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livello medio
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: NA
AREA: DIRITTO INTERNAZIOANLE MARITTIMO
parole chiave: leggi del mare
Le esistenti controversie internazionali su acque di interesse economico da parte di Stati diversi sottolineano come la regolamentazione degli spazi marittimi necessiti ancora molti sforzi a livello internazionale..
Sebbene molti problemi siano irrisolvibili nello scenario geopolitico attuale, de facto, le Marine Militari restano elemento fondamentale per la gestione di queste aree di crisi. Non si può immaginare altra soluzione se non il loro mantenimento in mare per compiti di presenza e salvaguardia degli interessi nazionali.
Sebbene esistano strumenti di diritto, come il diritto pubblico internazionale, che tendono a disciplinare il comportamento degli Stati o di altri soggetti internazionali sul mare, nelle proprie competenze e relazioni reciproche, basati su valori comuni e condivisi al fine di mantenere la pace e la cooperazione internazionale, le aree di crisi si stanno moltiplicando e caratterizzeranno sempre di più gli equilibri geopolitici del III millennio.
Un cammino di millenni
Questo insieme di regole e principi cerca di unificare i diversi sistemi giuridici coordinandoli in modo coerente con lo scopo di disciplinare le relazioni tra soggetti sovrani, membri e altri soggetti per armonizzarne le relazioni in un ideale di giustizia, per raggiungere accordi di comune interesse e vantaggio.
Gli accordi possono essere Trattati, Convenzioni internazionali ma, come la storia ci insegna, possono anche basarsi su prassi consuetudinarie. Non sempre hanno avuto vita facile in quanto esistono nella storia del passato, ma anche recente, numerosi episodi che hanno fatto discutere per una loro legittimità non pienamente condivisa. Il problema è sempre stato la condivisibilità e la fattibilità dell’applicazione delle Convenzioni a fronte degli interessi nazionali ed internazionali. Di fatto, chi ha detenuto il potere marittimo ha sempre cercato di imporre il proprio volere sugli altri. In tempi antichi, e parliamo di oltre 8000 anni or sono, il diritto di usare il mare a propria discrezione risiedeva nei popoli in grado di governare il mare. Qualunque fosse il compito, di “polizia in alto mare” contro i pirati o di imposizione della sovranità territoriali con il pagamento di dazi ai passanti, lo strumento marittimo veniva organizzato accuratamente, con una componente navale (le navi) ed una terrestre (porti, bacini di carenaggio, supporto logistico) con il compito di proteggere gli interessi commerciali e, spesso, di contrastare i traffici degli altri.
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Possiamo dire che la necessità di sviluppare un sistema logistico complesso trovò nel mare “terreno” di sviluppo più fertile che sul territorio terrestre. Di fatto, ogni nave racchiude tutte le componenti organiche di una struttura terrestre ma concentrate in uno spazio ridotto ma necessità di stazioni di rifornimento manutenzione specializzate.
Le funzioni di sopravvivenza, mobilità, capacità offensiva e difensiva sono sintetizzate in relativamente pochi metri quadri. Tutto viene comandato e coordinato dal comandante che non e’ solo il conduttore delle forze ma l’amministratore di tutte le funzioni. Nell’antichità molte civiltà si affidarono al mare per il loro sviluppo e le tracce delle strutture portuali sono ancora ben visibili e spesso straordinariamente conservate; le basi delle strutture organizzative ed esecutive marittime moderne nacquero in era pre-ellenica e nel tempo si svilupparono raggiungendo, in epoca romana, un’efficienza ed organizzazione tale da gestire le flotte dislocate lungo le coste ed i fiumi ai limiti dell’Impero. Esse seppero mantenere, per quasi 600 anni, il controllo di molte rotte del Mediterraneo ovvero fino alla tragica caduta dell’impero di Occidente avvenuta nel quinto secolo dopo Cristo. In seguito, a parte nell’impero di Oriente, si assistette ad un aumento del disordine nelle rotte, nuovamente infestate dai pirati e dai popoli che si affacciavano incontrastati nel Mediterraneo.
In seguito per proteggersi dalle scorrerie dei Saraceni e dei Turchi, le nuove potenze marittime, come le Repubbliche Marinare, svilupparono un sistema di protezione dedicato, con flotte di scorta alle navi mercantili che non disdegnavano scontri fortuiti con i malcapitati. In quel periodo ci furono numerosi progressi tecnologici nella strumentazione necessaria per la navigazione, in particolare con la diffusione della bussola da parte degli amalfitani e lo sviluppo di nuove navi, che oggi potremmo definire multi ruolo, come la galea grossa veneziana che poteva venire usata sia per il trasporto di mercanzie che per azioni offensive.
Il concetto di convoglio nacque in quell’epoca e le carovane marittime utilizzarono la galea grossa sia ad uso prettamente commerciale sia per la protezione delle navi minori. Se da un lato la navigazione d’altura diventò più “scientifica” non si osservarono in quel periodo modifiche sostanziali nel concetto giuridico della libera navigazione. Questo diritto, un tempo sancito e protetto da una solida capacità esecutiva, tornò ad essere limitato alla protezione locale dei convogli da avversari. Gli avversari erano infatti più mossi dalla predazione delle copiose merci che da una volontà politica di conquistare il predominio del mare. Nei secoli seguenti, lo sviluppo di nuovi poteri regionali forti portò alla creazione di convenzioni e leggi basate su giustificazioni giuridiche spesso solo unilateralmente riconosciute. Questo problema divenne sempre più sensibile man mano che le emergenti potenze economiche europee, basate sui commerci marittimi con l’Oriente e le Americhe incominciarono a mettere in discussione i diritti degli altri. Vedremo come il concetto di libertà dei mari si modificò significativamente nel tempo passando da un mare di nessuno (in cui il più potente imponeva le sue regole) a quello di tutti.
Evoluzione del concetto di proprietà delle aree marine
Già nel mondo greco ed orientale e, in seguito, in quello romano si ritrovano tracce di concessioni statali dell’uso dei mare e dei lidi per ricavare vantaggi dai prodotti marini attraverso gabelle la cui riscossione veniva gestita da publicani romani o dalle comunità locali. D’altra parte, il mare ed i lidi sono assenti dagli elenchi citati da Polibio delle res publica; si ritrovano fiumi, lagune, terreni, opere portuali ma non spiagge, né specchi d’acqua marina considerati res in usu populi.
Questo è confermato dal fatto che nella vendita di un fondo litoraneo non venisse mai computata nel modus la spiaggia (litora) paragonata a cose cui “iure gentium omnibus vacant” come le strade, i luoghi sacri e religiosi.
L’imperatore Claudio, intorno al I secolo d.C., fece progettare un polo portuale di supporto al porto di Ostia, ormai insufficiente per le esigenze di Roma. L’opera iniziale richiese circa venti anni di duri lavori ma, a causa dell’insabbiamento dovuto sia al Tevere che al moto ondoso marino, fu in seguito necessario realizzare un nuovo bacino, scavato artificialmente più nell’entroterra. Il nuovo porto fu realizzato dall’imperatore Traiano tra il 100 ed il 112 d.C. Anche quest’opera aveva dimensioni ragguardevoli e l’esagono delle banchine, ancora visibile, misura ben 335 metri per lato. Ostia sviluppo’ nel contempo una complessa rete di magazzini, servizi portuali e maestranze specializzate che servivano i rifornimenti, le manutenzioni, e l’imbarco/sbarco delle merci destinate a Roma. Oggi lo chiameremo un hub marittimo.
Quindi se le attività erano da considerarsi di interesse non lo era il mezzo fisico in cui avvenivano. Il concetto che aree marine potessero essere considerate di proprietà di uno Stato si ritrovò in seguito, in età bizantina, sotto il regno di Leone VI il Saggio. In quel periodo le attività della pesca divengono necessità di identificazione di aree di sfruttamento privilegiato. Sarà l’uso di una specifica attività di pesca, la tonnara, con la camera della morte impiantata in mare aperto, che di fatto favorì la caduta della concezione del mare come “cosa di nessuno” verso una nuova visione dell’ambiente marino come area di sfruttamento economico.
Nel XIV secolo, il celebre giurista Bartolo da Sassoferrato, introdusse il concetto di districtus, ponendo le basi del mare territoriale, concepito come estensione della giurisdizione dalla terra alle acque prospicienti. Al Bartolo si deve l’introduzione di un gran numero di concetti giuridici che sono ormai divenuti parte della tradizione giuridica europea. Estremamente prolifico, questo grande giurista italiano, scrisse un famoso libro sul diritto dei fiumi (De fluminibus seu Tyberiadis). Rilevantissime furono le sue concezioni giuridiche riguardanti i rapporti fra Chiesa e Impero (di particolare attualità all’epoca) e, col suo trattato sulle rappresaglie, si impose come uno dei fondatori del diritto internazionale privato.
Il concetto del distretto marittimo portò nel XV secolo alla nuova concezione di un mare adiacente ai confini come territorio dello Stato.
Possiamo dire che, con le nuove scoperte geografiche, estendendo il raggio operativo delle linee commerciali, aumentarono anche le necessità di proteggere le aree marittime di interesse primario. Nacquero i primi contenziosi marittimi e, nel XVII secolo (1604) la corona spagnola intentò una causa sulla legittimità di intervenire oltre i territori adiacenti su naviglio di stati diversi.

Hugo Grozio
Il processo venne tenuto ad Amsterdam ed il celebre giurista Ugo Grozio fu convocato, in qualità di consulente legale, all’Ammiragliato olandese per difendere la legittimità della cattura di una nave portoghese avvenuta dalle parti di Singapore da parte della Compagnia Olandese delle Indie orientali (e, ovviamente, della depredazione del suo ricco carico). Interessante notare che, nel 1609, l’editore Elzevier di Leida aveva stampato, in forma anonima, un documento affermante il diritto olandese in altre acque, il Mare Liberum sive de jure quod Batavis competit ad indicana commercia dissertatio.
Nel 1625 il portoghese Seraphim de Freitas rispose con il De Justo Imperio Lusitanorum Asiatico. Nel 1660, nello scritto Mare Liberum, Grozio formulò un principio innovativo secondo il quale il mare fosse territorio internazionale e tutte le nazioni fossero libere di effettuare scambi attraverso le rotte marittime. De facto, Grozio, proclamando la “libertà dei mari”, diede una giustificazione ideologica alla rottura di alcuni monopoli commerciali causata non certo disinteressatamente dalla flotta olandese. Va precisato che il Mare Liberum non fu uno scritto a se stante ma parte del De jure predae commentarius, ovvero del documento con cui Grozio aveva difeso la Compagnia Olandese delle Indie Orientali per giustificare la cattura della nave da carico portoghese.
Per Grozio il mare, così come l’aria, non poteva essere oggetto di dominio, da qui la legittimità della guerra sul mare e l’esercizio del diritto di preda contro chiunque si fosse opposto alla libera navigazione chiudendo le vie di comunicazione e intralciando il commercio, inteso come “distributore di beni, promotore dell’amicizia fra i popoli, scudo contro le indigenze”.
Nel XVII secolo la lotta per il predominio delle rotte commerciali fra l’Europa e le terre d’oltreoceano vedeva da un lato gli Olandesi e dall’altro Portoghesi e Spagnoli che rivendicavano il controllo dei mari per “presunti” diritti di prima occupazione, scoperta e, addirittura, di donazioni pontificie. Nel Mare Liberum le argomentazioni di natura filosofica ovviamente nascondevano ragioni di carattere pratico come l’esigenza da parte della nascente monarchia olandese di contrastare le pretese di portoghesi e spagnoli sugli oceani. Il concetto di mare libero assunse pertanto i contorni di un affare di Stato da cui far dipendere le sorti del commercio internazionale. Va menzionato che l’Inghilterra, anch’essa in lotta con gli Olandesi per il predominio sul commercio marittimo, si oppose all’idea di libertà dei mari, proclamando la sua sovranità sulle acque attorno alle Isole Britanniche.

John Selden
Il giurista inglese John Selden nel libro Mare Clausum, seu de Dominio Maris libri duo, composto nel 1618 per controbattere il concetto del Mare Liberum del Grozio, sostenne l’esclusivo diritto degli Inglesi al commercio e alla pesca nei mari del nord. In pratica, la teoria di Selden si basava sul concetto che era possibile appropriarsi dei mari così come accadeva per le terre. Non c’è da meravigliarsi in quanto Selden visse in un epoca seguente l’epoca Elisabettiana in cui, con una politica navale molto discutibile, furono poste le basi della futura potenza commerciale e marittima dell’Inghilterra.
Per cercare di mediare gli interessi personali delle potenze marittime atlantiche e risolvere le molte controversie, venne trovata una soluzione da un altro olandese, Cornelius Von Bynkershoek, che, nel De dominio maris (1702), introdusse il concetto di estensione del dominio nazionale basata sulla capacità di esercitare da terra una limitazione al libero transito.

Cornelius Von Bynkershoek
In parole semplici, lo Stato aveva diritto sul mare a lui adiacente fino alla distanza di portata di un colpo di cannone posto sulla terraferma. Questo principio piacque molto e, nel 1782, un eclettico filosofo ed economista, Ferdinando Galiani, abruzzese di nascita ma napoletano di adozione, propose una distanza di tre miglia dalla costa ovvero uguale alla gittata massima dei cannoni dell’epoca.
Galiani scrisse: “Mi parrebbe peraltro ragionevole che senza attendere a vedere se in atto tenga il Sovrano del territorio costrutta taluna torre o batteria, e di qual calibro di cannoni la tenga montata, si determinasse fissamente, e da per tutto, la distanza di tre miglia dalla terra, come quella che sicuramente è la maggiore ove colla forza della polvere finora conosciuta si possa spingere una palla o una bomba ...”.
Questo criterio fu accolto favorevolmente da molti Stati e, in seguito, adottato anche dall’Inghilterra, nel 1878, con il “Territorial Waters Jurisdiction Act”, nonché da moltissime altre Legislazioni nazionali fino al XX secolo favorendo gli scambi commerciali fra le colonie e i paesi d’origine e stimolando la crescita del commercio marittimo internazionale.
Va compreso che lo spazio di mare oltre tale fascia era considerato di “acque internazionali” ossia di proprietà di nessuno Stato e quindi di libero accesso ad ognuno, senza regole comportamentali ben definite.
In un prossimo articolo vedremo come si è arrivati alla situazione attuale.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
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