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Ritrovate tracce di carbonio e acqua sui campioni raccolti sull’asteroide Bennu. Che significa?

tempo di lettura: 5 minuti

 

livello elementare

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ARGOMENTO: ASTRONOMIA
PERIODO:  XXI SECOLO
AREA: SCOPERTE
parole chiave: asteroide Bennu, Panspermia

 

Ricorderete un nostro articolo precedente che descriveva una straordinaria missione della NASA, OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification and Security – Regolith Explorer), diretta verso l’asteroide Bennu. La missione consisteva nell’intercettare il corpo celeste (tra l’altro uno dei considerati potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta), atterrare e prelevare dei campioni del suo suolo. Al di là della dimostrazione di essere in grado di posizionare una sonda su un asteroide per, eventualmente, distruggerlo c’era un’altra ragione scientifica, non meno importante. Bennu è un asteroide che si formò con la nascita del nostro sistema solare ovvero dovrebbe avere circa 4 miliardi e mezzo di anni. Un’occasione per studiarne la composizione e verificare l’eventuale presenza di sostanze in grado di generare forme di vita. Una teoria antica, nota come panspermia, secondo cui la vita si sarebbe diffusa nell’universo attraverso corpi messaggeri (asteroidi e comete) in grado di trasportare elementi elementari (come gli aminoacidi) necessari per il suo sviluppo.

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La sonda, dopo essere atterrata con successo, raccolse dei campioni di roccia, poco più di 60 grammi di polveri e rocce, per poi ridecollare per il suo lungo viaggio di ritorno. Nella fase di avvicinamento al nostro pianeta la sonda ha rilasciato una capsula contenente un campione incontaminato di regolite carbonacea (il nome tecnico del materiale raccolto) in una quantità sufficiente a permettere successive analisi dei suoi costituenti. Come da programma la capsula è quindi atterrata il 24 settembre nello Utah e da li trasportata presso il Johnson Space Center della NASA.

Arriviamo ll notizia: le prime analisi hanno rivelato che l’età dell’asteroide risale alla formazione del nostro sistema solare, circa 4,5 miliardi di anni, e che le sue polveri mostrano un alto contenuto di carbonio e acqua, ma non solo. Bill Nelson del Johnson Space Center/NASA di Houston ha dichiarato che i campioni di regolite prelevati su OSIRIS-REx hanno il contenuto di carbonio più elevato mai riscontrato in materiali extraterrestri.

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Che cosa significa?
L’affermazione entusiastica di Nelson apre nuove ipotesi che potrebbero far riscrivere le teorie sull’evoluzione della vita non solo del nostro pianeta ma di altri nell’universo. La probabilità di un errore strumentale è considerata minima in quanto i tecnici della NASA hanno lavorato con “camere bianche” ovvero ambienti a contaminazione controllata (praticamente nulla) costruiti per evitare qualsiasi contaminazione dei campioni raccolti. Il recupero dei campioni ha necessitato dieci giorni in quanto, quando il coperchio della capsula  è stato aperto si è scoperta la presenza di materiale in quantità superiore a quanto pianificato. In parole semplici, durante il prelievo della regolite, polveri si erano accumulate anche all’esterno della testa del collettore, del coperchio della capsula e della sua base. La raccolta ha ovviamente rallentato l’attento processo di prelievo del campione primario ma la quantità raccolta e i primi dati emersi hanno superato ogni migliore aspettativa.

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Apertura del coperchio di restituzione del campione raccolto sull’asteroide Bennu durante la missione OSIRIS REx presso l’Edificio 31 Astromaterials Curation Facility. Data foto: 26 settembre 2023. Luogo: Bldg. 31 – Laboratorio sezioni sottili OSIRIS REx. Fotografo: Robert Markowitz – NASA

Nelle prime due settimane, gli scienziati hanno eseguito le analisi dei campioni raccogliendo immagini con un microscopio elettronico a scansione, e misurazioni agli infrarossi, ai raggi X e analisi degli elementi chimici. La tomografia computerizzata a raggi X è stata utilizzata anche per produrre un modello computerizzato 3D di una delle particelle, evidenziandone i diversi elementi interni. La sorpresa maggiore è stata naturalmente la scoperta della abbondante presenza di carbonio e acqua.

Secondo Dante Lauretta, ricercatore principale di OSIRIS-REx, Università di Arizona, Tucson. “L’abbondanza di materiale ricco di carbonio e l’abbondante presenza di minerali argillosi contenenti acqua sono solo la punta dell’iceberg cosmico. Queste scoperte, rese possibili attraverso anni di collaborazione dedicata e scienza all’avanguardia, ci spingono in un viaggio per comprendere non solo il nostro vicinato celeste ma anche il potenziale per l’inizio della vita. Con ogni rivelazione di Bennu, ci avviciniamo a svelare i misteri della nostra eredità cosmica”.

Questa scoperta è un’ulteriore conferma della presenza di sostanze in grado di sviluppare forme di vita  dopo quella effettuata sui campioni raccolti dalla sonda giapponese Hayabusa 2 sull’asteroide Ryugu che a sua volta aveva rilevato un’ampia varietà di molecole organiche tra cui tracce di uracile, una delle cinque basi azotate che compongono il nostro codice genetico, in pratica uno dei mattoni fondamentali per l’RNA.

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Queste scoperte darebbero forza alle teorie che ipotizzano che la vita sul nostro pianeta potrebbe essersi formata a seguito dell’arrivo dalla spazio di molecole di base. Una teoria, quella panspermia, tutt’altro che nuova, risalente al pensiero del filosofo greco Anassagora e poi elaborata, alla fine del 1700, da Benoit de Maillet che aveva introdotto il concetto di elementi primordiali in grado di generare forme di vita, dei “semi piovuti dagli oceani dei cieli“. In seguito risollevata, nell’XIX secolo da William Thomson (Lord Kelvin) e dal chimico svedese Jöns Jacob Berzelius, nel XX secolo da Svante Arrhenius e, in tempi più recenti dagli astronomi Stephen Hawking, Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe. Non ultima, nel 1973, Leslie Orgel e il premio Nobel Francis Crick pubblicarono una apparentemente fantasiosa teoria su una “panspermia diretta“, ovvero indotta da una “forma di vita avanzata” responsabile di aver inviato i semi della vita sul nostro pianeta per sviluppare nuove forme di vita. Un creatore che, ai confini del tempo, avrebbe avviato un programma senza fine per colonizzare l’universo. 

 

Queste nuove scoperte si aggiungono alla constatazione che:

  • le prime forme di vita sulla Terra, dimostrate dai fossili di stromatoliti e datate 3,8 miliardi di anni si svilupparono rapidamente solo 500 milioni di anni dopo la formazione delle rocce più antiche conosciute;
  • batteri estremofili ed organismi complessi sono stati trovati nelle fumarole abissali a temperature superiori a 100 °C ed in ambienti molto caustici;
  • esistono batteri che usano la chemiosintesi, trovati all’interno delle rocce e in laghi sotterranei;
  • altri batteri sono stati trovati in carote di ghiaccio più di un chilometro sotto la superficie dell’Antartide, dimostrando che potrebbero sopravvivere su corpi ghiacciati come le comete.

Dati di fatto che collegherebbe fra di loro queste affascinanti teorie cosmologiche.

Per i prossimi due anni, il team scientifico della missione continuerà a caratterizzare i campioni e a condurre le analisi necessarie per raggiungere gli obiettivi scientifici della missione. La NASA conserverà almeno il 70% del campione presso il Johnson Space Center per effettuare ulteriori ricerche con la collaborazione di oltre 200 scienziati da tutto il mondo. Alcuni campioni verranno prestati nel corso dell’autunno allo Smithsonian Institution, allo Space Center di Houston e all’Università dell’Arizona per essere esposti al pubblico.

 

 

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