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livello elementare.
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: LIBIA
parole chiave: Mar Mediterraneo
La divisione tra il Governo di Unità Nazionale (Gnu) di Abdul Hamid Dbeibah e il Governo di Stabilità Nazionale (Gns) di Fathi Bashagha, che ha garantito elezioni in un impossibile breve tempo, sta influenzando sia le dinamiche interne sia le alleanze con gli interpreti regionali [5] tanto da rendere quanto mai ipotizzabile e prossima una traumatica spartizione territoriale [6].
Uno dei quesiti più pressanti consiste nel comprendere quale rilevanza continui ad avere Bashagha per Haftar, a fronte della capacità di manovra sotterranea di Dbeibah.
Uno dei campanelli d’allarme è legato alla nomina alla presidenza della NOC del filo emiratino Farhat Bengdara, ex governatore della Banca centrale libica della Jamahiriya (2006-2011), al posto di Mustafa Sanallah, su indicazione di Dbeibah. La sostituzione, utile a contenere il malcontento popolare, ha anche rinforzato i legami tra Dbeibah e Haftar, permettendo sia la fine del blocco petrolifero e la ripresa dell’export, sia un controllo più capillare sulle entrate petrolifere soddisfacendo così le richieste di Turchia ed EAU di ricevere benefici dal settore estrattivo. Non è un caso che il petrolio abbia ripreso a scorrere dopo che Farhat Bengdara, nuovo presidente della NOC, ha annunciato la revoca delle restrizioni in tutti i giacimenti petroliferi e nei terminal di esportazione, bloccati per volontà di Haftar, deciso a sostituire Dbeibah con Bashagha.
La fine del blocco, con la ripresa delle esportazioni di petrolio, è imprevedibilmente arrivata dopo il coup de théâtre per cui, non potendo combattere un nemico ci si è alleati. Scoppiata l’amicizia tra Dbeibah e Haftar, così come tra Aguila Saleh[7], presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, ed il Presidente Erdogan ed il Presidente del Parlamento turco Mustafa Sentop, è stato inevitabile procedere ad un rimpasto alla NOC, pagato dal vecchio titolare Sanallah, accompagnato dalla promessa di ministeri chiave ad Haftar e agli EAU nel GNU tripolino.
È evidente come a queste condizioni l’autonomia della NOC venga a mancare, anche alla luce del fatto che la compagnia rimane vincolata alle decisioni politiche di un esecutivo privo di approvazione parlamentare: non c’è dubbio che la sua credibilità dipenderà da una difficile stabilità legata all’incremento della produttività [8] e dalla dubbia neutralità che politicamente sarà capace di dimostrare. Va comunque detto che il riavvicinamento turco ai libici orientali non significa che Ankara abbia fatto venir meno il suo sostegno a Dbeibah secondo un paradigma già adottato in chiave transalpina, per cui l’aiuto offerto a tutti assicura, Legge di Murphy docet, o per lo meno dovrebbe permetterlo, una vittoria certa.
Il multilateralismo di facciata di Parigi non è riuscito a mascherare i tentativi unilaterali di consolidamento delle proprie posizioni in Libia: nel 2011, la Francia ha sostenuto i ribelli influenzando la nuova istituzione politica, mentre nel 2014 ha dato man forte a Khalifa Haftar. Malgrado i fallimenti conseguiti, che avrebbero dovuto consigliare una maggiore, umile ed assennata ponderazione, ora Parigi sta cercando di parcellizzare la Libia per poter controllare almeno il Fezzan. Insomma, volendo divagare, si può dire che in ambedue i campi regni una sorta di schizofrenia del potere che, secondo i principi della geometria variabile, cerca di accontentare ambedue i contendenti. Tra i personaggi che animano la scena politica, il secondogenito di Muammar Gheddafi, Saif Al Islam, merita una menzione speciale, soprattutto per ciò che il suo nome ancora incarna. Nel 2011 presagisce la fine, teme la parcellizzazione di uno Stato involutivamente pronto a tornare alla dimensione tribale. Provvidenzialmente amnistiato, decide di concorrere per la Presidenza dello Stato incontrando peraltro una non disprezzabile accoglienza popolare. Non è Saif l’uomo che spezza il potere in due, anzi, è visto come un suo mediatore [9]; se il giovane Gheddafi vuole prendere quota come soggetto politico a pieno titolo, deve puntare alla provincia di Sabha, la capitale del Fezzan, che ospita sia il più grande giacimento petrolifero libico, sia un melting pot di milizie che non riconoscono né Tripoli né Tobruk. Il gioco politico delle parti vede l’Italia in disparte e votata all’opzione diplomatica, laddove tutti gli altri attori hanno preferito optare per quella militare sul campo.
La Libia è diventata il punto di scontro delle varie controversie regionali alimentate dall’anarchia generata dal ripiegamento politico americano. Gli EAU fronteggiano la Turchia, divenuta forse troppo presente nelle dinamiche del Golfo, mentre la Russia tenta di indebolire la posizione di Ankara nel nord della Siria[10] in concorso con le dinamiche geopolitiche che hanno visto protagonisti Grecia, Israele, Francia, Egitto e Iran.
Teheran ha offerto ad Haftar sostegno militare antiturco. In Libia si è combattuto a lungo per contenere l’influenza regionale di Ankara tra Crimea e Nagorno Karabakh, tra Mosul e la Palestina, nel Sahel in chiave antifrancese o nel Mar Rosso in versione antisraeliana. Vista l’impasse bellica russa, Ankara alza posta e pretese, chiedendo il riconoscimento della propria posizione quale snodo energetico fondamentale tra Africa ed Europa[11], segnatamente verso Italia e Grecia, rivendicando le risorse giacenti in acque cretesi sfortunatamente per la Grecia, ricomprese prima nella profondità strategica di Davutoğlu e poi nelle linee azzurre della Mavi Vatan [12].
Le zone ZEE del mediterraneo orientale da Fonte Startmag.it
A questo proposito l’Egitto, per normalizzare i rapporti con la Turchia, ha richiesto il ritiro militare di Ankara dalla Libia, oltre a rivedere gli accordi di esplorazione del gas nel Mediterraneo orientale [13]. Del resto, il Cairo e Ankara sono in attrito da quando al-Sisi [14] è salito al potere nel 2013 deponendo il Fratello Musulmano Mohammed Morsi.
Per memoria, mentre Egitto, EAU e Russia hanno sostenuto Haftar, Turchia, Italia e Qatar hanno sostenuto il GNA di Tripoli.
Fondamentale dunque tentare di creare punti di faglia nell’asse russo-turco, tentando di indebolire la presenza di Mosca in Cirenaica permettendo una politica proattiva sia da parte egiziana che da parte francese. Non c’è dubbio che la Turchia abbia saputo comunque reagire confrontandosi con americani, russi, iraniani: ciò che è stata la Siria per la Turchia non è stata la Libia per l’Italia, in cui la querelle della Quarta Sponda non ha praticamente mai trovato grosso spazio, sostituita dall’idea spesso indefinita di un Mediterraneo Allargato, sicuramente più affascinante ma drammaticamente lontano dalle ricche sponde libiche.
Basti guardare alla perdita di peso politico italiano in Nord Africa negli ultimi 20 anni, misurabile nei rapporti, oltre che con Tripoli, anche con Egitto e Tunisia. Da inquadrare in questo contesto le ipotesi di investimenti di marca ENI, che fa leva sulle sue indubbie capacità esplorative e sulle potenzialità legate agli impianti già esistenti che garantiscono l’accesso al mercato domestico e d’esportazione europea. L’Italia rimane commercialmente il primo partner della Libia, con un peso economico di gran lunga superiore a quello turco grazie alle capacità del cane a sei zampe, ancora una volta preziosa chiave di volta delle relazioni tra governi [15].
Ma l’ondivaga e bicefala politica libica sarà in grado di assicurare i volumi di prodotti energetici pattuiti?
È fuori di dubbio che i maggiori successi italiani a partire dal 2011 siano stati conseguiti dal potere diplomatico e contrattuale dell’ENI, dato che quello dello Stato è stato rivolto su altri fronti che, tuttavia, non sembrano sempre considerare con attenzione la presenza ravvicinata di uno stato produttore di greggio ma potenzialmente già fallito. L’entente tra Dbeibah e Haftar, che in qualche modo è finalmente riuscito ad entrare a Tripoli, non sembra poter assicurare grosse certezze ma solo instabilità fomentata dalle milizie dell’occidente libico. Già nel luglio scorso il Lybia Herald ha riportato la notizia per cui il governo tripolino stava valutando di ridurre le esportazioni del 25% a favore del mercato interno, ipotesi poi smentita[16]. Quel che non si può dimenticare è anche lo spostamento degli equilibri NATO indotti dalla crisi ucraina, che porterà ad un ribilanciamento delle forze nell’est Europa, lasciando frontiere meridionali e punti energetici meno protetti in carenza di dirigenze politiche nazionali alla stregua di quelle di de Gasperi, Moro, Andreotti capaci di intavolare negoziati con i regimi nordafricani. L’attuale crisi economica riflette la pochezza delle realtà politiche ed il perpetuarsi delle lotte di potere; dal 2014 non c’è stato un bilancio unificato ed approvato in via parlamentare malgrado i flussi di denaro abbiano continuato a scorrere dalla banca centrale verso i ministeri secondo la logica della reiterata provvisorietà. Ma quale dei due governi finanziare? Il dinaro libico è in costante calo mentre si profila una crisi alimentare resa più acuta dalla guerra russo-ucraina. I conflitti susseguitisi sul campo non solo hanno devastato il Paese, ma hanno avuto un costo finanziario esorbitante di oltre 600 miliardi di dollari, dove i blocchi petroliferi, sottratti spesso al controllo di Haftar dai mercenari Wagner[17], hanno soffocato un’economia impossibilitata al risparmio con un’infrastruttura sociale al collasso.
Del resto, gli scontri tra milizie rivali avvenuti l’estate passata non hanno fatto altro che confermare un generale quadro di incontrollabile instabilità dove non si intravvede soluzione politica globale e coerente. Conclusioni, forse.. La politica richiede la presenza di partiti che, al momento, non esistono lasciando il campo ai gruppi armati. Una Libia stabile avrebbe i mezzi per produrre ricchezza, ma trascinerebbe un’economia in parte sottosviluppata e con un’educazione alla dialettica politica soffocata da 40 anni di regime. L’intervento armato internazionale del 2011 ha aperto di fatto un portale di crisi in cui nessuno, forte dell’esperienza afghana ed iraqena, ha inteso inoltrarsi, lasciando così la Libia in balia di sé stessa e del suo DNA decentralizzato e tribale, refrattario alle soluzioni aggreganti.
Le elezioni, quando potranno svolgersi, porteranno alla formazione di una costellazione incontrollabile di partiti; rimane quindi l’interrogativo di base: è possibile una soluzione politica in un Paese dove la politica non esiste ed il popolo è unito solo dal malcontento?
Di fatto al momento la Libia, dipendendo da forze esterne per la gestione interna, è in balia di dinamiche politiche esogene. Un ritorno immediato alla guerra sembra essere al momento fuori discussione, dato che i maggiori egemoni sono distolti dal conflitto ucraino; questo, tuttavia, non preclude la possibilità di mobilitazioni interne contro Dbeibah a cui converrebbe percorrere la strada del consenso negoziato in chiaro.
Gino Lanzara
Immagine in anteprima, Tripoli, 23 agosto 2011. Un combattente, con due fucili di Kalashnikov, calcia una palla di fronte a un edificio che sta bruciando nel complesso del Bab al-Aziziyah, il quartier generale di Kadhafi, caduto in mano agli insorti – autore Philippe De Poulpiquet, Le Parisien da Award of Excellence | Impact 2012 – Arab Uprisings (poy.org)
[5] Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e, al momento, soprattutto Turchia
[6]La Turchia, grazie ai reparti dell’esercito libico da lei addestrati ed ai droni Bayraktar Tb2 tripolitani ha impedito a Bashagha di prendere Tripoli con la forza.
[7] Saleh è noto per il rifiuto di due accordi firmati con la Turchia nel 2019: il primo consentiva il l’addestramento ed il supporto delle forze libiche da parte turca; il secondo delineava i confini marittimi tra il due paesi.
[8] Da 1,2 milioni bdp al giorno a due milioni
[9] Tim Eaton, Chatam House
[10] Vd. inizio contemporaneo dell’offensiva di Haftar verso Tripoli e di Assad verso Idlib
[11]L’UE ha ribadito la sua opposizione all’accordo Turchia-Libia del 2019, poiché ritenuto non in grado di produrre alcuna conseguenza per gli Stati terzi. Il Ministro turco Çavuşoğlu, incurante delle critiche, ha affermato che i paesi terzi non hanno il diritto di interferire, dato che poi il tutto si pone come un modello di cooperazione win-win tra due paesi sovrani.
[12] Ankara è condizionata da quella che considera l’ingiustizia delle isole greche dell’Egeo poste di fronte alla sua costa. Secondo Soner Cagaptay, direttore del programma di ricerca turco presso il Washington Institute for Near East Policy, Questo fa parte della più ampia politica turca del Mediterraneo orientale, che si sente bloccata dai vecchi avversari Atene e Nicosia che si allineano con Israele e l’Egitto.
[13] Secondo Atene vale il patto stipulato nel 2020 con l’Egitto, che individua le zone specifiche. Le obiezioni greche all’accordo turco-libico consistevano nel fatto che veniva ignorata la pretesa greca di una ZEE attraverso l’ isola di Creta. Secondo Erdogan gli accordi con la Libia portano a stabilire che Cipro greca, Egitto, Grecia e Israele non possono stabilire una linea di trasporto del gas senza prima ottenere il permesso dalla Turchia.
[14] Secondo al Sisi la Sirte è una linea rossa invalicabile a pena di scatenare un intervento militare.
[15] Di particolare importanza i Med Dialogues dei primi di dicembre
[16] la Libia potrebbe svolgere un ruolo determinante nella crisi energetica causata dall’invasione russa. Il gruppo mercenario Wagner, nel tentativo di impedire alla Libia di fornire risorse all’Europa, ha sequestrato diversi giacimenti petroliferi durante la guerra civile conclusa nel 2020. L’Eni sta cercando di aumentare le sue importazioni di gas libico in risposta all’invasione russa.
[17] Finanziati dagli EAU
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romano del ’65, Ufficiale in servizio della Marina Militare è laureato in management e comunicazione d’impresa e scienze diplomatiche e strategiche ed è specializzato in analisi geopolitica e sicurezza. Autore di numerosi articoli su riviste del settore, ha pubblicato un saggio sulla guerra economica. Specializzato sull’area MENA, collabora con testate online sempre in tema geopolitico.