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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: punizioni corporali, keelhauling, giro di chiglia
A volte si sente usare, impropriamente, il termine “giro di chiglia“, usato per significare una grave punizione. Lo ricordiamo inflitto nei vecchi film di pirati ma, in realtà, ci fu un tempo in cui questa pena orrenda fu impiegata anche dalle marine regolari. Il povero marinaio, reo di una grave mancanza, veniva legato con una fune, gettato fuori bordo su un lato della nave e trascinato sotto la chiglia, da un lato all’altro della nave o per la lunghezza della nave (da prua a poppa).

Keel Hauling, opera inchiostro e acquerello di Frau Sakra-Keelhauling, 2019
Il giro di chiglia era equivalente ad una condanna a morte, una tortura estrema che, nel migliore dei casi, mutilava permanentemente il malcapitato. La pratica era tutt’altro che improvvisata. Alla vittima veniva legato un peso per mantenerlo sott’acqua ma le funi a cui era legato erano tesate per mantenerlo a contatto con il ruvido scafo. La trazione causava la raspatura del corpo che veniva trascinato dall’equipaggio lentamente, speso provocandone l’annegamento. C’era anche il rischio di un trauma cranico dovuto alla collisione con lo scafo o la chiglia, soprattutto se la nave era in movimento. In quel caso la morte era una benedizione.
Una tortura antica
La prima menzione nota sembra fosse citata nel Codice marittimo di Rodi (Lex Rhodia), c. 800 a.C., che delineava la punizione per atti di pirateria. Secondo H. A. Ormerod, Piracy in the Ancient World (New York: Dorset Press, 1987), 54-56, tale pratica fu rappresentata anche su un vaso greco. In seguito, nell’era velica, i governi olandese e inglese furono gli unici che adottarono ufficialmente l’uso del giro di chiglia, sebbene molte altre nazioni lo praticassero occasionalmente (come nella Marina francese). La versione francese prevedeva due funi passate attraverso blocchi situati su ciascun lato della nave e poi legati a una piccola grata del boccaporto. Il marinaio veniva quindi ancorato alla grata come una barella improvvisata, con dei pesi attaccati alla grata invece che al marinaio. Sebbene non fosse una regola, la Royal Navy inglese adottò questa forma di punizione per lo più nell’XI secolo, mentre la Marina olandese più tardi, tra il 1560 e il 1853. Alcuni scrittori inglesi del XVII secolo, come Monson e Boteler, ne riportarono l’uso sulle navi da guerra inglesi anche se i loro riferimenti sono vaghi e non forniscono alcuna data certa. Sembra che non ci sia traccia di ciò nei registri delle navi inglesi dell’epoca, e lo storico navale Nicholas Rodger arrivò a dichiarare di non essere a conoscenza di prove certe che tale pratica fosse mai accaduta. Curiosa la testimonianza di un membro del parlamento inglese nel 1880, Shaw Lefevre, in merito alla presunta esecuzione di un giro di chiglia comminato sul HMS Alexandra.
La storia merita di essere raccontata. Un certo signor Taylor fece un’interpellanza al Segretario dell’Ammiragliato britannico, se fosse a conoscenza che, su alcuni giornali italiani (Palermo e Messina), era apparsa la notizia che un marinaio del H.M.S. Alexandra era stato condannato ad effettuare un giro di chiglia, ed era deceduto durante la punizione. Taylor chiese se l’Ammiragliato intendesse avviare indagini sull’argomento. in qualità di membro del Parlamento Lefevre negò la veridicità dell’evento che era stata riportata dai giornali, ritenendo non necessario “insultare gli ufficiali della nave chiedendo se fosse vero”. Inoltre, riferì che l’ultimo riferimento a tale punizione risalisse alla visita dell’Imperatore russo Paolo I Petrovič Romanov ad una nave da guerra. Sembrerebbe che in quell’occasione l’imperatore chiese di poter assistere alla esecuzione di questa pena. Il comandante rispose che tale pratica estrema comportava la morte del malcapitato. Questo non turbò il monarca che offrì uno dei suoi collaboratori per l’esecuzione.

The Keelhauling of the Ship’s Surgeon of Admiral Jan van Nes di Lieve Pietersz – il quadro si trova nel Rijksmuseum Museum di Amsterdam ed è datato 1660-1686.
Ammesso sia vero l’abbandono di tale usanza nella Royal Navy, sembrerebbe invece che fosse ancora una punizione ufficiale, sebbene rara, nella marina olandese, come mostrato nel dipinto intitolato The Keelhauling of the Ship’s Surgeon of Admiral Jan van Nes. Il dipinto fa luce su questa crudele punizione comminata al chirurgo dell’ammiraglio olandese van Nes descritta come “una severa punizione per cui il condannato è stato trascinato sotto la chiglia della nave su una fune. È servito come un terribile avvertimento a tutti i marinai. ” Notare la grande folla raccolta per assistere all’evento, come se fosse uno “spettacolo” volutamente inteso a intimidire potenziali trasgressori.
Questa testimonianza prova che il keelhauling era una punizione inflitta per vari reati nella marina olandese. Nello specifico era eseguita immergendo ripetutamente il reo sotto lo scafo della nave, passandolo da un lato e sollevandolo dall’altro, dopo essere transitato sotto la chiglia. I blocchi, o carrucole, ai quali era sospeso, erano fissati alle estremità opposte del ponte principale, e un peso di piombo o ferro (a volte una palla di cannone) era appeso alle sue gambe per mantenerlo ad una profondità adeguata. In pratica il malcapitato veniva lasciato cadere in mare, dove, passando lungo la chiglia della nave, veniva poi issato sul lato opposto della nave. In alcuni casi, gli ufficiali olandesi inserivano una spugna imbevuta d’olio nella bocca della vittima, che dava loro l’opportunità di estrarre una boccata d’aria aggiuntiva quando erano sott’acqua. Le vittime di questo estenuante metodo di tortura di solito non venivano riportate immediatamente sul ponte della nave, e venivano lasciate appese al pennone come avvertimento per gli altri marinai.
Le ferite erano causate da animali marini, comunemente chiamati denti di cane, appartenenti ai Cirripedi. Questi animali hanno un esoscheletro formato da sei piastre e vivono attaccati al fondo delle navi, alle cime di ormeggio ed alle palificazioni. Il loro duro guscio esterno è molto tagliente ed affilato e può causare tagli o graffi sul corpo degli incauti bagnanti. Il cemento che questi animali usano per attaccarsi ai substrati duri è attualmente allo studio per applicazioni dentali.

Una xilografia Tudor di Keelhauling. Per gentile concessione del Bournville Village Trust, Birmingham, Inghilterra.
Ma la tortura non sempre terminava al primo passaggio. Qualora il malcapitato fosse ancora vivo, il capitano della nave decideva se le loro ferite soddisfacevano o meno la punizione. In caso di rottura delle funi o della presenza di poche lacerazioni sul corpo generalmente poteva ordinare un altro giro sotto la nave, tre o più volte. L’episodio noto più recente sembra avvenne nel 1882, quando due marinai egiziani furono puniti con il keelhauling vicino ad Alessandria.
Oggi come oggi le punizioni corporali sono bandite in quasi tutte le Marine militari del mondo.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. E’ docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione scientifica.
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