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livello elementare.
ARGOMENTO: ARCHITETTURA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MANUTENZIONI
parole chiave: alaggi, vari, invasi, cantieri
La sosta in secco … a prova di stabilità
Invasi, cavalletti, puntelli, tacchi, selle, e altro ancora almeno una volta all’anno, si prenderanno cura della nostra amata barca durante il lungo letargo invernale. Occorre decidere dunque se stare fermi a riposo per diversi mesi, svernando a terra, oppure rimanere in “acqua”, spesso dimenticati alle intemperie ed alle preoccupazioni.
Cosa fare allora?
Affrontare un’altra voce di spesa spesso piuttosto onerosa nel budget annuale tra alaggio, varo, movimentazioni, taccheggio, sosta a terra e servizi complementari. E’ sicuramente l’occasione per fare alcuni controlli e manutenzioni alla carena, appendici, assi, eliche, zinchi, antivegetativa approfittando di far asciugare (o pensare di) il laminato senza farsi mancare prima del varo una rinfrescante lucidatina alle murate!
Per molti è anche l’occasione per ri-prendersi, dopo mesi di regate o pseudo-rilassanti crociere alternate a weekend manutentivi, quella rassicurante sensazione di non stare in pensiero per la nostra “amata” e immaginarla sicura, protetta e “sostenuta” tra le forti braccia dei nuovi compagni di sosta: invasi e puntelli.
Ma c’è da fidarsi veramente? Corriamo dei rischi e la barca soffrirà?
Inevitabilmente soffre! In acqua il suo peso viene distribuito e “sostenuto” uniformemente dalla massa del liquido (concetto di dislocamento e principio di Archimede) che solleva l’intera superficie dell’opera viva, in secco il peso si scarica in maniera puntiforme o al limite lineare limitando le superfici di contatto ai sostegni in opera ( selle, tacchi, puntelli, pali, etc ).
Una corretta distribuzione dei carichi, un perfetto equilibrio statico, una giusta pressione a tutti i punti di appoggio evitando ogni possibile sollecitazione rischiosa alle appendici e accessori sono alla base di un “alloggiamento a regola d’arte”.
Vediamo allora quali sono i basilari da ricordare in tutte le fasi dell’operazione di alaggio e di sosta a terra e l’idoneo supporto su cui “adagiare” la nostra barca. Già durante la fase di alaggio il sollevamento provoca i primi stress. Per gravità la zavorra “appesa” è spinta verso il basso e per sollevamento lo scafo in molti casi è schiacciato dalle fasce verso l’interno. Bilancini non adatti, sottodimensionati o traverse della struttura ad H o a X troppo strette e lontane dal centro di gravità possono far soffrire la struttura. A mio avviso, il tiro ad “U aperta” con travel lift risulta essere il più adatto e meno stressante perché permette di regolare altezza, distanza, apertura semplificando anche la “messa in piano”.
La seconda fase è il posizionamento sull’invaso, taccheggio e puntellamento.
Bisogna tener conto necessariamente della forma, del peso, della lunghezza, del materiale e del metodo di costruzione della barca, avendo cura di scegliere come punti d’appoggio e di scarico sulla carena le strutture di rinforzo interne e i punti più robusti come paratie strutturali (resinate), madieri, longheroni, nervature. Se possibile lasciare qualcuno a bordo durante l’operazione o salirci appena possibile per cercare di sentire eventuali rumori o scricchiolii, verificare chiusura delle porte, allineamenti paglioli, mobilio e integrità o scollamenti vari.
Il principio generale è che il peso della barca deve esser sostenuto in buona parte dalla chiglia (deriva, zavorra, bulbo), mentre i sostegni laterali devono sopportare soltanto la spinta necessaria a mantenere in equilibrio e in posizione la barca, senza dunque sostenerne il peso della stessa.
Fatto questo, verifichiamo che non ci siano deformazioni o avvallamenti nel profilo del fasciame scongiurando rischi di danni strutturali, delaminazioni e scollamenti del ragno e/o controstampi. Verificare inoltre le caratteristiche e la solidità del piano di calpestio (piazzale) e del suo carico ammissibile per metro quadro, stabilendo così il giusto passo dei sostegni. Evitare puntellamenti su pareti di vetroresina senza nessuna costolatura interna o paratie strutturali o di irrigidimento, caricando la forza di gravità il più possibile sulla ragnatela dello scheletro portante della barca o su punti in grado di subire flessioni minime.
L’ideale sarebbe un’invasatura stampata sulla sagoma dell’imbarcazione (uno stampo femmina!) o comunque regolabile alle forme della carena. Posizionare l’imbarcazione in piano o volendo con un minima pendenza per evitare ristagni di acqua. Interporre tra lo scafo e i punti di contatto un primo strato morbido di adattamento (compensato marino foderato o rivestito per evitare graffi e tagli), una seconda tavola di legno duro di ripartizione delle spinte e infine cunei di forzatura ad angoli ridotti per adattare al meglio l’inclinazione del “pacchetto interposto” alle sezioni tonde della carena. In altre parole, posizionare tra la chiglia e il terreno o la struttura dell’invaso, in mancanza di idonei tacchi fissi in ferro, blocchi di legno fino a toccare uniformemente la base dello scafo. L’ultima fila dei blocchi andrebbe orientata con le fibre trasversalmente alla sezione longitudinale della barca.
Vediamo quali possono essere i pro e i contro per giustificare l’operazione di alaggio per un periodo prolungato.
CONTRO | PRO |
– Un costo aggiuntivo da sostenere ed un eventuale rischio (prevedibile) – L’utilizzo della barca si riduce a zero. – Molte apparecchiature elettriche disalimentate per lungo tempo hanno maggiore rischio di condensa interna e di ossidazione. |
– Si evitano le correnti galvaniche, la tendenza ad accumulare la umidità nei laminati (igroscopicità della vtr e del gelcoat), la possibilità di osservare e intervenire sull’opera viva e appendici, ma soprattutto questo evita quella spiacevole sensazione di pensare la propria barca abbandonata a se stessa … in galleggiamento in acqua! |
Meglio a terra al sicuro allora?
Spesso sento dire in banchina, nei cantieri o a cena tra amici se è meglio lasciare la barca a galleggiare o a seccare all’aperto? Personalmente ritengo cosa utile e responsabile considerare l’operazione di rimessaggio in una visione più ampia e di capire il perché nasce questo dubbio. E’ solo una questione economica ?
Siamo obbligati e intimoriti nel dover assolvere al carenaggio almeno una volta l’anno? Dobbiamo controllare qualcosa che ci preoccupa o vorremmo dedicarci a un make-up generale prima della prossima stagione estiva o veramente pensiamo di asciugare la barca?
Il lavoro fai da te, il più delle volte, non è consentito (per regolamenti di sicurezza nei luoghi di lavoro) o solo con forti restrizioni che limitano ad interventi che non giustificano l’operazione ed il costo. Molti cantieri (ne esistono di seri e professionali come altri improvvisati e poco affidabili) cercano di sfruttare al massimo ogni centimetro quadrato di spazio a disposizione e applicano tariffe spesso più basse per svernare a terra invogliando così il diportista a considerare lo “sconto” sollecitato dal fatto che “ … bisogna fare carena … “ per farla fare però, da altri!
Consideriamo un 12 metri a vela: una carteggiata veloce, due mani ( diluite o piene?), il colore (a scelta), due zinchi, due o tre giorni di lavoro, ci costano circa 1000 euro di manodopera escluso il materiale! Per le operazioni di scalo: alaggio e varo, lavaggio carena, movimentazione e posizionamento, antivegetativa e sosta su piazzale (mq/mese) dobbiamo considerare circa 2000 euro. A fronte del risparmio ottenuto (se reale) per la sosta a terra ci troveremo ad avere 2000 euro in meno in tasca ma con una carena a prova d’attacco biologico (per altri sei mesi), un nuovo popolamento di biocidi in mare, un pensiero in meno e la certezza che timone, zavorra, asse ed elica sono ancora li e nello stesso posto dell’anno scorso!
Scegliere cosa fare è una questione di stile, non di moda! Avere le idee chiare e conoscere cosa serve alla propria barca. Tante sono le variabili che entrano in gioco: tipo di barca, materiale, tempo, luogo, portafoglio, età (di entrambi, barca e armatore), disponibilità d’ormeggio, ansie, razionalità, necessità e programmazione d’interventi, utilizzo, sicurezza e la consapevolezza che “prendersi cura” è un atto doveroso e spesso … non ha prezzo!

Sistema combinato puntelli-cavalletti per barche a vela NavaltecnoSud
Personalmente ogni anno controllo e curo a secco e in acqua la mia amata barca. Buon vento.
Sacha Giannini
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architetto, yacht designer, perito navale ed ex ispettore di sicurezza del diporto per il rilascio delle certificazioni di sicurezza, è un appassionato e profondo conoscitore delle imbarcazioni a vela che effettua valutazioni tecniche e stime commerciali. Dal 2000 esercita la professione di architetto, tra terra e mare, impegnato nell’architettura come nel refitting di barche.
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