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NO PLASTIC AT SEA

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Petizione OCEAN4FUTURE

Titolo : Impariamo a ridurre le plastiche in mare

Salve a tutti. Noi crediamo che l'educazione ambientale in tutte le scuole di ogni ordine e grado sia un processo irrinunciabile e che l'esempio valga più di mille parole. Siamo arrivati a oltre 4000 firme ma continuiamo a raccoglierle con la speranza che la classe politica al di là delle promesse comprenda realmente l'emergenza che viviamo, ed agisca,speriamo, con maggiore coscienza
seguite il LINK per firmare la petizione

  Address: OCEAN4FUTURE

Ellis Ashmead-Bartlett, in guerra armato di penna e cinepresa: l’inviato che sfidò la censura per raccontare la verità su Gallipoli

Reading Time: 8 minutes

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: DARDANELLI
parole chiave: Reportage

 

Il nostro ultimo grande sforzo per raggiungere qualche risultato contro i Turchi è stato il più spaventoso e costoso fiasco della nostra storia dopo la battaglia di Bannockburn”.

Queste parole, scritte l’8 settembre 1915 dall’inviato di guerra britannico sul fronte dei Dardanelli Ellis Ashmead-Bartlett, non sono indirizzate al suo giornale di Londra alle spalle della ferrea censura di guerra che non consentiva critiche contro le azioni militari. Destinatario della lunga lettera era il Primo Ministro dell’Impero Britannico in persona, Lord Herbert Henry Asquith. Poco più avanti, e nel corso dell’intera lettera, Ashmead-Bartlett incalza, con pesanti e impietose accuse ai quartier generali sul campo per il fallimento degli attacchi contro gli Ottomani sferrati nell’estate del 1915. “I Comandi sembrano aver minuziosamente cercato i punti più impervi, per poi gettare via migliaia di vite nel tentativo di conquistarli con attacchi frontali.” … “I generali non avevano che una vaga idea della natura del terreno di fronte a loro, e non sono state prese le necessarie misure per rifornire adeguatamente le truppe di acqua.

A portare la lettera a Londra, di nascosto dal controllo della censura e del Generale Ian Hamilton, il Comandante in capo della spedizione ai Dardanelli oggetto delle severe e manifeste critiche del giornalista inglese, fu un altro personaggio il cui nome segnerà la storia dell’informazione australiana: il giornalista Keith Murdoch, padre di quel Rupert che porterà a livello mondiale l’impero editoriale creato dal padre e, dalla fine degli anni ’80, entrerà nel mondo delle televisioni satellitari dando vita a un colosso mediatico senza confini.

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Il giornalista inglese Ellis Ashmead-Bartlett da giovane ufficiale del Reggimento Bedfordshire, c. 1900 – Source: Gallipoli, Les Carlyon, 2001 Ellis Ashmead-Bartlett.jpg – Wikimedia Commons

Ma prima di raccontare l’incontro tra i due giornalisti e il viaggio rocambolesco di questa lettera, facciamo un passo indietro per capire il ruolo dell’inviato di guerra ai tempi della campagna dei Dardanelli. Da poco tempo, infatti, questa figura iniziava ad assumere la forma di un “testimone oculare ufficiale” dal fronte, ma sotto il concetto di “ufficiale” si nascondeva in realtà un rigoroso controllo da parte della censura. Era comunque già un passo avanti rispetto alla consuetudine secondo cui tutto quello che si poteva pubblicare sulla stampa con riferimento alle azioni di guerra erano gli scarni dispacci diramati dalle forze militari: freddi ed emotivamente poco coinvolgenti per quei lettori affamati di notizie sui loro ragazzi che combattevano per la Patria. I comandanti non amavano avere a che fare con i giornalisti sul campo, gente che richiedeva attenzione e protezione mentre osservava e magari criticava il loro operato.

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Imbros, 1915. Charles Bean e Ashmead Bartlett – Australian War Memorial – public domain – Charles Bean and Ellis Ashmead-Bartlett.jpg – Wikimedia Commons

Un cambiamento era avvenuto durante la guerra Russo-Giapponese agli inizi del ‘900. In un primo tempo agli osservatori stranieri inviati in Giappone erano precluse le prime linee, di fatto erano autorizzati esclusivamente a trasmettere ai propri giornali i bollettini militari. Tuttavia, le autorità giapponesi si resero ben presto conto che questo modo di far conoscere la loro guerra al resto del mondo non risvegliava alcun interesse né quell’auspicabile consenso internazionale; non solo, a poco a poco molti corrispondenti stranieri stavano lasciando il Paese, non potendo i loro editori continuare a sostenere delle spese tanto pesanti quanto inutili. Era necessaria una strategia diversa. Improvvisamente i giornalisti furono riconosciuti come un utile strumento per il successo della causa giapponese e incominciarono ad essere trattati da ospiti di riguardo, ammessi come tali a brevi visite ufficiali al fronte; naturalmente gli articoli erano poi sottoposti al controllo della censura, ma il loro tenore era decisamente più partecipato di un bollettino di guerra. In breve l’attenzione internazionale si volse al Giappone con un’altra considerazione.

Allo scoppio della Grande Guerra, il Regno Unito rifiutava questo riconoscimento della funzione dei giornalisti, con grande scontento del pubblico che temeva si tacessero verità scomode; non solo, il silenzio non infiammava gli animi di chi in Patria sarebbe dovuto correre ad arruolarsi o a rinvigorire l’industria bellica. Lord Kitchener, Ministro della Guerra, era profondamente ostile all’idea di inviare osservatori al fronte, ma alla vigilia della spedizione ai Dardanelli dovette arrendersi alle pressioni dell’associazione dei proprietari di giornali, la NPA, e di quanti, più ragionevolmente, ritenevano che una stampa ben controllata dalla censura ma più libera nel raccontare la vita al fronte potesse alimentare lo spirito nazionalistico, soddisfacendo quel legittimo desiderio dei lettori di conoscere le gesta di soldati e marinai nelle battaglie citate dai bollettini di guerra, spesso in luoghi mai nemmeno sentiti nominare.

D’altra parte la Campagna dei Dardanelli era figlia della politica di Winston Churchill che, per sua stessa esperienza, era favorevole ai corrispondenti di guerra. Così, il 25 marzo 1915 Ellis Ashmead-Bartlett, in rappresentanza della NPA, e Lester Lawrence, per la Reuter, lasciarono Londra alla volta della penisola turca. Dopo il fallimentare tentativo di sfondare lo stretto dei Dardanelli, avvenuto poco più di un mese prima, l’esercito si stava preparando ad uno sbarco sulla penisola. Diversi altri corrispondenti furono autorizzati a seguire la spedizione, ma Ashmead-Bartlett fu quello che più di ogni altro lasciò un segno, quello che si ribellò alla censura. Ritenendosi un “critico indipendente” più che un “testimone oculare”, non mitigò mai nei suoi articoli le proprie opinioni, dapprima per evidenziare la necessità di rinforzi se si voleva raggiungere la vittoria, poi – convinto che a quella vittoria non si sarebbe arrivati mai – per sostenere un rapido ritiro delle truppe prima che il massacro si facesse ancora più drammatico.
Ashmead-Bartlett era uno scrittore brillante, dotato di coraggio e della capacità di muoversi su un campo di battaglia, si era fatto le ossa nella guerra russo-giapponese e in quelle dei Balcani del 1912-13, guadagnandosi una buona fama come corrispondente. Ma sapeva anche godersi la vita: nella sua cabina non mancavano mai bottiglie di champagne e quando i comandi militari furono spostati dalle navi a Kephalos sull’isola di Imbros, la sua tenda campeggiava nel punto migliore per garantirsi un pò d’ombra, una bella vista e un minimo di intimità, oltre ad essere attrezzata con ogni possibile confort per lui e per i suoi ospiti.

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collage di scene dai Dardanelli – autore Fulvio314collage di scene dai Dardanelli – autore Fulvio314 File:Dardanelles WWI collage.jpg – Wikimedia Commons

Dopo lo sbarco del 25 aprile 1915, ottenne il permesso di muoversi con una certa libertà tra i vari fronti e spesso si trovava in punti di osservazione più vicini all’azione di molti comandanti, i quali si limitavano a seguire i combattimenti da bordo di una nave al largo. Fu lui ad alimentare la leggenda degli Anzac, i corpi militari australiani e neozelandesi; giovani dai fisici atletici e forti, meno disciplinati delle truppe inglesi ma intraprendenti e coraggiosi. Alla vista di questi ragazzi, che lontani dalla loro terra affrontavano con passione la vita nelle trincee e spesso la morte, Ashmett-Bartlett pensò di dotarsi di una cinepresa. Le immagini filmate avrebbero avuto più forza di mille parole nel raccontare quei giovani al fronte. C’era una scena, alla quale lui stesso assisteva quasi ogni giorno, che gli sembrava particolarmente iconica: era il momento in cui i soldati, per levarsi di dosso la polvere e l’odore di morte, scendevano al mare e sotto una pioggia di proiettili riuscivano a trovare piacere e ristoro nelle acque dell’Egeo.

Amante della bella vita, Ashmead-Bartlett aveva una certa capacità di fare e soprattutto di perdere soldi: il lavoro di corrispondente aveva ridato un pò di ossigeno alle sue finanze e ora la possibilità di raccogliere immagini filmate della guerra poteva costituire un’ulteriore fonte di guadagno.

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Brevettata nel 1910 dall’ingegnere polacco K Proszynski, l’Aeroscope è stata la prima cinepresa portatile di grande successo. Alimentato ad aria compressa, è stato utilizzato dai cameramen dei cinegiornali e dalla maggior parte delle principali compagnie cinematografiche dal 1912 fino all’avvento del sonoro. Uno scompartimento separato poteva trasportare fino a 400 piedi (122 metri) di pellicola da 35 mm. – copia del disegno di brevetto americano dell’Aeroscope, 1913 – Autore Kazimierz Prószyński (1875-1945)  – Wikimedia Commons Aeroskop Prószyński schemat budowy.jpg – Wikimedia Commons

In un breve viaggio a Londra, nel giugno 1915, l’impresario Alfred Butt gli procurò un’Aeroscope, una cinepresa 35mm brevettata nel 1910 dall’ingegnere polacco K. Proszynski. Piuttosto compatta, aveva un meccanismo di trascinamento della pellicola ad aria compressa e veniva caricata con una pompa come quelle da bicicletta, in questo modo non era necessario l’uso della manovella per filmare: un sistema che precorreva la carica a molla. Inoltre un volano le conferiva una certa stabilità anche quando tenuta a mano. Ashmead-Burtlett si fece spiegare come usarla e ripartì con 3.000 metri di pellicola. Oltre alla macchina e alla pellicola, Butt gli garantì il 45% dei guadagni che ne avrebbe tratto. Di ritorno ai Dardanelli, il giornalista inglese poté contare sulla collaborazione del rinomato fotografo di guerra inglese Ernest Brooks.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lieut._Ernest_Brooks_fotografo-ufficiale-britannico-qui-sul-Fronte-Occidentale-aiuto-Ashmead-Bartlett-nelluso-della-macchina-da-presa-ai-Dardanelli.jpg

Lieut. Ernest Brooks fotografo ufficiale britannico qui sul Fronte Occidentale, aiuto di Ashmead Bartlett nell’uso della macchina da ripresa ai Dardanelli – public domain – Fonte Imperial War Museums https://www.iwm.org.uk/collections/item/object/205125177– public domain –  Lieut. Ernest Brooks, official photographer on the Western Front.jpg – Wikimedia Commons

I filmati che realizzò sono certamente tra i primi che raccontano la vita nelle trincee nella Prima Guerra Mondiale e, malgrado si percepisca talvolta una sorta di regia dietro le riprese, hanno la capacità di immergere lo spettatore in quella realtà. Lui stesso le utilizzò nelle numerose conferenze che tenne in Inghilterra e in Australia dopo la guerra e il loro impatto fu straordinario. Un accostamento che appariva nel suo montaggio tra i soldati che combattono e la tavolata degli ufficiali che bevono il thè venne ripreso nel film Gallipoli di Peter Weir del 1981 prodotto da Rupert Murdoch, così come la scena dei soldati australiani che fanno il bagno in mare sotto i colpi del nemico.

Con il passare dei mesi, l’avanzata delle truppe alleate appariva sempre più critica. Vicino per mestiere ai soldati, Ashmead-Bartlett ascoltava dalla loro voce il malcontento, le critiche a questo insensato massacro, il distacco da un’impresa sempre più lontana dal successo. A Londra a giugno aveva incontrato Asquith e Churchill ed espresso a entrambi le sue opinioni, riportate anche in un memorandum presentato al Governo. La sua libertà di movimento al fronte era ormai fortemente compromessa e il controllo della censura sempre più rigido, i suoi articoli venivano drasticamente tagliati. E qui entra in scena Keith Murdoch, che ai primi di settembre è a Gallipoli per scrivere sulle truppe australiane al fronte.

Non gli occorse molto per convincersi della drammaticità della situazione e accettare di portare segretamente a Londra la lettera di Ashmead-Bartlett per il Primo Ministro Asquith. A Marsiglia, tuttavia, la missiva gli fu sequestrata, probabilmente per una soffiata. Murdoch scrisse allora al Primo Ministro Australiano, Andrew Fisher, manifestando le stesse preoccupazioni. Rientrato a Londra in ottobre, Ashmead-Bartlett fu intervistato dall’editore Lord Northcliffe per The Sunday Times, aggirando così la possibilità che la censura bloccasse un suo articolo. Nei giorni seguenti, l’intervista uscì anche su The Times e sul Daily Mail. Anche la sua lettera, intanto, era stata recapitata ad Asquith.
Il 16 ottobre 1915 Ian Hamilton fu richiamato a Londra e sollevato dal suo incarico di comando ai Dardanelli. In realtà, da tempo il governo britannico si era reso conto dell’insuccesso della Campagna militare, ma è indiscutibile che gli scritti dell’inviato inglese avevano portato alla luce una verità che a lungo si era preteso di non vedere.

Marina Cappabianca

 

in anteprima sbarco il 25 aprile 1915 del contingente ANZAC, l’inizio di una tragedia.  Gli uomini del 4 ° battaglione australiano (1a brigata) e la 26a batteria di montagna indiana di Jacob sbarcano sulla terraferma sotto il fuoco nemico. Gli uomini in primo piano appartengono al personale della 1a brigata. Sul bordo dell’acqua si intravede il corpo del soldato R. Reynolds, uno dei primi uomini ad essere ucciso a Gallipoli –  Pubblico dominio – autore della foto L-Cpl. Arthur Robert Henry Joyner (1st Division Signal Company, killed 5 December 1916 at Bazentin, Somme – Anzac Beach 4th Bn landing 8am April 25 1915.jpg – Wikimedia Commons

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