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livello medio
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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: aria, miscele
Aria profonda, una miscela insalubre
Da mammiferi terrestri da un paio di milioni di anni ci siamo adattati a respirare quello che avevamo a disposizione sul pianeta Terra, ovvero una miscela che chiamiamo aria costituita più o meno dal 21% di ossigeno e il 79% tra azoto e tracce di altri inerti, il tutto somministrato alla pressione atmosferica di circa un bar. In altre parole, per la legge di Dalton, respiriamo questi due gas ad una pressione parziale di 0,21 bar per l’ossigeno, e di 0,79 bar per i gas inerti.
Sembrerebbe del tutto naturale, e quindi opportuno, scegliere l’aria come miscela da respirare in immersione. Cosa c’è di più semplice e naturale di essa? Ma ciò che sembra più naturale non sempre è altrettanto salutare, e respirare aria a pressione maggiore di quella atmosferica rientra pienamente in questa categoria.
Durante l’immersione aumenta la pressione dell’aria che respiriamo, e quindi aumentano le pressioni parziali dei gas componenti. In sostanza, è il numero di molecole che entrano negli alveoli polmonari ad ogni respiro che aumenta, malgrado esse occupino sempre lo stesso volume. Superate certe soglie di pressione parziale, sia l’ossigeno che l’azoto cominciano a darci dei fastidi, e aumentando ancora la pressione ambiente, iniziano a diventare sempre più pericolosi. Ciò significa che l’aria, ma in generale qualunque miscela respiratoria, è adatta ad essere respirata solo entro un delimitato intervallo di profondità ovvero di pressione ambiente.
Mentre l’azoto respirato ad elevata pressione ha un effetto narcotico, che si manifesta con soglie di pressione piuttosto sfumate e personali, l’eccesso di ossigeno (iperossia) ha effetto sul Sistema Nervoso Centrale (sindrome di Paul Bert) ed è causa indiretta dell’aumento della anidride carbonica nel sangue e, a lungo andare, provoca la tossicità polmonare (sindrome di Lorrain-Smith). Inoltre mentre l’effetto dell’azoto è narcotico e graduale, gli effetti dell’eccesso di ossigeno (PO2) sul sistema nervoso centrale sono improvvisi e convulsivi.
Quindi la scelta apparentemente più naturale, e cioè di utilizzare semplice aria per respirare in immersione, diviene sempre meno vantaggiosa e salutare all’aumentare della profondità, fino a rivelarsi decisamente inadatta e infine tossica.
Si può dire che il maggior e forse l’unico vantaggio dell’uso di aria in immersione è quello della sua facile reperibilità e conseguentemente del basso costo di ricarica delle bombole. Poco oltre i 50 metri diviene preferibile usare una miscela respiratoria che contenga una ridotta percentuale sia di azoto che di ossigeno, per limitare gli inconvenienti che ho brevemente descritto. Ciò richiede necessariamente l’introduzione di un terzo gas, ad esempio l’elio, che consenta di ridurre al valore desiderato le percentuali di ossigeno e azoto, o eventualmente sostituisca integralmente l’azoto.
Nel primo caso si ha una miscela ternaria, il trimix, così chiamata proprio perché costituita da tre gas, mentre nel secondo caso si ottiene una miscela binaria costituita solo da ossigeno ed elio, l’heliox. L’alta profondità è quindi il regno di miscele sintetiche, accuratamente progettate in funzione della profondità da raggiungere. L’aria è estromessa sistematicamente dalla lista delle scelte possibili per questo tipo di immersioni. Ma esiste una fascia di profondità intermedia piuttosto sfumata, tra i quaranta ed i cinquanta metri, nella quale si sconfina spesso durante le immersioni ricreative, in cui l’aria, pur potendo con opportune cautele essere ancora utilizzata, comporta rischi più marcati rispetto alle profondità inferiori, legati proprio alla narcosi e alla tossicità dell’ossigeno.
Attenti a non bere troppo …. azoto
Come ben sappiamo, l’azoto (N2) è il costituente principale dell’aria, della quale occupa il 78 % in volume. E’ un gas insapore, inodore e incolore, ed è un costituente fondamentale di tutti i tessuti viventi, presente ad esempio in numerose molecole, nel DNA e nelle proteine. La sua principale proprietà, da cui prende anche il nome, sta proprio in ciò che questo gas non sa fare: permettere la vita, in quanto non in grado di mantenere la combustione e la respirazione.
Il suo nome deriva dal greco: “a” privativa (cioè che esclude) e “zoe”, cioè vita, ovvero gas non vitale. A pressione ambiente, circa un litro di azoto è disciolto nei tessuti del corpo umano, e costituisce la “zavorra” di inerte disciolto nell’organismo all’inizio di ogni immersione in mare. Malgrado l’azoto presente nell’aria non contribuisca minimamente alla respirazione, la sua funzione è comunque importante ovvero quella di mantenere l’ossigeno respirato ad una pressione parziale “normale”. E’ quindi un vero e proprio diluente che ci permette di respirare l’ossigeno nella concentrazione fisiologicamente corretta, o meglio, a quella alla quale il nostro organismo è adattato. Questa funzione di diluente non è esclusiva dell’azoto; come già osservato altri gas possono sostituirlo parzialmente o totalmente nella miscela ed assolvere analogamente, (o meglio sotto alcuni punti di vista), lo stesso compito.
Il difetto principale dell’azoto è dovuto alle sue proprietà anestetiche che possono iniziare a manifestarsi, in soggetti sensibili, già ad una profondità di circa 28 metri (ad una pressione parziale di circa 3 bar). Per dare un riferimento intuitivo, qualcuno ha paragonato l’effetto dell’azoto respirato a pressione maggiore di quella atmosferica all’assunzione di alcolici a stomaco vuoto, secondo una cosiddetta legge Martini. Questa legge molto empirica ed aleatoria stabilisce che la narcosi da azoto avrebbe più o meno gli stessi effetti dell’assunzione a stomaco vuoto di un Martini per ogni 15 metri di profondità, (per esempio 45 m = 3 Martini). Per essere pratici, gli effetti più comuni e frequenti dovuti all’azoto sono un senso di torpore, euforia immotivata, rallentamento dei riflessi, diminuzione della coordinazione motoria e della capacità di concentrazione ed un eccessivo senso di sicurezza. In molti casi questi sintomi si mantengono comunque molto leggeri, compatibili con la gestione operativa di una immersione entro i 35-40 metri, specialmente in soggetti in piena forma fisica, esperti e capaci di mantenere sempre alta la concentrazione.
Non bisogna però fare l’errore opposto, ovvero pensare che rimanere entro questo limite ci dia la garanzia di immunità dagli effetti dell’azoto. Essa costituisce infatti un rischio spesso sopravvalutato e sottovalutato al tempo stesso, così come avviene anche per la malattia da decompressione. Naturalmente, malgrado le soglie restino sfumate e molto personali, il rischio si accentua oltre i 40 metri e bisognerebbe evitare di oltrepassare i 50 senza una miscela a basso tenore di azoto.
Ma soprattutto, occorre accedere gradualmente alla fascia di profondità che va da 40 a 50 metri, verificando con attenzione la propria risposta personale. A tal fine può essere interessante effettuare durante una immersione qualche test, provando a risolvere semplici operazioni aritmetiche, aprire lucchetti a combinazione, avvitare bulloni, fare dei nodi o altro, con l’aiuto di un compagno che misuri il tempo di esecuzione. Questa valutazione, anche se ripetuta, potrebbe dare per lo stesso soggetto, risultati piuttosto variabili.
Inoltre, potrebbe verificarsi che il controllore subisca prima di voi questi effetti indesiderati … per cui … meglio non rischiare.
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ingegnere elettronico e manager d’azienda, è un grande appassionato di subacquea ma non è un professionista del settore. E’ autore di Oltre la curva, un testo di subacquea diventato in breve un best seller per tutti gli appassionati.