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NO PLASTIC AT SEA

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Petizione OCEAN4FUTURE

Titolo : Impariamo a ridurre le plastiche in mare

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  Address: OCEAN4FUTURE

Might is Right?

Reading Time: 6 minutes

 

livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIRITTO INTERNAZIONALE
parole chiave: Cina, mar cinese meridionale

 

Le controversie nel Mar cinese meridionale a fronte della decisione della Corte permanente di arbitrato dell’Aja.

The Tribunal finds that China’s claims in the South China Sea do not include a claim to ‘historic title’”. Con giudizio unanime, il 12 luglio 2016, la Corte permanente di arbitrato ha stabilito l’inconsistenza giuridica della giustificazione addotta dalla Cina a sostegno della sua politica nel Mar cinese meridionale.

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Per quanto sopra, la cosiddetta Nine-Dash Line, violerebbe le regole della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare andando ad intaccare la sovranità che altri Stati, come le Filippine, possiedono di diritto nelle loro zone economiche esclusive (ZEE). L’annosa controversia del Mar cinese meridionale riguarda una porzione di mare che, per la sua posizione geografica, la sua notevole pescosità e ricchezza di risorse energetiche, desta grande interesse negli Stati che la rivendicano. L’area contesa include tra le altre le isole Spratly e Paracel e il bassofondo di Scarborough, rivendicati al contempo da Cina, Filippine, Vietnam, Malesia, Taiwan e Brunei.

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Haiphong, Vietnam, il 21 ottobre 2011. Un marinaio vietnamita  mostra un plastico del Truong Sa lon, un isola delle Spratley rivendicata anche da Hanoï.© AFP PHOTO/HOANG DINH NA

Le rivendicazioni territoriali della Cina nell’area fanno riferimento alla cosiddetta Linea dei nove punti che, comparsa per la prima volta in una mappa ufficiale cinese del 1948, si estende per circa 1.800 Km a sud della Cina continentale, assegnando quindi alla Cina diverse porzioni di acque internazionali nonché la sovranità su zone economiche esclusive di Paesi come le Filippine. Il problema nasce nel momento in cui dalla mera speculazione teorica la Cina decide di passare alla pratica imponendo, in forza di tale principio, la sua presenza in queste aree attraverso esplorazioni marine nella zona economica esclusiva filippina, attraverso la costruzione di isole artificiali a largo delle Spratly Island e impedendo la pesca a largo dello Scarborough Shoal ai pescatori filippini.

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Dopo la sentenza dell’Aja quale sarà la risposta della Cina alla sentenza internazionale?
Le isole Spratly sono importanti sia per ragioni economiche che strategiche. Al di la’ delle risorse, ancora in parte inesplorate, queste isole sono nel mezzo di una delle zone più trafficate del traffico marittimo commerciale che raggiunge il Giappone e gli altri paesi dell’Estremo Oriente. II possesso di queste isole fornirebbe la possibilità di vantare una piattaforma continentale maggiormente estesa e posizioni avanzate per il monitoraggio dell’attività marittima nel Mar Cinese Meridionale e, potenzialmente, per estendere il braccio delle sue forze militari. Nel 2014, la Cina ha attirato l’attenzione internazionale sviluppando ulteriormente la propria presenza militare nella zona. Nel 2015 immagini satellitari hanno confermato che la Cina stava rapidamente costruendo un aeroporto su Fiery Croce Reef e costruendo avamposti militari di supporto su isole artificiali. Il dragone sta agitando la coda. Interrogata dalla comunità internazionale la Cina ha chiarito la sua posizione richiamando i suoi diritti storici nell’area derivanti proprio dalla suddetta linea e ha dichiarato di voler definire la situazione attraverso negoziati e accordi bilaterali come stabilito nel Code of Conduct on the South China Sea.

Tutto ciò sarebbe auspicabile se in realtà nella Convenzione sul diritto del mare, ratificata dalla Cina nel 1996, non fosse già previsto, per casi del genere, un sistema di risoluzione pacifica delle controversie che nella parte XV della Convenzione prevede il ricorso alla Corte di arbitrato, le cui decisioni hanno carattere definitivo e obbligatorio secondo quanto stabilito dall’articolo 296 dell’UNCLOS. È proprio nel carattere mandatorio di tale decisione che bisognerebbe porre l’accento in quanto, consapevole delle conseguenze soprattutto politiche che un giudizio sfavorevole avrebbe arrecato alla Cina, quest’ultima, nel momento in cui le Filippine hanno deciso di adire la Corte in merito alla situazione, ha chiarito di non voler prendere parte all’arbitrato ritenendolo illegittimo in quanto concernente questioni di sovranità, fattispecie esclusa dalle regole UNCLOS. Le Filippine in realtà, chiedendo alla Corte di esprimersi circa la validità giuridica internazionale dei pretesi diritti storici della Cina, hanno brillantemente superato il limite della sovranità rendendo del tutto legittimo l’arbitrato.

In particolare quando, il 22 gennaio 2013, le Filippine hanno aperto una procedura d’arbitrato  contro la Cina, alla Corte  è stato chiesto di esprimersi su diversi aspetti, sintetizzati da quest’ultima nella sentenza del 12 luglio in quattro punti:

  • che la corte chiarisse che l’unica fonte di diritto giuridicamente vincolante nell’ambito del diritto del mare è l’UNCLOS, stabilendo quindi l’illegittimità giuridica della linea dei nove punti;
  • che fosse chiarito che le Spratly Island e lo Scarborough Shoal non essendo all’interno delle 200 miglia nautiche dalla costa cinese non possono essere parte né della zona economica esclusiva né della piattaforma continentale cinese;
  • che fossero riconosciute le violazioni della Convenzione attuate dalla Cina, nel non rispettate la ZEE delle Filippine, nel non sanzionare l’overfishing dei pescatori cinesi e nel costruire isole artificiali nelle Spratly Island;
  • che la Corte tenesse conto dell’atteggiamento non collaborativo e non improntato alla risoluzione della controversia da parte della Cina, rea di aver impedito l’accesso ad un distaccamento della marina filippina al Second Thomas Shoal e di aver continuato a costruire isole artificiali per imporre la propria presenza militare, durante il periodo di arbitrato.

Con la storica sentenza la Corte ha sostanzialmente accolto tutti i punti portati avanti dalle Filippine stabilendo l’illegittimità dal punto di visto del diritto internazionale dell’atteggiamento cinese. Dal canto suo la Cina ha però immediatamente chiarito di non voler accettare tale giudizio ritenendolo in sostanza privo di valore vincolante, chiedendo e ottenendo l’appoggio internazionale di Paesi come la Russia e i Paesi della Lega araba, tra gli altri.

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La questione pare a questo punto spostarsi su tutt’altro piano, in altre parole contano ancora le regole del diritto internazionale, le convenzioni delle Nazioni Unite e le Nazioni Unite stesse se le grandi potenze possono a loro piacimento decidere di rispettarne o no le regole a seconda della convenienza del momento?

Prendendo in prestito le parole dell’ex Segretario agli Affari esteri filippino Albert Del Rosario l’importanza di tale arbitrato stava anche nella possibilità di far valere il “right vs might” nell’ambito del diritto internazionale. Ma a ben vedere nessuna delle grandi potenze del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha mai accettato una sentenza di una Corte internazionale che andasse a sfavore dei propri interessi, né gli Usa nel caso contro il Nicaragua, né la Russia nel caso contro l’Olanda per citare alcuni esempi. Resta quindi da vedere se nell’evolversi della situazione cinese la sentenza sarà fatta valere, se sarà la volta buona per sostenere che in realtà ”right is might”, come ha entusiasticamente sostenuto Del Rosario all’indomani del verdetto.

Nunzia Merola

 

nunzia merolaNunzia Merola (Vallo della Lucania, 1992) possiede un Master in Studi europei presso l’Università degli studi Roma Tre con lode con una tesi in Diritto privato comparato sulla tematica delle Alternative Dispute Resolution. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Relazioni internazionali presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” con specializzazione in Vicino e Medio Oriente, ha seguito corsi di formazione in Peacekeeping e Peacebuilding presso la Scuola di aggiornamento e alta formazione “G. Arcaroli” di Roma e in International Commercial Arbitration presso l’ICC  International Court of Arbitration di Parigi. È stata tirocinante presso l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie. Si occupa di Diritto internazionale, Diritto dell’Unione europea e Diritto islamico.

 

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