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L’oro nero che veniva dal mare di Felicia Corsale e Franco Foresta Martin

tempo di lettura: 6 minuti

 

livello elementare
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ARGOMENTO: GEOLOGIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: ossidiana
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Durante la rassegna di Ustica 2019, il professor Franco Foresta Martin tenne un’interessantissima conferenza sull’ossidiana e sulla sua diffusione nel Neolitico nell’area Mediterranea. Questo materiale vulcanico di fatto alimentò la prima, grande rete di scambi commerciali e culturali su lunga distanza realizzata dall’Uomo in età Neolitica (circa 6000 anni prima di Cristo) che ebbe nella Sicilia uno dei nodi più importanti dell’intero bacino mediterraneo. Grazie alle nuove tecnologie è possibile tracciare la provenienza dei reperti di ossidiana e ricostruire le rotte di questo vetro nero di origine vulcanica, che divenne il materiale principe per la costruzione degli utensili quotidiani dei nostri antenati. Pubblichiamo oggi questo articolo già pubblicato da INGV ambiente per una sua maggiore divulgazione.

L’ossidiana è una delle rocce più affascinanti del pianeta. È un vetro naturale di origine vulcanica, un materiale amorfo, privo di quell’ordine strutturale tipico dei minerali. L’ossidiana di solito ha un aspetto nero-lucente e una tendenza a rompersi generando una superficie concoide, cioè curva come il guscio di una conchiglia.

Si forma quando colate di lava molto ricche in Silice (SiO2>69%) raffreddano rapidamente, impedendo o quasi la formazione di cristalli e generando così una massa vetrosa amorfa.

l’ossidiana si prestava ad essere facilmente lavorata per la produzione di utensili per le lavorazioni quotidiane ma anche per ottenere punte di freccia e lame affilate per la caccia come questa amigdala

Grazie alla sua attitudine a essere ridotta in schegge molto affilate, l’ossidiana fu molto sfruttata nel corso della Preistoria per produrre strumenti da taglio e da caccia: coltelli, raschiatoi, punte di freccia e di lancia. A partire dai nuclei di ossidiana raccolti nei giacimenti geologici, l’uomo preistorico estraeva e modellava schegge con punte e bordi molto affilati. Nel Mediterraneo centrale i giacimenti di ossidiana sfruttati durante la preistoria, dal neolitico all’età dei metalli, furono solo quattro e tutti si trovano in isole italiane peri-tirreniche: Lipari e Pantelleria (Sicilia), Monte Arci in Sardegna e Palmarola, una delle isole Pontine nel Lazio.

I quattro giacimenti del Mediterraneo centrale alimentarono le esportazioni di ossidiana verso migliaia di villaggi preistorici


Popoli diversi, attraverso il mare, si scambiarono ossidiana, merci e culture. Iniziavano cosi le prime relazioni interculturali: individui diversi si riconoscevano reciprocamente pari dignità, pur nelle loro differenze. Le correlazioni spaziali e temporali fra i reperti archeologici raccolti negli insediamenti preistorici e i rispettivi giacimenti d’origine sono di fondamentale importanza per la ricostruzione delle rotte e delle vie di scambio e comunicazione usate nella Preistoria.

rotte di scambio dell’ossidiana

L’ossidiana dell’isola di Lipari fu esportata a partire dal Neolitico, circa ottomila anni fa. I giacimenti più utilizzati in virtù della buona qualità del vetro vulcanico che permetteva di ricavare ottimi utensili furono due: Vallone del Gabellotto (il più sfruttato) e subordinatamente Canneto Dentro. Entrambi i giacimenti si trovano sul versante orientale dell’isola. L’ossidiana di Lipari ha un abito lucente, con gradazioni di colore dal nero al grigio in luce riflessa; e da grigio al marrone in luce trasmessa.

La colata di ossidiana di Vallone del Gabellotto, spicca come un blocco nero lucente anche nelle foto da satellite, a ridosso della spiaggia di Canneto. L’età dell’eruzione che portò alla sua formazione è stimata attorno a 9000 anni fa: quindi poco prima del suo sfruttamento da parte dell’uomo preistorico.

I giacimenti di ossidiana dell’isola di Pantelleria sfruttati durante la Preistoria sono stati almeno tre: Salto La Vecchia e Balata dei Turchi nella costa meridionale e la Fossa della Pernice (o Lago di Venere) nella parte settentrionale.

Monte Arci, un antico edificio vulcanico a ridosso del Golfo di Oristano, nella parte occidentale della Sardegna, ha prodotto i più antichi giacimenti di ossidiana del Mediterraneo Centrale, con una età stimata di circa 3.5 milioni di anni. Qui i quattro giacimenti di ossidiana sfruttati nella preistoria sono stati identificati dagli archeologi con altrettante sigle: SA, SB1, SB2 e SC. L’ossidiana di Monte Arci si presenta in una grande varietà di tipologie: sia trasparente sia opaca, con colori dal nero intenso al marroncino; in alcuni casi la massa vetrosa nera è attraversata da venature marroni.

L’isola di Palmarola, appartenente all’arcipelago delle Pontine (Lazio) presenta un’importante colata di ossidiana a Monte Tramontana, nella parte settentrionale; e poi abbondanti blocchi sparsi, in giacitura secondaria, nella zona meridionale, a Punta Verdella. Di queste due sorgenti, la prima è quella che offre dei vetri di migliore qualità, adatti alla scheggiatura per trarne utensili litici. L’età di formazione delle ossidiane di Palmarola è piuttosto antica, valutata in circa 1.7 milioni di anni fa. Le ossidiane di Palmarola hanno un aspetto scarsamente brillante e opaco, con colorazioni nero intense e grigio scuro.

Come si ricavano le informazioni dai reperti di ossidiana?
L’INGV (con i suoi laboratori specializzati della sezione di Palermo) è stato coinvolto nel progetto che aveva lo scopo di ottenere informazioni dai reperti di ossidiana, per raccogliere dati utili e ricostruire le rotte e le vie di scambio e comunicazione usate nella Preistoria.  Per analizzare le ossidiane si applicano diversi metodi fisici il cui principio generale consiste nello stimolare un reperto a emettere radiazioni che recano la sua impronta composizionale.

Fra gli strumenti più usati per la caratterizzazione geochimica delle ossidiane ci sono: la microsonda elettronica con cui si ottiene la percentuale relativa degli elementi chimici maggiori e minori; la spettroscopia di massa con ablazione radar per ricavare gli elementi in traccia; la fluorescenza ai raggi X. Le analisi permettono di individuare, per ciascuna sorgente geologica di ossidiana, uno specifico spettro caratteristico che rappresenta l’impronta geochimica del giacimento. Mettendo a confronto questa impronta con quella ricavata dai reperti archeologici, si riesce a risalire, per ogni singolo reperto, al suo giacimento d’origine.

A Palermo nel mese di giugno 2019 si è svolto un workshop che ha raccolto i risultati del lavoro di ricerca su questi temi, accompagnato da una mostra dal titolo: L’oro nero che veniva dal mare. Gli argomenti di discussione e i temi trattati e presentati nella mostra sono il frutto del lavoro di collaborazione che ha coinvolto INGV (sezione di Palermo), il laboratorio Museo Scienze della Terra isola di Ustica, Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, Museo archeologico regionale Salinas, Dipartimento Scienze della Terra e del Mare (Università di Palermo), il Centro Studi e Documentazione dell’isola di Ustica, il Parco Geominerario della Sardegna.

Felicia Corsale e Franco Foresta Martin

Licia Corsale

Franco Foresta Martin geologo, giornalista scientifico, Presidente Onorario del Centro Studi e direttore del Laboratori-Museo di Scienze della terra dell’Isola di Ustica

 

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