livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA
PERIODO: NA
AREA: DIDATTICA
parole chiave: ricerca, relitti, sonar
Il mare nasconde ma non ruba e prima o poi restituisce le tracce del nostro passato.
Archeologi subacquei, esploratori e cacciatori di tesori, sebbene con fini diversi, esplorano gli abissi dei mari alla ricerca di reliquie di naufragi. I relitti più affascinanti sono quelli antichi. Si pensa che la navigazione iniziò circa 10 mila anni fa quando, a seguito delle glaciazioni, i collegamenti marittimi erano quindi più semplici anche se il rischio per i naviganti era elevatissimo a causa dell’impossibilità di prevedere il tempo meteorologico e le condizioni del mare. La probabilità di affondare era molto alta. Il poeta Orazio in una sua ode diceva : “O navis, referent in mare te novi fluctus. O quid agis? Fortiter occupa portum… ” … “O nave, ti riporteranno in mare nuovi flutti. O che fai? Con forza resta nel porto”. Di certo chi lavorava sul mare sapeva che, a fronte di grandi guadagni, il rischio di perdere la nave ed il suo carico in mare era sempre altissimo … ed i naufragi sia naturali (tempeste) sia causati da altri (pirateria) erano all’ordine del giorno. La scoperta dei relitti è quindi una finestra aperta verso il passato che ci aiuta a comprendere meglio quei tempi antichi che tante sorprese possono ancora riservarci.
Un ago nel pagliaio
Purtroppo non è così semplice ritrovare tracce di questi relitti; spesso è come cercare un ago di legno in un pagliaio tenendo conto che nei secoli l’ago è … marcito. Fortunatamente, la tecnologia odierna fornisce strumenti sempre più prestanti che facilitano la ricerca archeologica.
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Gli archeologi subacquei analizzano scientificamente i fondali, basandosi su informazioni presunte dalla documentazione storica (fonti), alla ricerca di resti di relitti e infrastrutture oggi sommerse da cui ricavare nuove informazioni sulla vita di quei popoli antichi, su come costruivano le loro navi e su quali antiche rotte venivano svolte le loro attività commerciali. Determinare i collegamenti marittimi permette ai ricercatori di comprendere meglio antiche economie e culture in un contesto più globale.
Il problema principale della ricerca di resti degli antichi naufragi è che gli scafi antichi erano costruiti in legno, un materiale che viene nel tempo attaccato da un animale marino chiamato teredine (Teredo navalis). Questo animale vermiforme è in realtà un mollusco bivalve che scava nel legno, trasformando il legname in qualcosa di simile ad un emmenthal svizzero. Le teredini sono molto invasive e possono ammalorare in meno di cinque anni le parti esposte in legno di un relitto; per cui l’unica speranza di poter ritrovare uno scafo è che questo sia stato sepolto dopo l’affondamento sotto uno strato di sedimento. In caso contrario, si ritrovano solo grandi ammassi di materiale ceramico come vasi di ceramica ed anfore, che vengono anche loro colonizzati dal biofauna e concrezionati sul fondo.

questa imbarcazione romana del I secolo d.C. fu ritrovata nel 2011 nel fiume Rodano ad Arles, Francia. L’Eccezionalità del ritrovamento risiede nel fatto che fu ritrovato quasi intatto nel fango che lo aveva conservato. foto di Remi Benali, Museo Dipartimentale di Arles Antica.
Recentemente, sul fondo del fiume Rodano (Francia),, nei pressi della città di Arles, è stata ritrovata un’imbarcazione fluviale con lo scafo ancora intatto. Gli archeologi hanno determinato che l’imbarcazione fluviale era di origine romana e risaliva al I secolo d.C. Ma la cosa straordinaria fu il suo stato di conservazione, praticamente intatto. Si tratta di una chiatta gallo-romana, una barca da fiume con fondo piatto, lunga trentuno metri e larga tre metri, del peso di circa otto tonnellate per il trasporto di merci. Il relitto era stato scoperto nel 2004, ancora intatto, tra i quattro e otto metri di profondità, completamente infangato sul fondo del fiume. Questa barca fluviale, in seguito chiamata dagli archeologi “Arles-Rhône 3”, navigava lungo il fiume Rodano, da nord di Arles (l’antica colonia romana Arelate) fino alla foce del fiume nel Mar Mediterraneo.
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Vedere nel buio
I ricercatori subacquei hanno oggigiorno nuovi strumenti, un tempo impensabili, che consentono di ricercare gli oggetti sul fondo (ma con le nuove tecnologie anche sotto il sedimento superficiale) anche in circostanze in cui la visibilità subacquea è nulla. Questi sistemi derivano dalle strumentazioni militari usate sin dal dopo guerra per misurare la profondità del mare, gli ecoscandagli. Il sistema utilizza la stessa tecnologia del sonar (SOund Navigation And Ranging) utilizzando la tecnica di analisi dell’impulso sonoro riflesso. La metà dell’intervallo di tempo tra emissione e ritorno dell’impulso sonoro (scafo-fondo-scafo) moltiplicato per la velocità del suono in acqua (d=V*t) restituisce la distanza dell’oggetto in quel preciso momento. Attraverso l’analisi e processazione dei dati (in pratica un’insieme di distanze), questi strumenti restituiscono immagini (anche tridimensionali) che caratterizzano le asperità del fondo marino.

immagine ottenuta con un sistema sonar ad alta frequenza (800 Khz). Osservate il dettaglio dei rami degli alberi morti sul fondo. Esistono sistemi che lavorano a frequenze di Giga hertz e che possono fornire immagini con dettagli centimetrici
Questi strumenti lavorano su alte frequenze in modo da poter ottenere un’elevata qualità di immagini. Maggiore è la frequenza e migliore è la definizione delle immagini e quindi la possibilità di classificare un oggetto. L’identificazione ottica (l’unica che può consentire la certezza del ritrovamento) viene poi effettuata, dove possibile, dai subacquei o da sistemi filo guidati o autonomi, attraverso le immagini ottiche.
Migliorare la definizione
Applicando il principio fisico che maggiore è la frequenza e maggiore è la definizione nell’immagine, si possono ottenere delle vere e proprie immagini acustiche, con qualità quasi ottica degli oggetti sul fondo. La fisica ci aiuta, in quanto le dimensioni dei sensori sono inversamente proporzionali alla frequenza impiegata. Viste le limitate dimensioni, è quindi possibile utilizzare questi eco-scandagli anche su mezzi di minori dimensioni come dei gommoni o delle piccole barche. Ma esistono delle limitazioni: con l’aumento della frequenza, la portata effettiva del raggio diminuisce drasticamente. Se per noi umani questo può significare adattare i mezzi alle nostre esigenze, per alcuni animali questo meccanismo fa parte della loro fisiologia. Ad esempio, alcuni mammiferi cacciano modificando la frequenza dei loro sonar in funzione della fase di caccia: bassa in ricerca e alta per affinare la discriminazione della posizione delle prede.

la ricerca con metal detector può fornire un aiuto per l’identificazione di reperti degli scafi affondati.
La tecnologia moderna offre agli archeologi anche sistemi di ricerca di oggetti metallici (metal detector). In questo caso la discriminazione si basa sul fenomeno della differenza di fase ovvero sulla differenza tra la frequenza della bobina del trasmettitore e quella di risposta dell’oggetto. Questa differenza è soggetta all’induttanza, ovvero al principio in cui un oggetto che conduce facilmente l’elettricità (ad esempio un metallo) essendo più lento a reagire ai cambiamenti di corrente, fornirà un maggior sfasamento (questo perché richiederà più tempo per alterare il proprio campo magnetico).

la ricerca diretta sui relitti, sebbene affascinante, trova oggi un valido aiuto nelle tecnologie più moderne che consentono di mappare con grande precisione e velocità le profondità del mare
Nel caso l’oggetto sia invece più “resistente” (ovvero abbia una conducibilità minore) esso reagirà rapidamente alle variazioni di corrente e mostrerà un ritardo di fase più piccolo. Un fattore da considerare per i ricercatori è la taratura di questi sistemi (che lavorano a bassissima frequenza, VLF). Purtroppo alcuni sedimenti possono contenere materiali ferrosi ed avere proprietà conduttive migliaia di volte superiori al segnale proveniente da un oggetto interrato a poca profondità nascondendolo. Questo è il motivo per cui è necessaria una iniziale attenta taratura degli strumenti.
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Uno strumento particolarmente efficace può esssere il magnetometro, che offre estrema rapidità nel lavoro di investigazione ed una notevole economicità nell’impiego. Questi strumenti sono suddivisi in due grandi categorie: magnetometri scalari, per la misura del modulo del campo magnetico, e quelli vettoriali, per la misura del vettore magnetico. In particolare, il magnetometro scalare è impiegato in esplorazioni atte a creare mappature in campo archeologico per reperti e strutture archeologiche (come relitti, tombe, resti sepolti di edifici). L’area sottoposta al rilievo magnetometrico è coperta da profili le cui stazioni di misura sono fissate attraverso un GPS integrato nel magnetometro. Il rilievo magnetometrico fornisce le anomalie dipolari sotto il sedimento, ossia la variazione di intensità del modulo del campo magnetico a causa del fenomeno dell’induzione magnetica, dovuto alla presenza di artefatti. Una volta georeferenziato (ovvero correlato ad un sistema di posizionamento) si potrà identificare con buona precisione l’area anomala che potrebbe contenere un relitto.

Modellizzazione di dati ottici sui resti di un relitto – l’elaborazione delle riprese video è stata eseguita dalla dottoressa Elisa Costa dell’Università Cà Foscari di Venezia sotto la direzione del prof. Carlo Beltrame
Ma la ricerca va avanti. Le nuove frontiere sono nell’integrazione di tutti i sistemi disponibili per la ricostruzione tridimensionale di profili subacquei anche attraverso la fotogrammetria subacquea. L’utilizzo di piattaforme subacquee (ROV, robot, AUV), in grado di raccogliere immagini video digitali che, quando elaborate, restituiscono batimetrie tridimensionali. La successiva integrazione attiva e passiva dei sensori e la caratterizzazione/modellazione tridimensionale consente oggigiorno di fornire ai ricercatori immagini sempre più sofisticate per ricostruire il nostro passato. E il futuro è già domani.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. E’ docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione scientifica.
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