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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: EUROPA
parole chiave: NATO, Russia
Cold war drum rolls
Spesso sentiamo parlare di ritorno alla guerra fredda ovvero a quella contrapposizione politico militare che venne a crearsi intorno al 1947 tra le due superpotenze dell’epoca (USA ed URSS) a termine della seconda guerra mondiale. Un periodo importante la cui conoscenza può aiutarci a comprendere le geopolitiche odierne. Dopo la guerra i rapporti tra Stati Uniti e Russia divennero sempre più tesi. In breve tempo si crearono due blocchi: uno occidentale composto dai paesi aderenti alla NATO (North Atlantic Treaty Organization, 4 aprile 1949) ed uno orientale, il “blocco comunista” guidato dall’Unione Sovietica e dagli alleati che componevano il Patto di Varsavia (Trattato di Varsavia – Варша́вский договор, 14 maggio 1955).
Questa suddivisione vide svilupparsi una contrapposizione tra due grandi ideologie politico-economiche: la cosiddetta democrazia capitalista ed il totalitarismo comunista, in un a corsa agli armamenti che sarebbe poi durata fino alla caduta del muro di Berlino. Lo scontro politico, tra alti e bassi, di fatto evitò un’escalation militare, grazie alla comprensione che uno scontro frontale tra le due superpotenze avrebbe comportato il rischio di una guerra nucleare con l’annichilimento comune. Nonostante fasi potenzialmente pericolose, la fine della guerra fredda fu legata alla dissoluzione economica dell’URSS nel dicembre 1991, preceduta dalla caduta del muro di Berlino avvenuta il 9 novembre del 1989. Inutile dire che questo lento, anche se inevitabile cambiamento geopolitico e militare, fu oggetto di molte discussioni nell’ambito della Alleanza Atlantica.
Gli anni ’90
Negli anni ’90 la NATO incominciò a sviluppare il concetto di identità europea di sicurezza e difesa (ESDI) e di cooperazione con gli Stati partecipanti all’OSCE, in particolare attraverso il partenariato per la pace dove la Russia aveva (ed ha ancora) un peso politico militare non indifferente. Questo sviluppo concettuale richiese di rivedere il Concetto Strategico dell’Alleanza per garantire che fosse pienamente coerente con il NATO enlargement (ingresso di nuovi Paesi, ex sovietici nella NATO) e le nuove sfide di sicurezza dell’Europa. La Russia, continuando il suo processo interno di sviluppo verso una società democratica, intraprendeva una profonda trasformazione politica ed economica, cambiando di conseguenza il concetto di sicurezza nazionale. Questo processo comportò una revisione della dottrina militare ex sovietica, con profonde riduzioni nelle forze armate, che furono ritirate dai Paesi dell’Europa centrale, riportando le armi nucleari in territorio russo. Inoltre, la Russia si impegnò a ridurre ulteriormente le sue forze convenzionali e nucleari, dando disponibilità a partecipare attivamente ad operazioni di mantenimento della pace, a sostegno dell’ONU e dell’OSCE, ed a gestire crisi nelle varie aree del mondo. Al vertice NATO di Londra del luglio 1990, la NATO iniziò ad offrire alla Russia “dialogo al posto di confronto”; negli anni seguenti l’Alleanza promosse politicamente il dialogo e la cooperazione, creando il Partenariato per la Pace (PfP) e il Consiglio di partenariato euro-atlantico (EAPC) aperto a tutti paesi europei inclusa la Russia. Di fatto nel 1991 la NATO intraprese un partenariato strategico con la Russia, al fine di creare i presupposti per una convivenza reciproca, scevra da rischi per i Paesi alleati ed amici. Nel giugno 1994 la Russia divenne di fatto il primo Paese ad aderire al Partenariato per la Pace della NATO (PfP), un programma di cooperazione bilaterale tra la NATO e tutti i paesi partner, creato al fine di intensificare la cooperazione politica e militare in Europa, per aumentare stabilità e costruire relazioni di sicurezza sempre più solide. Di conseguenza la NATO iniziò una riduzione delle sue forze convenzionali e nucleari e, pur preservando gli impegni assunti nel Trattato di Washington, continuò ad espandere le sue funzioni politiche.
In quegli anni la NATO intraprese nuove missioni di mantenimento della pace e di gestione delle crisi a sostegno delle Nazioni Unite (ONU) e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE); una delle più significative fu la missione in Bosnia-Erzegovina, condotta in stretta associazione con altri Paesi e organizzazioni internazionali.
Una pietra miliare fu la firma del NATO-Russia Founding Act, 27 maggio 1997, da parte dei leader della NATO e il presidente Boris Eltsin che espresse la determinazione reciproca a ” … costruire insieme una pace duratura e inclusiva nell’area euro-atlantica sui principi della democrazia e la sicurezza cooperativa … “; questo atto stabilì l’obiettivo della cooperazione in settori quali il mantenimento della pace, il controllo delle armi, l’antiterrorismo, la lotta al narcotraffico e la difesa dai missili di teatro. Nell’atto istitutivo, la NATO e la Russia concordarono di basare la loro cooperazione sui principi dei diritti umani e delle libertà civili, astenendosi dalla minaccia o dall’uso della forza l’uno contro l’altro o in qualsiasi altro stato.
Un nuovo significativo passo avanti fu l’incontro, ottenuto grazie all’impegno italiano, del Consiglio NATO-Russia svolto a Pratica di mare, Roma, 28 maggio 2002, che diede vita al «Consiglio a venti» che comprendeva formalmente anche la Russia. La firma congiunta da parte di Russia e NATO di una Dichiarazione dal titolo NATO-RUSSIA RELATIONS: A NEW QUALITY stabilì che il Consiglio NATO-Russia assumesse un effettiva significatività, portando di fatto la cooperazione in nuovi settori quali l’antiterrorismo, la gestione delle crisi, il controllo degli armamenti e la difesa missilistica.
Dopo un periodo di effettiva collaborazione, che vide NATO e Russia operare insieme a sostegno dell’Afghanistan, nell’agosto 2008 la crisi politico militare in Georgia e la successiva azione militare russa portò ad una brusca sospensione delle riunioni formali del Consiglio NATO-Russia e della effettiva cooperazione in alcune aree geografiche. Al vertice della NATO a Strasburgo, 4 aprile 2009, i leader della NATO riconobbero i disaccordi con la Russia sulla Georgia, ma decisero di riprendere la cooperazione politica ed espressero la loro disponibilità a rendere il Consiglio NATO-Russia un veicolo più efficiente per la cooperazione. Durante il vertice di Lisbona del novembre 2010, i leader NATO ed il presidente russo Dmitry Medvedev convennero di avviare “una nuova fase di cooperazione verso un vero partenariato strategico“, basato sugli obiettivi e i principi del NATO-Russia Founding Act e della Dichiarazione di Roma NATO-Russia. Fu inoltre concordato di rafforzare ulteriormente la mutua cooperazione nella lotta contro il terrorismo e contro la pirateria in alto mare.
Negli anni seguenti NATO e Russia lavorarono insieme a sostegno della flotta di elicotteri dell’esercito afghano, e in campo marittimo condussero operazioni congiunte contro la pirateria ed esercitazioni di salvataggio per i sottomarini.
Il caporale Dmitry Polosov traduce per un ufficiale russo durante un’operazione di evacuazione non combattente durante l’esercitazione Baltic Operations 2005. Polosov e 23 Marines del 2° Battaglione parteciparono all’esercitazione, coinvolgendo oltre 500 soldati di 11 Paesi per migliorare l’interoperabilità tra Alleati e Paesi Partnership for Peace. Photo credit: Sgt. Adrianne Rigez – released Public domain
Inoltre, fu discussa una missione congiunta per aiutare a smaltire le armi chimiche in Siria. Tuttavia, nel marzo 2014, l’annessione da parte di Mosca della Crimea, facente parte del territorio sovrano dell’Ucraina, fu considerata una violazione dell’atto e causò la sospensione di ogni tipo di attività di cooperazione (anche se furono mantenuti aperti i canali di comunicazione politici e militari).
Al vertice NATO di Varsavia del luglio 2016 i leader della NATO rilasciarono una dichiarazione congiunta, The Warsaw declaration on Transatlantic Security:
“ … Today, our nations face an unprecedented range of security challenges, including the terrorism that has struck hard in many of our countries; Russia’s actions, especially in Ukraine, that undermine the rules-based order in Europe; and the instability in the Middle East and North Africa. We stand together, and act together, to ensure the defence of our territory and populations, and of our common values. United by our enduring transatlantic bond, and our commitment to democracy, individual liberty, human rights and the rule of law, NATO will continue to strive for peace, security and stability in the whole of the Euro-Atlantic area, in accordance with the principles of the UN Charter … “
In altre parole chiarirono che un auspicato miglioramento delle relazioni della NATO con Mosca sarebbe dipeso da un cambiamento chiaro e costruttivo delle azioni della Russia, che dimostrasse il rispetto del diritto internazionale. I canali per la comunicazione rimasero comunque ancora aperti, compreso il Consiglio NATO-Russia, un’importante piattaforma per il dialogo, che non è mai stato sospeso fra i due partner. Di fatto, dall’aprile 2016, si sono tenute sei riunioni, l’ultima il 26 ottobre 2017. Questo dialogo contribuisce alla trasparenza delle reciproche relazioni attraverso linee di comunicazione militari aperte che mirano a promuovere la prevedibilità e la trasparenza nelle attività.
Segnali contrastanti
Recente fonte di preoccupazione è stato il presunto attacco da parte di agenti russi a Salisbury, Gran Bretagna, avvenuto il 14 marzo 2018; evento che per la sua gravità è stato portato all’attenzione della NATO.
Il caso Skripal
Il Governo britannico ha dichiarato altamente probabile che la Russia sia stata responsabile dell’attacco effettuato con un agente nervino contro Sergej Skripal, doppiogiochista russo, graziato dal Governo di Mosca e lasciato espatriare in cambio di dieci agenti “dormienti” smascherati dagli americani. Skripal viveva in Gran Bretagna sotto la protezione del governo britannico, con lo stato di rifugiato; non si trattava quindi solo di una guerra tra spie, ma di un attacco deliberato di agenti russi in un Paese NATO, oltre a tutto con l’uso di sostanze chimiche tossiche. Gli Alleati espressero immediatamente la loro profonda preoccupazione per l’accaduto e condannarono questa grave violazione delle norme internazionali; dopo intense consultazioni con i Paesi partner, oltre 150 diplomatici russi furono espulsi da più di 25 nazioni. Il 27 marzo il Segretario generale della NATO annunciò il ritiro dell’accreditamento di sette membri della Missione russa alla NATO, nonché la negazione di tre accreditamenti pendenti e la riduzione dell’organico del personale della missione a 20 membri; una crisi politica delicata che compromise i già gelidi rapporti con Mosca.
Stiamo tornando ad una nuova guerra fredda?
Anders Fogh Rasmussen, ex segretario della NATO, ritiene che nonostante i quasi vent’anni passati a cercare di costruire una relazione costruttiva, la Russia non si comporti ancora da partner. Emerse che nei documenti militari russi la NATO era considerata ancora un avversario; inoltre Mosca dichiarò la necessità di “porre fine ai tagli, di invertire la tendenza e di aumentare gradualmente la spesa per la difesa.[2]” Nonostante tutto la politica della NATO rimase invariata, basandosi sul principio della proporzionalità nei rapporti reciproci. L’Alleanza si impegnò a mantenere un approccio, per così dire, a doppio binario, gestendo con fermezza eventuali risposte ma lasciando un’apertura per il dialogo continuando a considerare la Russia un partner importante.
Vanno però considerate le recenti dichiarazioni del Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, che ha richiamato tutti i Paesi membri a rivisitare il loro impegno verso la NATO, tenendo conto delle nuove esigenze militari effettuando gli adeguamenti e ammodernamenti necessari per aumentare l’efficienza delle Forze assegnate.
Secondo le dichiarazioni di Stoltenberg, la NATO ed i Ministri della Difesa dei Paesi membri dovranno concordare a breve la creazione di nuovi Centri di Comando dell’Alleanza in Europa. In particolare uno di questi dovrebbe occuparsi della difesa delle rotte di navigazione che collegano le due sponde dell’Atlantico, mentre l’altro dovrebbe gestire le forze NATO in Europa. Un provvedimento che fa tornare indietro la struttura operativa su due Comandi operativi supremi. Questo fa comprendere una possibile volontà di rivalutare gli scenari atlantici, sempre più politicamente sensibili a causa dello scioglimento dei ghiacci sulle rotte a nord ovest che causeranno l’apertura di nuove appetibili vie marittime. Ma non solo, l’impiego di forze NATO forse anche con il compito di proteggere le risorse sottomarine un tempo naturalmente precluse dalle mire russe.
Una dichiarazione importante che indica la volontà di tornare alla struttura di Comando esistente agli albori della NATO. Per memoria, in guerra fredda esisteva un Comando Operativo puramente marittimo (SACLANT, con sede a Norfolk, Virginia), che venne poi cancellato nel 2002 ed integrato nello SHAPE, sito in Belgio, che aveva assunto il Comando Operativo Joint delle Forze NATO. La cancellazione del SACLANT ed il passaggio della gestione operativa marittima allo SHAPE fu vista come il prevalere della visione terrestre dei generali della NATO. La dichiarazione di Stoltemberg sembra ora rimettere in primo piano il settore marittimo, da troppo tempo considerato secondario a causa di una visione operativa ‘Land Centric’ delle Forze alleate. Un ritorno al passato non avrà solo ricadute sulle architetture di Comando alleate, ma anche sulle politiche di sviluppo e costruzione degli armamenti navali in molti Paesi.
Ricadute sui bilanci della difesa
Le periodiche modifiche della struttura di comando, ben note a chi ha servito nella NATO e negli Alti Comandi dello Stato Maggiore, hanno il compito di adeguare le architetture tecnico-operative alle sfide future e vanno interpretate come mezzo di ottimizzazione degli assetti disponibili. I costi dipendono dal livello di ambizione di ogni Stato, sia a livello nazionale che nella sua integrazione nelle alleanze, non sono trascurabili e necessitano di approfondimenti non solo a livello militare, ma anche politico. In passato molte delle spese sono state coperte in gran parte dagli Stati Uniti ma la crisi economica internazionale ha evidenziato la necessità che tutti i Paesi alleati offrano maggiori risorse. Tecnicamente questa risuddivisione delle spese e dei mezzi necessari viene definita burden sharing.
Le richieste del Presidente Trump in tal senso non sono una novità in quanto, già dal Summit di Praga, gli Stati Uniti avevano sollecitato agli alleati un maggiore impegno. Ovviamente questo processo richiederà anche un’ottimizzazione continua delle risorse, attraverso una periodica pianificazione della Difesa (NATO Defence Planning – NDPP) che consenta l’identificazione delle capacità necessarie, promuovendo il loro sviluppo e acquisizione da parte degli alleati.
Il NDPP fornisce un quadro entro il quale gli alleati dovrebbero armonizzare i loro piani di difesa nazionale con quelli della NATO, senza però compromettere la loro sovranità nazionale. Il processo comprende quattordici diversi ambiti di pianificazione, ognuno dei quali è coinvolto nello sviluppo delle diverse capacità. Allo scopo di facilitare la loro attuazione i requisiti sono trasformati in obiettivi di capacità assegnati equamente in base al requisito generale.
In realtà nei Paesi membri esistono difficoltà legate ai bilanci interni e ai processi di acquisizione, non comparabili con quelli di possibili avversari in uno scenario asimmetrico come quello del terrorismo. A tal riguardo, l’Ammiraglio Ian Forbes (Deputy SACT), alla riunione semestrale del CNAD (Conference of National Armaments Directors) del maggio 2004, sottolineò come burocrazie non adeguate e ristrettezze economiche nei budget della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza fossero fattori limitanti nell’efficienza globale.
A fronte di queste constatazioni nacque il processo di trasformazione tutt’oggi perseguito dal Comando Supremo di Trasformazione (ACT). La Trasformazione, come delineato nel 2003 dall’allora SACT, Ammiraglio Edmund Giambastiani, ha lo scopo di guidare le scelte della NATO nel XXI secolo, in un’era in cui la minaccia agli interessi dei Paesi membri assume dimensioni precedentemente inimmaginabili, in situazioni di crisi e di conflitto asimmetriche, caratterizzate da risvolti politici mutevoli e, soprattutto, senza limiti morali e confini geografici.
Tale minaccia non è legata solo all’ambiente fisico, ma si estende nel cyber-space, per contrastare eventuali attacchi alle reti informatiche che regolano ormai gran parte delle attività economiche e commerciali del mondo occidentale.
Multiple future
Per quanto sopra, le dichiarazioni di Stoltenberg non differiscono molto da quanto profetizzato dagli analisti NATO nel 2002 nel documento Multiple Future. Gli effetti dei cambiamenti climatici, le sempre maggiori migrazioni di massa non controllabili, l’aumento dei fattori di crisi, in un prossimo futuro complicheranno a dismisura la sicurezza globale. Il fattore “risveglio russo” e la maggiore aggressività dello strumento militare di Mosca vanno riconsiderati nelle politiche dell’Alleanza, mantenendo però sempre aperto un canale politico di collaborazione che potrebbe essere prezioso in futuro per tutti.
Rapporto causa effetto
Si deve comprendere che l’architettura dello strumento militare deriva sempre da una volontà politica comune che nella NATO è determinata dal Consiglio Atlantico; essendo il Consiglio basato sull’unanime consenso di tutti i Paesi membri, ogni variazione è frutto di comune concertazione e tiene conto di tutti gli aspetti economici, politici, militari e industriali. Un adeguamento coerente all’evoluzione degli equilibri geopolitici è normale e non deve comportare alcuna preoccupazione. La Russia rimane un attore importante che va considerato negli equilibri mondiali. Le sue dimostrazioni di forza, evidenziate dal recente dislocamento di unità navali nel Mediterraneo e dall’impegno in Siria, e lo sviluppo di armi sempre più letali ma a corto medio raggio, suggerirebbero l’intenzione russa a rafforzare una struttura militare a protezione del suo cerchio di sicurezza, abbandonando in campo marittimo pretese globali. Per quanto concerne il rapporto delle forze nucleari NATO-Russia il potenziale reciproco è tale che in caso di scontro diretto si andrebbe comunque all’annichilimento totale, fattore ben compreso dalle grandi potenze. In una visione globale appaiono essere di maggiore preoccupazione le nuove minacce emergenti, per le quali si ritiene conveniente trovare punti di collaborazione con la Russia, tenendo conto che gli interessi in determinate aree geografiche del pianeta potrebbero essere comuni.
Il futuro si deciderà sugli Oceani
Il rinnovato interesse della NATO verso la minaccia marittima è legato alla constatazione di un indebolimento dell’effettivo controllo sulle rotte internazionali che ha comportato lo sviluppo di importanti fenomeni criminali come pirateria ed traffici illeciti (armi, narcotici, migrazioni clandestine, etc.) e rispolverato vecchi interessi economici e politici su risorse naturali ora diventate disponibili a causa dell’arretramento dei ghiacci (Artico). In questo scenario la Russia può essere considerata un partner (come avviene per le operazioni di anti-pirateria in Corno d’Africa) o un avversario sulle nuove vie d’acqua dell’Artico; in entrambi i casi un dialogo fermo ma aperto è d’obbligo.
Conclusioni
In sintesi, la NATO è tutt’altro che un’organizzazione vecchia e statica; anzi continua a rinnovare la sua politica di difesa contro possibili minacce future, osservando l’evoluzione internazionale e adeguando ad essa le proprie forze militari. In una situazione in rapida evoluzione, dove aumenta sempre più il divario economico tra i Paesi in via di sviluppo (terzo mondo) e quelli con economie di mercato (occidentali) o centralizzate (ex comunisti), dobbiamo ipotizzare un incremento di situazioni di crisi in aree del mondo in cui sono concentrate risorse vitali. Le migrazioni sono solo la punta dell’iceberg che nasconde sfide epocali per la nostra civiltà. Diventa quindi sempre più necessario mantenere un rapporto aperto al dialogo tra i partner, ricercando anche con la Russia nuove occasioni di collaborazione, in particolare negli oceani che sono da sempre spazi di contrapposizione ma anche di incontro per il benessere comune.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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