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livello elementare
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ARGOMENTO: REPORTAGE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: SARDEGNA
parole chiave: Sardegna, immersioni
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Questa volta vi porto a Bosa, un paesino che merita di essere considerato tra i più belli di Italia. Se cercate la mondanità ostentata della costa Smeralda forse resterete delusi, ma per chi ama la natura e la serenità questa è una destinazione da considerare. Bosa è un gioiello incastonato tra alte colline lungo il fiume Temo; ciò che colpisce il viaggiatore può essere racchiuso in tre parole: tranquillità, bellezza ed accoglienza. Nel settembre 2015 ho passato qualche giorno al B&B Castello di Modolo; Modolo è un paesino di poche anime collocato strategicamente per l’esplorazione del territorio di Bosa, un ridente paesino a sud di Alghero. Provenendo da Macomer, arrivarci è un’esperienza suggestiva, grazie alla bellissima vista dei vigneti che producono la Malvasia, un antico e nobile vino la cui storia s’intreccia da molti secoli con le rotte mercantili mediterranee col Vicino Oriente. Il nome pare abbia relazione con l’isola di Malta ma, in realtà, le malvasie esistenti differiscono molto fra loro; unica cosa in comune sembra essere l’antico uso di tutte le popolazioni mediterranee di offrire questo nettare agli ospiti durante visite o eventi particolari. Modolo è una soluzione conveniente per chi vuole unire alla bellezza del litorale il riposo tra queste colline dove il verde della vegetazione si accompagna al silenzio ed alla sensazione di un’assoluta tranquillità, rotta solo dal canto degli uccelli.
L’antico borgo di Modolo si trova arroccato su un costone calcareo a 135 metri sul livello del mare e guarda verso la costa occidentale della vicina Bosa; lungo le sue pareti ricchi depositi fossiliferi raccontano la storia geologica di questo angolo di Sardegna. La sua origine è riconducibile al III secolo a.C, come dimostrano i numerosi nuraghi che costellano gli altopiani e la stessa valle; successivamente passò sotto il dominio fenicio e poi romano. Da non perdere le ”domus de janas” di Silattari e Coronedu, i nuraghi di Allagasse e Monte Nieddu, la chiesa di Santa Croce, risalente al XVII secolo, e soprattutto la chiesa parrocchiale intitolata a Sant’Andrea Apostolo. Quest’ultima, che sorge nel centro storico, fu edificata in periodo medievale, ma fu distrutta da un incendio nel 1828 e quindi ricostruita.
Ma eccoci giunti, dopo pochi chilometri, a Bosa, meta principale della nostra visita. Qui incontriamo le tracce di millenni di storia lasciate dalle civiltà che vissero lungo le sponde del fiume Temo. Dai Nuragici ai Fenici, dai Romani a tutti i popoli che si alternarono nel governo di questa ricca regione. Il borgo medievale (non a torto uno dei borghi più belli d’Italia) è bagnato da questo fiume, l’unico navigabile della Sardegna, ed è sovrastato dalle rovine dell’imponente Castello Malaspina, costruito intorno al 1112.
Il maniero contiene un’interessante cappella palatina che fu edificata nel XIV secolo. Originariamente intitolata a San Giovanni e poi a Sant’Andrea, la cappella viene ora denominata Nostra Signora de Sos Regnos Altos, in seguito al rinvenimento di un simulacro ligneo raffigurante la Madonna, avvenuto nel 1847 tra le rovine del castello.La cappella, di piccole dimensioni e forme semplici, non presenta elementi architettonici di rilievo. L’interno è costituito da un unico ambiente a pianta rettangolare, con copertura lignea a capriate e abside semicircolare. Durante i restauri del 1972 sono però venuti alla luce gli affreschi delle pareti laterali e della controfacciata, purtroppo danneggiati in epoca imprecisata in seguito alla riedificazione dell’abside, che fanno di questa cappella un esempio raro in Sardegna.
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Le scene affrescate comprendono vari cicli: raffigurazioni di scene evangeliche, come l’Adorazione dei Magi e l’Ultima cena sulla parete sinistra; episodi diversi delle vite di santi e sante e della Vergine, come il Martirio di San Lorenzo, San Giorgio e il drago e l’Annunciazione, nella controfacciata; infine, nella parete destra, l’unica rappresentazione in Sardegna dell’”Incontro dei tre morti e dei vivi“, un affresco di indubbia forza espressiva che richiama la caducità umana e l’uguaglianza di tutti, senza differenza di rango sociale, davanti alla morte. La visita al castello, ottimamente guidata, merita di essere effettuata; l’ora del tramonto è la migliore per poter ammirare il panorama con il sole che s’immerge nel mare all’orizzonte. Sotto il castello si vedono il colle di Serravalle ed il rione di “Sa Costa”, si osserva la città vecchia di Bosa, composta da casette multicolori arroccate le une alle altre, con piccole viette tra loro che richiamano i carruggi liguri, ed, in basso, l’antico rione di “Santa Cadrina”.
Altra visita da effettuare è quella alla chiesa di San Pietro extra muros, un edificio situato nella località campestre di Calmedia, sulla riva sud del fiume Temo, poco a monte della cittadina; fu cattedrale della diocesi di Alghero Bosa ed è una delle più antiche chiese romaniche della Sardegna. Il sito di Calmedia, dove sorge la cattedrale, ha restituito vestigia puniche e si ritiene sia il luogo in cui i Romani fondarono la città di Bosa vetus; purtroppo non restano rovine visibili e l’antico ponte romano è osservabile solo durante le escursioni in battello lungo il fiume. A Calmedia, in età giudicale, venne eretta la cattedrale di San Pietro, tra il 1062 ed il 1073. La diocesi è documentata dal 1073 da una lapide del vescovo Costantinus de Castra conservata all’interno della cattedrale. Tutto intorno orti di frutta e verdure fanno da cornice a questo splendido esempio di architettura romanica
Raggiungiamo ora Bosa marina, posta alla foce del fiume Temo, con la sua bellissima spiaggia di sabbie dorate, e da cui parte verso nord la costa che raggiunge Alghero. Dal piccolo porticciolo antistante la sede della Capitaneria di Porto è possibile noleggiare un gommone ed effettuare esplorazioni delle spiagge limitrofe come quella di ciottoli di Torre Argentina; andando verso nord si naviga lunga la costa incontaminata fino a Capo Marrargiu, caratterizzata da falesie dalle cento sfumature di colore, che presenta numerosi punti di immersione ed offre anche la possibilità di effettuare escursioni naturalistiche sui sentieri scoscesi alla scoperta del grifone, un avvoltoio, secondo in grandezza solo al condor, che su quelle falesie ha stabilito una colonia nidificante, l’unica presente in Italia. La costa a sud di Bosa non è da meno, alternando falesie a spiagge meravigliose come quella di Tres Nuraghes e prosegue fino a Maldiventre.
Per le immersioni guidate mi rivolgo al Bosa Diving Center di Vincenzo Piras, tra l’altro proprietario anche del B&B di Modolo. Non è un caso che mi sia rivolto a lui: Vincenzo è subacqueo, speleologo, e ricercatore conosciuto nella zona che ha pubblicato numerosi articoli e pregevoli volumi tra cui “Gruttas e Pelciones”, con 650 fotografie a colori, 120 schede analitiche e mappe di grotte censite, di cui 48 marine e sottomarine, offerte agli appassionati dopo oltre dodici anni di intenso lavoro e ricerche in collaborazione con università sarde e della penisola. L’opera contiene numerose descrizioni di animali marini e terrestri endemici nella zona. Un’opera di consigliata consultazione per poter meglio comprendere questo ambiente costiero e le sue caratteristiche. Vincenzo mi accoglie da subito con simpatia, caratteristica che ritrovo in molti bosani e da vero professionista cerca di capire le mie esigenze di “tentative photographer and reporter” al fine di ottimizzare il purtroppo limitato tempo a mia disposizione. Mi descrive l’ambiente terrestre e subacqueo del litorale: dalle rocce vulcaniche di trachite e glauconite di Capo Marrargiu alle lontane bianche spiagge dell’Isola di Maldiventre. Nell’immediato, mi propone tre siti di immersione che offrono spunti interessanti per meglio comprendere il litorale. Mi consegna anche una mappa della zona con la descrizione dettagliata delle immersioni da cui estraggo alcuni schemi ed informazioni che mi danno un’idea molto completa dell’ambiente che visiteremo.
La prima immersione che effettuiamo è sulla secca di Capo Marrargiu, un esteso massiccio roccioso di origine vulcanica in prossimità del Capo. La secca, da una quota di quaranta metri, si solleva con una alternanza di terrazzamenti, fenditure e canaloni, fino ad una quota massima di sei metri. Dal punto meno profondo, posto nel settore occidentale, si inizia una discesa sul cappello. Apprezziamo una leggera corrente che pero’ scompare scendendo verso il fondo.
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Attraversiamo un arco di roccia e percorriamo un lungo e profondo canalone orientato a sud-ovest sino al bordo di una parete che sprofonda ad oltre trenta metri. Troviamo una vistosa spaccatura, dimora di varie specie di pesci e crostacei, che rivela un’eccezionale biodiversità. Mentre fotografo la parete, un branco di giovani barracuda mi avvolge, salendo lungo il costone; uno spettacolo reso particolarmente affascinante dalla conformazione rocciosa che mi circonda. Sul fondo detritico si segue la base della secca in senso orario risalendo verso la superficie con un alternanza di rocce ricche di fauna e flora marina.
Nelle due immersioni effettuate resto incantato dalla biodiversità presente e mi rendo conto che l’immersione su questa secca meriterebbe più di una ripetizione. Sara’ per una prossima volta, magari con un’immersione notturna. Ma il tempo incomincia a cambiare ed il Maestrale, signore di questi lidi, minaccia increspando le onde del mare.
Nei giorni seguenti effettuiamo un’immersione alla Grotta dei Pellicani ed alla secca di Cala è Moros. La Grotta dei Pellicani si trova al di sotto del capo Marrargiu, che gli antichi fenici e romani avevano dedicato al dio protettore dei naviganti (Ermaeum Akron).
I grifoni volano sopra le nostre teste per raggiungere i loro nidi; Vincenzo ci racconta la storia della nuova colonizzazione dei grifoni che ha rinvigorito l’esistente colonia con esemplari provenienti dalla Spagna. Ci avviciniamo alla parete della falesia; in alto una curiosa conformazione della roccia sembra richiamare la raffigurazione dell’antico dio. L’ancoraggio non e’ semplice, anche a causa delle condizioni del mare, ma Vincenzo conosce il fondale ed i suoi segreti e ci permette di avvicinarci alla parete in sicurezza.
Scendiamo sul fondo, popolato da enormi massi, colonizzati da alghe e spugne colorate. L’ingresso si presenta stretto ma la cavità tende ad allargarsi all’interno, regalando molte emozioni. La Grotta dei Pellicani dal punto di vista geologico è davvero una rarità. Vincenzo, che nel 1985 scoprì e battezzò la grotta, ci racconta che la sua particolarità è data dal fatto che è costituita da “andesite”, una roccia di origine vulcanica del periodo terziario di 25-30 milioni di anni fa. Le cavità di Capo Marrargiu nascono dalla forza meccanica delle onde che vanno a infrangersi sulle pareti di andesite causando crolli ed allargamenti sulla compagine rocciosa. Questa è una particolarità che le differenzia da quelle di Capo Caccia di origine calcarea.
I colori delle pareti, rischiarate dai nostri illuminatori, sono davvero incredibili; come pennellate di un pittore, innumerevoli sfumature viola, rosse, verdi e rosa si alternano sulle pareti della grotta; le fratture della cavità sono create dal moto ondoso nella parte rocciosa più fragile, in concomitanza con le vene del minerale. Nella parte terminale del percorso si osserva un’importante colata calcitica che crea delle stalattiti.
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La grotta al suo interno presenta delle cascate di calcite bianco latte nella parte emersa, dovute alla presenza di acqua, che scorre all’interno della frattura e deposita il carbonato di calcio in formazioni di stalattiti e stalagmiti. Vincenzo mi sottolinea che nulla di simile esiste da altre parti. Nella parte più interna della grotta il percorso si divide in due rami, il primo subacqueo, lungo circa ottanta e profondo intorno agli undici metri, ed il secondo con una parte emersa in cui possono essere osservate le stalattiti. Terminato un lungo budello si entra nel salone, una bolla dentro il cuore della montagna, alta circa cinquanta metri ed interamente concrezionata. Un’immersione subacquea da non perdere, che non richiede particolari rating ma che per essere apprezzata in pieno necessita di essere accompagnati da una guida esperta.
L’ultima immersione che vi descriverò è quella sulla secca di Cala e’ Moros, un sito relativamente vicino al porticciolo di Bosa Marina, ed è poco più a sud del litorale di Sos Puppos. Arriviamo sotto costa con il gommone ed ormeggiamo sulla verticale della secca, un tavolato roccioso di chiara origine vulcanica. Nel settore ovest e sud si ritrovano delle alte pareti verticali in alternanza a canaloni che attraversano trasversalmente la secca. Scendiamo sulla verticale, a circa venti metri di profondità, ed incominciamo l’esplorazione all’interno di un grande canalone che si ferma a trentasei metri. Il paesaggio è surreale … Lungo il percorso, sia a sud che a nord rispetto al punto di partenza, incontriamo canyon e numerose cavità passanti e grotte tra cui quella detta delle Aragoste che rivelano una biodiversità straordinaria.
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Nelle cavità osserviamo anche minuscoli rami di corallo rosso, un tempo importante risorsa economica della zona. Costantino, un noto pescatore di Bosa, ci racconta che più di cinquant’anni fa una colonia di corallari ponzesi si trasferì in questa parte della Sardegna nel periodo d’oro della pesca del corallo spingendosi oltre i cento metri per raccogliere l’oro rosso. Oggi questa pesca non viene più effettuata e le attività sono rivolte alle risorse ittiche per il mercato locale. Ci spingiamo verso il settore più superficiale della secca dove, in un’alternanza fra gli otto ed i venticinque metri, entriamo in numerose grotte passanti tra cui quella chiamata di Cala é Moros. L’immersione è molto divertente e gli incontri con cernie, murene e polpi sono numerosi. Sessanta minuti di divertimento assicurato.
L’area marina merita un ritorno, ci sono ancora molti punti di immersione da scoprire e nuove avventure da intraprendere.
Andrea Mucedola
photo credit di tutte le immagini andrea mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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