livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE ROMANA
PERIODO: EPOCA ROMANA
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Architettura navale, Storia navale romana
I Romani e il progresso
Anche se le fonti storiche non forniscono informazioni dirette sui fabri navales – che pur costituivano una corporazione alquanto potente [1] – possiamo apprezzare le capacità di questi costruttori navali romani dai crescenti risultati ch’essi conseguirono, nella costante ricerca delle soluzioni più idonee al soddisfacimento di tutte le esigenze di naviglio: militare, mercantile e per uso privato.
Certo che l’idea di progresso sembra scarsamente compatibile con il mondo greco-romano: visto a distanza di due o tremila anni, questo potrebbe infatti apparire immobile ed immutabile, cristallizzato nei rigidi canoni della classicità [2]. Eppure i Romani ebbero una chiara consapevolezza dei progressi che alla loro epoca si stavano compiendo, come si vede da alcune osservazioni di Seneca [3] e Plinio il Vecchio [4].
Anche noi stessi, d’altronde, non abbiamo alcuna difficoltà a percepire gli antichi progressi nell’architettura, ad esempio osservando, in sequenza, l’architrave un pò rozza della Porta dei Leoni di Micene, le perfette proporzioni del Partenone, le possenti arcate del ponte-acquedotto costruito da Agrippa in Provenza e la volta sublime ed ineguagliabile del Pantheon. In questo caso, tuttavia, siamo partiti da una costruzione di epoca “ciclopica” e ci siamo distesi lungo un arco di un millennio e mezzo.
Plinio il vecchio – libreria del Congresso File:Pliny the Elder.png – Wikimedia Commons
Nel campo navale possiamo partire dai dati meno arcaici raccolti da Plinio il Vecchio, che riferisce la presunta origine dei vari tipi di poliremi [5]. Da queste informazioni, tratte da fonti greche, si comprende quale fosse, a grandi linee, la situazione dell’arte navale nel Mediterraneo nei secoli in cui ha iniziato a sbocciare la marina romana.
Il nostro esame delle tappe salienti del progresso romano nel campo delle costruzioni navali incomincerà dunque basandosi sul predetto scenario di riferimento all’epoca in cui i Romani si sono affacciati sul mare. L’indagine si svilupperà quindi fino all’epoca imperiale, quando il progresso tecnologico poté beneficiare della sensibile accelerazione provocata dal benessere e dalla facilità delle comunicazioni marittime [6]. Non si tratterà di una trattazione tecnica, ma di una veloce navigazione virtuale attraverso la storia navale romana [7], ponendo specifica attenzione all’evoluzione del naviglio.
Le navi troiane trasformate in ninfe – Musei Vaticani – fotografo David H. Wright, The Vatican Vergil, a Masterpiece of Late Antique Art, p.71 Vergilius Vaticanus f71r – Les Vaisseaux changés en nymphes.jpg – Wikimedia Commons
La “nave di Enea”
All’inizio della storia navale romana non può mancare un breve cenno ad un evento che la poesia ha reso leggendario: quello dello sbarco sulla costa laziale di una flotta con i profughi della guerra di Troia [8]. Ma in questa sede, parlando della cosiddetta “Nave di Enea” non ci si riferisce ad una delle navi dell’eroe troiano, anche perché sappiamo da Virgilio [9] ed Ovidio [10] che questi scafi, andati in fiamme, furono tramutati in divinità marine, come le Nereidi [11]
Diamo allora un’occhiata alle necessità navali della primissima Roma, quando, circondati dalle acque del Tevere, i Romani controllavano il fiorente mercato nell’area del futuro Foro Boario, ai piedi del Palatino, e le lucrose attività di traghetto fra le due sponde del fiume. Fin da quell’epoca arcaica, delle navi dovevano utilizzare l’ancoraggio naturale dei Velabri per esigenze di commercio. Gli stessi Romani ebbero interesse a sfruttare anch’essi la via d’acqua fluviale fino al mare e la navigazione marittima, come si può desumere dalle iniziative assunte già in epoca regia da parte di Anco Marzio (640-616), cui è attribuita la fondazione di Ostia, e di Lucio Tarquinio (534-510), che inviò dei coloni a Circeo, quale presidio sul mare verso sud, e compì la bonifica dei Velabri, lasciando l’ampia insenatura del Portus Tiberinus quale primo porto fluviale cittadino.
Per navigare lungo le ampie sinuosità del fiume fino al mare e viceversa, sarebbe stato alquanto complicato utilizzare le normali navi mercantili, dotate della sola propulsione a vela e di limitate capacità di stringere il vento. In quell’epoca le unità più adatte a tali navigazioni, sia per esigenze commerciali che per compiti militari, erano le penteconteri [12], adottate, prima dell’avvento delle poliremi, dalle principali marinerie mediterranee: in Italia, la marina maggiore era quella degli Etruschi [13], primi maestri dei Romani. Dovettero dunque essere delle penteconteri le prime navi da guerra romane citate dalle fonti storiche. A queste unità furono più tardi affiancate anche delle triremi, di cui abbiamo notizia all’inizio del IV sec. a.C., ma le vecchie penteconteri rimasero comunque in linea ancora a lungo, perlomeno fino all’inizio della prima Guerra Punica ([14]).
Essendo state utilizzate per oltre tre secoli, le longeve penteconteri rappresentarono in definitiva un punto di partenza particolarmente importante, l’inizio embrionale della potenza navale romana. I Romani ne furono evidentemente coscienti, visto che un esemplare di queste navi venne gelosamente conservato in un edificio sacro dei Navalia di Roma, lo storico arsenale e basa navale cittadina della flotta romana. Questo arcaico cimelio, verosimilmente rinnovato nel corso dei secoli, finì per essere venerato come “la nave di Enea” almeno fino al VI secolo d.C., quando venne personalmente visto ed ammirato da Procopio di Cesarea, giunto nell’Urbe dopo la cacciata dei Goti [15].
erroneamente si pensava che le quinqueremi avessero 5 file di remi. Studi recenti ritengono che le quinqueremi avessero tre file di remi ma potevano godere di un numero maggiore rematori sui remi – Il disegno è del 1888 Fonte Baumeister: Denkmäler des klassischen Altertums 1888, Volume III, page 1611
Le prime Quinqueremi
Quando sfidarono i Cartaginesi sul mare, per estrometterli dalla Sicilia, i Romani possedevano da tempo una propria flotta militare, che era stata considerevolmente ampliata nel 338 a.C. con la cattura delle navi di Anzio [16]. Essi avevano altresì potenziato i loro cantieri navali – dai Navalia di Roma ad altri scali fluviali viciniori [17] – ed avevano istituito le magistrature dei duumviri navali (312 a.C.), per la gestione e la manutenzione della propria flotta [18], e dei quattro questori classici (267 a.C.), per radunare tutte le idonee navi da guerra disponibili presso le altre marinerie della Penisola [19].
Avendo in tal modo costituito, con le unità romane e quelle italiche alleate, un’ampia forza navale protetta da navi rostrate di medie dimensioni (triremi e pentecontore), i Romani navigarono coraggiosamente verso lo Stretto di Messina, che era presidiato dalla ben più potente flotta punica (264 a.C.). I Cartaginesi, infatti, come le altre maggiori potenze navali del Mediterraneo, avevano da tempo adottato nelle loro forze navali delle poliremi dotate di ponte e molto più robuste e possenti delle triremi [20]): oltre ad alcune quadriremi, qualche esareme e perfino una settereme, si trattava soprattutto delle quinqueremi, che costituivano la quasi totalità delle loro navi combattenti.
Pur essendo stato avvistato nello Stretto ed affrontato in battaglia navale dal nemico, il comandante romano, Appio Claudio Caudice, riuscì a sottrarsi all’ingaggio ed a portare le sue navi a Reggio senza perdite significative.
Ma nella concitazione dell’inseguimento, una quinquereme cartaginese si era spinta troppo sotto costa ed era finita in secca sulla spiaggia calabra [21]. Prontamente abbordata dalle più leggere navi romane, essa venne così catturata. Poco dopo lo stesso Appio Claudio, con un abile stratagemma, riuscì ad attraversare lo Stretto di notte, con tutta la sua forza navale, ed a sbarcare in Sicilia [22].
Tre anni dopo, avendo dato tempo ai fabri navales romani di studiare tutte le caratteristiche costruttive della nave punica catturata ed avendo altresì predisposto una poderosa organizzazione per la costruzione veloce di queste navi e per l’addestramento dei relativi equipaggi, i Romani allestirono nell’arco di due mesi una nuova flotta da combattimento che includeva un buon centinaio di quinqueremi [23]. Inoltre, per rendere tali navi più temibili del loro modello, vanificando le abituali manovre tattiche puniche, essi le dotarono del cosiddetto corvo [24], un attrezzo di nuova concezione che doveva agevolare e velocizzare le fasi di abbordaggio ed arrembaggio delle navi nemiche. In tal modo i Romani riuscirono a cogliere le loro prime grandi vittorie navali, sbaragliando le flotte cartaginesi nelle acque di Milazzo (260 a.C.) [25] e di Ecnomo (256 a.C.) [26].
fine parte I – continua
Domenico Carro
in anteprima nave romana da un bassorilievo ritrovato a Pozzuoli – da History of Rome, and of the Roman people, from its origin to the invasion of the barbarians (1883) (14800062553).jpg – Wikimedia Commons
Note
[ 1] Ne sono rimaste ampie tracce nei maggiori porti romani, quali, ad esempio, Ostia, Porto e Pisa. Ad Ostia, in particolare, essi possedevano una splendida sede sociale (la Schola di Traiano) ed un tempio dedicato al loro culto (il Tempio dei Fabri Navales).
[ 2] Anche il raffronto sommario fra il mondo greco e quello romano evidenzia molte similitudini apparenti, come sembra voler suggerire Plutarco con le sue vite parallele: Teseo e Romolo, Demostene e Cicerone, Alessandro e Cesare, ecc.
[ 3] “Secondo me le opinioni degli antichi sono imprecise e rozze: si vagava ancora qua e là alla ricerca del vero; … in seguito quelle medesime teorie furono perfezionate” (Sen. nat. 6, 5, 2-3)
[ 4] “Non si metta in dubbio che un progresso continuo esiste, di generazione in generazione” (Plin. nat. 2, 62)
[ 5] “Damaste afferma che la prima bireme fu costruita dagli Eritresi, Tucidide che la prima trireme si deve ad Aminocle di Corinto; la quadrireme, secondo Aristotele, fu costruita per la prima volta dai Cartaginesi; la quinquereme, secondo Mnesigitone, dagli abitanti di Salamina; la nave a sei ordini, secondo Senagora, dai Siracusani; le navi da sette a dieci ordini, secondo Mnesigitone, da Alessandro Magno; quelle fino a dodici ordini, secondo Filostofano, da Tolomeo Soter; quelle fino a quindici da Demetrio figlio di Antigono; quelle fino a 30 da Tolomeo Filadelfo; quelle fino a 40 da Tolomeo Filopatore” (Plin. nat. 7, 207-8).
[ 6] “The demand for more and more, beautiful and useful things, provided the incentive for such technological advances, but other factors also influenced demand and growth, especially transport possibilities in the Mediterranean of the pax Romana” (Robyn Veal, sintesi del saggio “Forest resources and technical innovation in the Roman economy” che verrà presentato nel 2015 al convegno “Capital, Investment, and Innovation in the Rowan World”).
[ 7] Il testo di riferimento principale è Domenico Carro, Classica (ovvero “Le cose della Flotta”) – Storia della Marina di Roma – Testimonianze dall’antichità, Rivista Marittima, Roma, 1992-2003 (12 volumi). Ulteriori informazioni sono pubblicate in altri testi e nel sito Roma Aeterna (www.romaeterna.org).
[ 8] Secondo Ferdinando Castagnoli, “la venuta di Enea nel Lazio non sarebbe un mito artificiosamente creato, ma invece, in un certo senso, una tradizione: sarebbe cioè l’eco di fatti realmente avvenuti, l’arrivo di genti egee nel Lazio proprio intorno al periodo della guerra di Troia.” (da AA.VV., Enea nel Lazio: archeologia e mito, Fratelli Palombi, Roma, 1981, p. 4).
[ 9] “… da Cibele in ninfe furono tramutate, e dee fatte del mare.” (Verg. Aen. 10, 220-222)
[10] “… spesso sorreggono con le mani le navi che rischiano d’affondare” (Ov. met. 14, 559-561).
[11] Queste leggiadre divinità marine sono state spessissimo rappresentate dall’arte romana, perché erano considerate protettrici dei naviganti.
[12] Le pentecontori (o penteconteri) erano navi rostrate lunghe 30 metri, dotate di 50 remi (25 per lato) oltre alla vela. I remi erano disposti su di un solo ordine; vi era un solo vogatore per ogni remo. Queste navi si dimostrarono idonee a compiere anche lunghe navigazioni (Hdt. 1, 163) e furono valutate veloci come le liburne, ma meno delle triremi (Zos. 5, 20).
[13] Maurizio Martinelli, La più antica marineria etrusca, Rivista Marittima, Roma, maggio 2006, pp. 73-85
[14] Pol. 1, 20, 14
[15] Proc. BG 4, 22, 2-3; Filippo Coarelli, Il Foro Boario: dalle origini alla fine della repubblica, Edizioni Quasar, Roma, 1992, pp. 123-127
[16] Liv. 8, 13-14
[17] Oltre ai cantieri navali già realizzati ad Ostia, i Romani devono aver predisposto vari altri cantieri sul Tevere e sui suoi affluenti, per mettersi in condizione di allestire grandi flotte in breve tempo ed al riparo dalla minaccia del nemico. I probabili resti di uno di questi cantieri sono recentemente stati individuati dalla associazione culturale “Porto di Narni, approdo d’Europa” in un canale artificiale che corre parallelo al corso del fiume Nera, non lontano da Narni.
[18] Liv. 9, 30
[19] Lyd. mag., 1, 27
[20] Il progressivo ingrandimento delle poliremi era cominciato all’inizio dell’epoca ellenistica, soprattutto presso i regni dei successori di Alessandro Magno, che giunsero a costruire delle navi gigantesche e sfarzose, più adatte all’ostentazione della potenza che all’effettiva acquisizione del dominio del mare. La maggiore rispondenza delle quinqueremi nelle operazioni navali di ampio respiro si era già intravista fra il V e IV sec. a.C., dai confronti in mare tra Siracusa e Cartagine, ma diverrà palese a tutti solo nel III sec. a.C..
[21] Pol. 1, 20
[22] Frontin. strat. 1, 4, 11; Pol. 1, 11
[23] Pol. 1, 20; Flor. epit. 1, 18, 7; Plin., nat., 16, 192
[24] Il cervellotico corvo (passerella orientabile, larga più di un metro e lunga oltre 10 m) è citato da una sola fonte (non molto convincente su questo punto): Pol. 1, 22. Tutte le altre fonti parlano invece di manus ferreae: Flor. epit. 1, 18, 9: Frontin. strat. 2, 3. 24; Vir. ill. 38, 1
[25] Pol. 1, 23-24; Liv. per. 17; Eutr. 2, 20; Sil.. 6, 663-664. Per gli onori tributati a Caio Duilio, vedasi anche Fast. tr., an. CDXCIII; Plin. nat. 34, 20; Quint. inst. 1, 7, 12; Cic. Cato 13; Flor. epit. 1, 18, 10; Val. Max. 3, 6, 4; Amm. 26, 3. Nella battaglia navale di Milazzo, i Romani privarono i Cartaginesi di 45 navi (31 catturate e 14 affondate).
[26] Pol. 1, 25-28; Oros. 4, 8, 6. Nella battaglia navale di Ecnomo, i Cartaginesi riuscirono ad affondare 24 navi del grande convoglio romano, ma persero quasi un centinaio delle proprie navi da guerra (64 unità catturate dai Romani e più di 30 affondate).
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ammiraglio di divisione della Riserva della Marina Militare Italiana, dal momento del suo ritiro dal servizio attivo, assecondando la propria natura di appassionato cultore della Civiltà Romana, ha potuto dedicarsi interamente all’approfondimento dei suoi studi storiografici, nell’ambito dei quali ha pubblicato numerosi libri e saggi, creato l’interessantissimo sito ROMA AETERNA ed il foro di discussione FORVM ROMAETERNA (2001-2013), poi sostituito dall’istituzione di pagine estratte da “Roma Aeterna” nelle maggiori reti sociali, quali Linkedin, Facebook, Twitter, Youtube, Flickr, etc. Non ultimo, l’ammiraglio Carro è relatore in importanti convegni, nazionali ed internazionali sui temi della storiografia romana e della salvaguardia della cultura marittima.