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livello medio
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: corsari barbareschi
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da «Contro i corsari barbareschi» una guerra permanente nel Mediterraneo di età moderna di Emiliano Beri
Sotto l’orizzonte militare
Guerra permanente: è questa la caratteristica della corsa barbaresca nel Mediterraneo d’età moderna, il suo essere presente per la totalità dei tre secoli compresi tra i primi decenni del Cinquecento ed i primi dell’Ottocento. Un fenomeno endemico, non necessariamente connesso ai conflitti convenzionali fatti di operazioni navali e battaglie, ma conflitto esso stesso, collocato sotto l’orizzonte militare, nella forma della rapina, della razzia, del raid, dell’incursione predatoria e della scorreria 1.
Non che la corsa barbaresca sia stato un fenomeno assente nei conflitti, anzi: la sua genesi si colloca all’interno della grande guerra cinquecentesca tra la monarchia ispano-italiana asburgica e il blocco ottomano-barbaresco e la sua azione si inserisce nei conflitti nel momento in cui questi coinvolgono le Reggenze barbaresche come vassalli (per quanto autonomi) dell’Impero ottomano. Ma la sua caratteristica peculiare sta nella continuità e in un’esistenza che non dipende dai conflitti convenzionali ad alta intensità, i conflitti sopra l’orizzonte militare. Una continuità che vive di declinazioni, configurazioni, attori, intensità e profili diversi nel tempo, ma riconducibili ad un unico fenomeno.
Una continuità che implica uno stato di guerra, altrimenti il corsaro non potrebbe essere tale, sarebbe pirata: la patente di corsa, il documento che fa del capitano di mare un corsaro, legittimando giuridicamente la sua azione predatrice, può essere emessa solo se sussiste una condizione di guerra, perché l’azione legittima è quella contro il nemico. Una guerra permanente, stagionale – perché combattuta principalmente quando si naviga, ossia nella buona stagione – che ha nell’azione predatrice finalizzata al profitto economico il suo scopo, e che si carica di significati strategici diversi – quali il logoramento del nemico o l’azione a carattere terroristico, dimostrativo e propagandistico ideologico – solo quando è inserita in un conflitto sopra l’orizzonte militare.
Il mondo all’interno del quale la corsa barbaresca ha preso corpo, ha mosso i primi passi ed è cresciuta fino ad arrivare alla maturità, è il Mediterraneo del XVI secolo; il Mediterraneo del conflitto tra blocco ispano-italiano e blocco ottomano. Un conflitto che prese avvio ancor prima che la Spagna creasse il suo impero mediterraneo sotto gli Austrias, e nella cui genesi le azioni dei predatori marittimi del Nord Africa, intensificate dagli esuli andalusi, ebbero un ruolo di primo piano, quale problema non secondario nella politica spagnola dopo la fine della guerra di Granada (1492).
La reazione spagnola (1497-1511) si concretizzò nel tentativo di conquista della costa maghrebina tra Orano e Tripoli, al fine di eliminare il problema corsaro alla radice; la controreazione ottomana, incarnata nella celebre figura del Barbarossa (prima battitore libero, insieme ai due fratelli, poi vassallo ottomano), diede il via alla guerra tra i due blocchi 2.
Un conflitto che si estese poi dal teatro nordafricano al Mediterraneo intero (con la partecipazione, intermittente, di Venezia come alleata della Spagna e, limitata nel tempo, della Francia come alleata della Porta), in cui la corsa proliferò, e in cui il controllo del Nord Africa, ossia delle basi dei corsari (in primo luogo Algeri, Tunisi e Tripoli, future capitali della Reggenze barbaresche), mantenne la sua centralità. Non è un caso che la definitiva riconquista ottomana di Tunisi, nel 1574, abbia rappresentato l’ultimo atto del conflitto. Il 1574 segnò la fine del tentativo spagnolo di controllare il Maghreb, l’antemurale del Mediterraneo centro-occidentale; dal 1574 i tentativi di contendere agli ottomani il possesso di Algeri, Tunisi e Tripoli cessarono (l’impresa di Algeri del 1601 rappresenta un colpo di coda, che avrebbe forse potuto riavviare la contesa, se non fosse fallita) 3.

Algeri barbaresca
Il conflitto terminò, di fatto, nel 1574, la guerra di corsa no.
Perché la corsa era il motore principale dell’economia dei governatorati di Algeri, Tunisi e Tripoli; governatorati che tra XVII e XVIII secolo divennero formazioni statuali sempre più autonome, Reggenze, in un progressivo allontanamento fattuale (anche se non formale) dalla sovranità ottomana. Un allontanamento funzionale alla corsa, perché slegarsi dalla direzione politica ottomana dopo il 1574 divenne condizione essenziale per il proseguimento dell’attività corsara. La corsa aveva bisogno di non sottostare alla politica estera di Istanbul, necessitava di libertà di movimento, finalizzata al mantenimento della condizione di guerra con il maggior numero possibile di stati europei 4.
La riconquista di Tunisi del 1574 inaugurò una nuova fase della guerra di corsa mediterranea, quella della cosiddetta «corsa mercantile», della corsa slegata alle operazioni navali del conflitto ad alta intensità; della corsa come fatto esclusivamente economico. Una fase in cui il mare brulicava di corsari, in cui la corsa non aveva più la dimensione delle grandi incursioni, concentrate e drammaticamente spettacolari, ma quella delle azioni portate da forze contenute, distribuite però capillarmente nello spazio e nel tempo. Una corsa che divenne quotidiana perché i battelli barbareschi non erano più tenuti ad unirsi alla flotta ottomana e ad operare come sue componenti; erano liberi di agire, individualmente o a piccoli gruppi, con l’esclusivo scopo del profitto 5. È la guerra di corsa permanente delle Reggenze barbaresche, endemica e persistente (sebbene a diverse velocità), che andrà esaurendosi solo nei primi decenni del XIX secolo.
Fine parte I – continua
Emiliano Beri
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Note
1 Per la definizione di razzia e raid: J. Harmand, L’arte della guerra nel mondo antico, Res Gestae, Milano 2017, pp. 17-19, 107-108, 137-139. Sulla collocazione della scorreria e dell’incursione sotto l’orizzonte militare: J. Keegan,La grande storia della guerra. Dalla Preistoria ai giorni nostri, Mondadori, Milano 1994, pp. 123-124. Sul valore strategico ed economico delle azioni predatrici un utile riferimento concettuale è: A.A. Settia, Rapine, assedi, battaglia. Le guerra nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 3-75.
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PARTE I
PARTE II
PARTE III
PARTE IV.

Emiliano Beri si è laureato con lode in Storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova. Nel 2011 vi ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia, discutendo una tesi sulle guerre di Corsica del medio Settecento. Dal 2012 al 2016 è stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia e Geografia dell’Università di Genova. Negli anni accademici 2016-17 e 2017-18 ha insegnato Storia sociale nel corso di Laurea triennale in Storia e Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze Storiche della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. Per l’anno accademico 2018-19 è stato docente aggregato di Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze storiche della stessa Scuola. A partire dall’anno accademico 2019-20 è docente aggregato sia di Storia militare che di Storia sociale.
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