.
livello medio
.
ARGOMENTO: DIRITTO INTERNAZIONALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: CONVENZIONE DEL MARE
parole chiave: UNCLOS
,
Negli ultimi anni anche l’opinione pubblica è stata resa partecipe di questioni marittime di natura giuridica legate a cittadini coinvolti in acque extra territoriali o per conflitti di interesse tra gli Stati costieri. Questioni come la migrazione clandestina, la pirateria ed i commerci illeciti in mare sono frequentemente trattate dai mass media, talvolta in maniera incompleta o faziosa. Sebbene il problema sia attuale, nasce da lontano anzi potremmo dire con lo sviluppo delle attività in mare. Gli Stati, al fine di poter affermare la propria giurisdizione marittima, hanno dovuto affermare i propri diritti con politiche basate sulla loro capacità di poter direttamente o indirettamente intervenire nelle acque di proprio interesse con strumenti militari, Si parla genericamente di affermazione del loro potere marittimo. La domanda che bisogna porsi è quali siano i limiti geografici del loro intervento. Questo articolo proverà a fare chiarezza in una materia complessa in cui diritto internazionale e consuetudinario spesso si fondono.
Il potere marittimo esiste se si hanno gli strumenti per poterlo affermare
Le unità militari e governative sono sempre più coinvolte in compiti di «polizia marittima» (constabulary) per la salvaguardia della libertà di navigazione (si pensi al contrasto della pirateria e dei traffici illeciti), per il ripristino dell’ordine internazionale in conformità a risoluzioni dell’ONU (concernenti la libertà dei traffici marittimi come nel caso di Hormuz negli anni ’90), e per la tutela dei diritti umani ed il soccorso nelle aree marittime. Sono argomenti spinosi che coinvolgono i diritti degli Stati, il diritto internazionale ed il diritto umanitario.
una squadra ispettiva del HMS Fort Victoria (sullo sfondo) della Royal Navy Royal Fleet Auxiliary (RFA) britannica controlla una lancia di pirati, dopo aver ricevuto informazioni che un peschereccio spagnolo operante a nord della loro posizione era stato attaccato da un gruppo di navi pirata, nell’Oceano Indiano, 28 novembre 2011. Il 23 marzo 2012 l’Unione Europea (UE) ha accettato di espandere la sua missione militare contro i pirati somali, consentendo alle forze dell’UE di attaccare le basi terrestri e i pirati in mare. EPA/LA (foto) DAVE JENKINS / BRITISH CREDITO: CROWN, solo uso editoriale
Il documento di riferimento per regimentare la materia è senza dubbio la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, (United Nations Convention Law of the Sea, UNCLOS III), un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell’utilizzo dei mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l’ambiente e la gestione delle risorse naturali.
La definizione dell’UNCLOS III ebbe luogo a seguito di un lungo processo di negoziazione fra gli Stati cominciato nel 1973. Ci vollero ben nove anni, ed una serie di conferenze dell’ONU per arrivare alla firma della suddetta convenzione che avvenne a Montego Bay, Giamaica, il 10 dicembre 1982 per poi entrare in vigore il 16 novembre 1994. Al momento ben 166 Stati hanno firmato la Convenzione tra cui la Comunità europea che lo ha anche ratificato e gli Stati Uniti (firmato ma non ratificato dal Senato). L’Italia l’ha ratificata con la legge del 2 dicembre 1994, n. 689. Ma questo lungo cammino partì da molto lontano, nel XVII secolo, con lo sviluppo del concetto della libertà dei mari.
Breve storia
Nel XX secolo le Nazioni si resero conto che, a seguito dello sviluppo economico dell’ultimo dopoguerra, il concetto della libertà dei mari appariva obsoleto.

Portrait of Van Bynkershoek by Philip van Dijk, 1733 (Collection Cultural Heritage Agency of the Netherlands) Ritratto di Cornelis van Bijnkershoek.jpg – Wikimedia Commons
Questo principio, risalente al XVII secolo, affermava che i diritti nazionali erano limitati a fasce di mare che si estendevano dalle linee di costa per circa tre miglia nautiche applicando il principio dello “sparo del cannone” sviluppato dal giurista olandese Cornelis van Bynkershoek. Lo spazio di mare oltre tale fascia era considerato di “acque internazionali“, ossia “di nessun Stato”, da cui il concetto di libero accesso. Il principio necessitava decisamente di una revisione ampiamente condivisa anche per salvaguardare la giurisdizione nazionale per sfruttare in maniera esclusiva le risorse marine, principalmente quelle minerarie e di pesca, oltre i limiti delle tre miglia. Alla fine degli anni ‘40 alcuni Paesi cominciarono a dichiarare unilateralmente l’estensione delle loro acque internazionali a dodici o, in qualche caso, anche 200 miglia nautiche.
Nel 1956, l’ONU effettuò la prima conferenza (UNCLOS I) a Ginevra, Svizzera grazie alla quale nel 1958 furono firmati i seguenti quattro trattati:
La Convenzione dell’alto mare (in vigore dal 30 settembre 1962).
La Convenzione sulla Piattaforma continentale (dal 10 giugno 1964).
La Convenzione sul mare territoriale e sulla zona contigua (in vigore dal 10 Settembre 1964).
La Convenzione della pesca e la conservazione delle risorse viventi in alto mare (20 marzo 1966).

schema adattato Zone marittime UNCLOS – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Zonmar-en.svgZonmar-it.svg – Wikimedia Commons
Nonostante fosse un importante passo avanti, UNCLOS I lasciò aperto il controverso problema dell’ampiezza delle acque territoriali che scontentò i piccoli Stati le cui economie si basavano sulle attività marine costiere. Una seconda Conferenza (UNCLOS II) fu quindi convocata nel 1960 (sempre a Ginevra) ma risultò un fallimento in quanto i diritti dei piccoli Stati non furono considerati dal sistema bipolare esistente nel periodo della Guerra fredda. Raccogliendo le richieste di Arvid Pardo (Malta), si dovette quindi arrivare ad una terza conferenza (UNCLOS III), che si tenne nel 1973 a New York. I lavori furono complessi e, dopo nove anni, si arrivò finalmente alla firma della convenzione che avvenne a Montego Bay, Giamaica, il 10 dicembre 1982 per poi entrare in vigore il 16 novembre 1994.
Mare di nessuno o mare di tutti?
Un grosso passo avanti ottenuto da UNCLOS III fu la ridefinizione delle acque internazionali passando da mare “di nessuno” al mare “di tutti”. La differenza, come vedremo, è sostanziale.
UNCLOS suddivide gli spazi marini in :
Acque interne ossia quelle all’interno delle linee di base, segmenti spezzati che uniscono punti notevoli della costa. La linee di base possono tagliare e comprendere, in certi casi, anche ampi tratti di mare. All’interno di esse vigono in maniera vincolante le leggi dello Stato costiero che regola l’uso delle risorse e il passaggio delle navi.
Acque territoriali ovvero lo spazio di mare compreso dalla linea di base alle 12 miglia nautiche. In quest’area vigono comunque le leggi dello Stato costiero ma viene consentito il diritto di transito ad ogni imbarcazione (passaggio inoffensivo) in modo continuo e veloce in modo da non pregiudicare la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero (questo fattore influenza in particolare le navi ed i sommergibili/sottomarini militari, le unità da pesca, e quelle con atteggiamenti sospetti e illegali).
Arcipelaghi sono aree identificate tracciando una linea di base che unisce i punti più esterni delle isole più esterne, qualora questi punti siano ragionevolmente vicini fra loro (ad esempio quello della Maddalena).
Zona contigua è la zona contigua oltre il mare territoriale ma non oltre le 24 miglia nautiche dalla linea di base. In quest’area lo Stato costiero mantiene il diritto di punire le violazioni commesse all’interno del proprio territorio o mare territoriale sia prevenire le violazioni alle proprie leggi o regolamenti in materia doganale, fiscale, sanitario e di immigrazione. Ciò comporta che nella zona contigua possono avvenire interessanti eventi con risvolti politici .
Zona economica esclusiva (ZEE) è l’area di mare che si estende per 200 miglia nautiche dalla linea di base in cui lo Stato costiero può esercitare il diritto di sfruttamento esclusivo delle risorse naturali. Tale principio nato per dare una limitazione allo sfruttamento indiscriminato della pesca è causa di casus belli ed instabilità sociali in speciale modo dove la nazione presenta una difficoltà a proteggerle dalla cupidigia degli altri.
Piattaforma continentale, ove esiste, è considerata come il naturale prolungamento del territorio dello Stato che può quindi sfruttarne liberamente le risorse minerarie o comunque non-viventi in maniera esclusiva. La piattaforma continentale può superare le 200 miglia nautiche ma non eccedere le 350, o può essere calcolata misurando 100 miglia nautiche dall’isobata dei 2.500 metri. In Stati come il Brasile questa definizione appare critica.
UNCLOS III affrontò le problematiche legate alla navigazione, alle attività estrattive minerarie nel fondo marino ed i regimi di sfruttamento, la protezione dell’ambiente marino e la ricerca scientifica. Uso il condizionale in quanto, è il caso di dirlo, tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare, anzi le sue risorse. Lo sviluppo tecnico consente di potere sfruttare risorse un tempo negate a tutti e questo fa gola alle nazioni più sviluppate a scapito di quelle più povere.
UNCLOS III dovrebbe regolamentare questi aspetti ma … la non ratificazione da parte delle grandi potenze, in primis gli Stati Uniti, rende ancor oggi tutto più complicato. Di contenziosi internazionali ne esistono ancora tantissimi, riguardanti lo sfruttamento delle piattaforme continentali. Non si tratta solo di un problema economico ma di un ridisegno delle aree di influenza. Talvolta, entrano in gioco pretese geografiche di più Stati, come ad esempio nel mare cinese meridionale, contenzioso che ha caratterizzato le cronache degli ultimi anni. Ma di questo parleremo prossimamente.
Andrea Mucedola
Alcune delle foto presenti in questo blog sono prese dal web, pur rispettando la netiquette, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o chiedere di rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
Interessante notare che il termine “acque internazionali”, spesso usato dai media e anche in ambito operativo, NON è definito da UNCLOS. Ci sono due correnti di pensiero su ciò: una che lo associa a tutto ciò che non è “acque territoriali” o “acque interne” (quindi in contrapposizione a queste due tipologie, che sono considerate alla stregua del territorio dello Stato costiero, quindi “nazionali”) includendo perciò Zona Contigua, Zona Economica Esclusiva ed Alto Mare (come da figura); un’altra che lo associa al solo insieme “Zona Contigua e Zona Economica Esclusiva”, differenziandole dall’Alto Mare che, comunque, non è sicuramente “nazionale/territoriale”
vero … UNCLOS avrebbe dovuto/dovrebbe regimentare queste aree ma, come sai esistono ancora molte resistenze legate ad interessi economici
In effetti una definizione di “acque internazionali” non è necessaria: le prerogative degli Stati Costieri e di quelle di altri Stati che transitano oppure operano nelle varie aree sono ben definite. Il problema, semmai potrebbe verificarsi quando legislazioni nazionali impiegano termini come “acque internazionali” o “spazi internazionali” senza definirle chiaramente. Per similitudine si possono associare le acque internazionali allo spazio aereo internazionale (entrambi iniziano all’esterno delle acque territoriali): non avrebbe, infatti, senso che il medesimo evento avvenuto alla stessa distanza dalla costa venisse giudicato diversamente a seconda che fosse compiuto a bordo di un aeromobile o di un natante.