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NO PLASTIC AT SEA

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Petizione OCEAN4FUTURE

Titolo : Impariamo a ridurre le plastiche in mare

Salve a tutti. Noi crediamo che l'educazione ambientale in tutte le scuole di ogni ordine e grado sia un processo irrinunciabile e che l'esempio valga più di mille parole. Siamo arrivati a oltre 4000 firme ma continuiamo a raccoglierle con la speranza che la classe politica al di là delle promesse comprenda realmente l'emergenza che viviamo, ed agisca,speriamo, con maggiore coscienza
seguite il LINK per firmare la petizione

  Address: OCEAN4FUTURE

Breve storia dei mezzi subacquei – parte IV

Reading Time: 6 minutes

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: sommergibili, sottomarini, batiscafi
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Impiego dei mezzi subacquei ricreativi e scientifici
Gli sviluppi in campo militare consentirono nel tempo di realizzare mezzi subacquei sempre più performanti divenuti poi di uso comune anche nel mondo civile, sia per attività scientifiche  che ricreative.

Il mini sommergibile C-Explorer 5 offre una gamma infinita di opportunità: dall’esplorazione delle profondità degli oceani al ricreativo per gli operatori turistici che vogliono offrire alla loro clientela un’esperienza sottomarina. Questo battello subacqueo può operare fino a 200 metri di profondità portando cinque persone di equipaggio

Nel mondo civile i mezzi subacquei sono molto diversi fra loro ed sono stati adattati alle diverse esigenze. Le nuove tecnologie hanno aperto anche nuovi impieghi in campi, come quello turistico che un tempo erano considerati impensabili. Questo sviluppo incominciò negli anni ’80 e, già nel 1996, esistevano nel mondo più di cinquanta battelli privati che servivano circa due milioni di passeggeri all’anno. Il settore turistico intuì che dare la possibilità a tutti di poter vedere il fondo marino e le sue creature era un business da non perdere. I costi iniziali per l’acquisto di questi mezzi poteva essere ammortizzato in poco tempo.

Oggigiorno, non è raro ritrovarli nelle zone di villeggiatura tropicali, dove, grazie alla buona visibilità subacquea, trasportano i villeggianti a scoprire, stando comodamente all’asciutto, le bellezze delle profondità marine. Questi sommergibili sono di norma alimentati a batteria ed impiegati nei primi 100 metri d’acqua (oltre non avrebbe ovviamente senso a causa della diminuzione della luce ambientale). La maggior parte di essi trasporta dai 25 ai 50 passeggeri alla volta effettuando anche dieci immersioni al giorno. Nel design, questi sommergibili rassomigliano a quelli impiegati nella ricerca scientifica e nell’off-shore, con grandi oblò che permettono ai turisti di poter osservare l’esterno.  L’effetto scenico è decisamente garantito.

Atlantis XIV è uno dei più grandi sommergibili impiegati nel settore turistico nel mondo. Ad oggi circa dodici milioni di turisti hanno effettuato un immersione a bordo di un battello Atlantis nel mondo

Nel 2005, il più grande sottomarino ad uso turistico era l’Atlantis XIV dislocato a Waikiki nelle Hawaii, con la possibilità di trasportare sessantaquattro passeggeri e tre membri dell’equipaggio (due guide e un pilota) fino a cinquanta metri di profondità. Il sommergibile, nella foto a lato, è ancora in servizio ed appartiene alla flotta della compagnia Atlantis Submarines che correntemente impiega ben dodici battelli dislocati ad Aruba, Barbados, Cozumel, Guam, e nelle Hawaii a Waikiki, Maui, e Kona.
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I mezzi senza pilota

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è OCEANOGRAFIA-ROV_WORK_CLASS-III-576x1024.jpg

ROV work class III usato per lavori ad alta profondità – autore Giancarlo Icolari
ROV WORK CLASS.jpg – Wikimedia Commons

Negli anni ’70 del secolo scorso, si assistette allo sviluppo di veicoli subacquei senza equipaggio filo guidati  dall’esterno (ROV). Storicamente il primo veicolo capace di navigare sott’acqua fu un siluro costruito da Luppis-Whitehead Automobile in Austria nel 1864, ma il primo ROV, dotato di un ombelicale di guida, fu il POODLE, costruito da Dimitri Rebikoff nel 1953. La Marina degli Stati Uniti fu la prima a credere nello sviluppo e costruzione dei primi ROV che furono inizialmente usati per la ricerca e il recupero di ordigni subacquei riducendo i rischi per gli operatori subacquei.

Nel 1960 la US Navy finanziò un progetto basato su tecnologia ROV, chiamato CURV (Cable-Controlled Underwater Recovery Vehicle), ossia di un mezzo  subacqueo controllato con un cavo; questo progetto diede la possibilità di portare a termine importanti missioni e salvataggi come il recupero  della bomba nucleare B28RI persa nel 1966 nello schianto di un B-52 nel Mar Mediterraneo al largo della Spagna ed il salvataggio dei piloti del sommergibile PISCES III da parte del ROV CURV III nel 1973.
In quell’occasione il ROV fu usato per attaccare un cavo di acciaio al sommergibile in distress per poi riportarlo in superficie. Il passo successivo fu l’utilizzo di questa tecnologia nel campo petrolifero. Le imprese commerciali intuirono le notevoli potenzialità di questi strumenti nelle operazioni petrolifere offshore.  Dal 1980, i ROV sono diventati essenziali per lo sviluppo ad alta profondità dei giacimenti petroliferi; grazie alle moderne tecnologie sono oggi in grado di lavorare fino a 10.000 m di profondità. I mezzi sono guidati da un pilota che, seduto comodamente nella sua cabina di bordo, può osservare tramite la telecamera del ROV tutto ciò che vede il veicolo ed operare con sicurezza dirigendolo con le eliche di propulsione. Essi sono dotati di propri motori per la propulsione e possono essere equipaggiati con diversi tipi di telecamere e potenti bracci idro-meccanici per eseguire diversi tipi di lavoro (come l’apertura di valvole, etc).

In tempi relativamente più recenti (negli anni ’80) sono stati sviluppati mezzi completamente autonomi (UUV – unmanned underwater vehicle) che essendo autonomi non necessitano un collegamento continuo con una nave madre. Non necessitando di umani questi mezzi si prestano ad operare in aree dove possono esistere pericoli  per i subacquei, come le zone di guerra dove possono esistere ordigni, o con pericoli naturali come risorgenze gassose ad alta temperatura, anche a grandi profondità.

La grande praticità degli UUV consiste che i mezzi, una volta rilasciati in mare, eseguono i compiti assegnati secondo le istruzioni, pre-caricate tramite un programma, in totale indipendenza. Ne esistono di molti tipi e dimensioni, dalle poche decine di centimetri a oltre sei metri. Vengono normalmente usati in campo civile per la caratterizzazione  del fondo marino, specialmente  nelle ricerche in campo oceanografico ed archeologico, e per l’ispezione delle pipeline delle piattaforme petrolifere e dei cavi telefonici o elettrici sul fondo del mare. I dati raccolti  vengono normalmente scaricati al termine della missione e quindi valutati attraverso l’analisi della registrazione dei dati acustici necessari per costruire le mappature sonar ad alta definizione del fondale.

Il primo UUV fu sviluppato presso il Laboratorio di Fisica Applicata dell’Università di Washington, nel 1957 da Stan Murphy, Bob Francois e, Terry Ewart. Lo “Special Purpose Vehicle Underwater Research“, o SPURV, fu utilizzato per studiare dati fisici subacquei. Altri UUV furono sviluppati dal MIT  (Massachusetts Institute of Technology) nel 1970.  

Con gli anni il loro impiego si è moltiplicato grazie alla sempre maggiore capacità di integrazione ed elaborazione dei dati e dei sistemi di bordo.

salmoni

immagine sonar ad alta definizione di tre zavorre di cemento raccolte da un AUV – foto dell’autore 

In campo civile, l’industria del petrolio e del gas li usa per ottenere  mappe dettagliate del fondo marino prima di iniziare la costruzione di infrastrutture sottomarine. Anche la ricerca pura ne ha giovato notevolmente; gli scienziati li usano per studiare i laghi, il mare, e il fondo dell’oceano. Anche la loro autonomia non è più un problema. Alcuni mezzi autonomi subacquei hanno un’endurance  di mesi; in questo caso possono essere programmati per riemergere ad orario e scaricare via satellite i dati oceanografici raccolti e quindi per riprendere la loro missione. La modularità di questi mezzi consente di imbarcare una varietà di sensori: da quelli per misurare i parametri fisici nel volume d’acqua all’inquinamento chimico. Alcuni sensori consentono anche di valutare la densità e le concentrazioni di ittiofauna in determinate aree. Forse l’uso più classico degli UUV è la raccolta di dati sulle morfologie dei fondali. Utilizzando Side Scan Sonar (SSS) parametrici ad altissima risoluzione si possono  ottenere immagini tridimensionali dei fondali che trovano interesse in numerosi campi, dal militare allo scientifico (archeologico, geologico, industriale, etc).

In sintesi, da gusci di legno e pelle ai maneggevoli UUV, il progresso dei mezzi subacquei ha camminato pari passo con la storia dell’Uomo. Nessuno sa che cosa ci riserverà il domani ma con questi mezzi avremo la possibilità di monitorare meglio il mare, di studiarlo e comprendere i suoi meccanismi  e per poterlo preservare.

andrea mucedola

 

immagine in anteprima  un ROV al lavoro in un impianto sottomarino di petrolio e gas. Il ROV utilizza una chiave di coppia per regolare una valvola su una struttura sottomarina. immagine caricata da Frank van Mierlo, donata al public domain dal Vice Presidente di Oceaneering, Mr. Duncan McLean. File:ROV working on a subsea structure.jpg – Wikimedia Commons

Alcune delle foto presenti in questo blog sono prese dal web, pur rispettando la netiquette, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o chiedere di rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

 

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