio del presidente Biden in Corea del Sud e Giappone, dove ha lanciato la IPEF (Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity), un colossale piano di cooperazione economico ma con un chiaro riferimento al contrasto con la Cina. Accanto al lancio di questa iniziativa, dove si trovano elementi che richiamano il Piano Marshall, Biden ha presieduto una riunione del Quad (il vero nome è Quadrilateral Security Dialogue), un foro di cooperazione politica, che nato nel 2008, ma rimasto di fatto inattivo sino al 2017, a cui partecipano gli USA, Australia, Giappone e India.
Washington conta molto sull’ampliamento e l’approfondimento del Quad, anche se l’India resta titubante alla costituzione di un architettura formale di difesa e sicurezza (quella che alcuni critici, chiamano la nuova SEATO), ma le fluttuazioni della politica internazionale obbligano a rapide revisioni. Ad esempio Nuova Delhi, grande e consolidato acquirente di materiale militare russo/sovietico, alla luce dei non buoni risultati dati da questi sistemi d’arma in Ucraina, sembra riconsiderare le sue scelte, anche recenti (alla fine dell’anno scorso è stato firmato un importante contratto tra Russia e India) ed ampliare ulteriormente i suoi già importanti acquisti di armamenti, e lanciare programmi di produzione in loco, made in USA. Ma le dimensioni, anche economiche dell’India, obbligano il subcontinente ad agire con prudenza con la Cina, visti i legami commerciali con Pechino e nonostante la sfida militare; e l’India non è sola. Infatti da Tokyo, Biden, accanto ai toni fermi con la minaccia di intervenire militarmente a difesa di Taiwan, ha aperto uno spiraglio sullo spinoso tema dei dazi doganali sulle importazioni cinesi, tentando di tenere aperta una via di dialogo, toccando un tasto sensibile per Pechino che sta facendo fronte un pesante rallentamento economico, incubo per i suoi dirigenti, sempre timorosi di rivolte interne.
Un ultimo avvenimento, le elezioni federali australiane, hanno visto la prevalenza dei laburisti che hanno rovesciato una lunga prevalenza dei conservatori e liberali, dovrebbero cambiare le politiche interne ma non mutare il dato complessivo della collocazione di Canberra allo scacchiere dell’Indo-Pacifico con l’adesione a Quad, AUKUS, ANZUS, e nemmeno quella sub regionale; il tentativo di bloccare la penetrazione cinese nei piccoli e deboli stati del Sud Pacifico resta un problema strategico e il primo ministro Tony Albanese, reagendo immediatamente alla improvvisa visita di Wang Yi alle Salomone, ha inviato la neonominata ministro degli esteri Penny Weng a visitare le Fiji, quale segno di visibile sostegno al piccolo stato. Comunque non dimentichiamo che anche Australia, India, Corea del Sud, Giappone, e Francia hanno rilevantissimi legami economici con Pechino.
Enrico Magnani
pubblicato in origine su DIFESAONLINE
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