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livello elementare
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MEDITERRANEO
parole chiave: Libia, controllo del Mediterraneo
In Libia le potenze occidentali, che avevano rivestito un ruolo fondamentale nel determinare la caduta del regime (Francia in primis), nel post Gheddafi si rivelarono di fatto incapaci di gestire le conseguenze disastrose del loro intervento armato, e di mettere fine alla guerra civile.

Celebrazioni a Tripoli nella piazza dei martiri il 17 febbraio 2015. AFP Photo credit Mahmud Turkia/AFP/Getty Images
La caduta di un regime dittatoriale, che si reggeva con l’utilizzo bruto della forza, non portò democrazia ma portò alla luce quanto fragili erano gli equilibri del Paese, tra tribù da sempre in contrasto le une con le altre ed il propagarsi di gruppi di militanti dell’ISIS. Inoltre sono ancora presenti membri del Gruppo dei combattenti islamici libici, Al-Jama’a al-Islamiyyah al-Muqatilah bi-Libya, un’organizzazione terroristica nata negli anni ottanta dai mujaheddin libici che avevano combattuto la guerra in Afghanistan contro i Russi legata ad al-Qaeda.

9 aprile 2019, Libia, Tripoli: combattenti di un gruppo armato di Misurata, fedele al governo di accordo nazionale (GNA) sostenuto dall’ONU di Fayez Serraj, preparano le loro munizioni prima di dirigersi in prima linea contro le forze del Libyan National Army (LNA) guidate dal generale Khalifa Haftar. Foto Stringer / picture-alliance / dpa / AP Images
Questo è dimostrato dalla situazione attuale che vede la presenza di due governi, Il primo, il Governo di accordo nazionale (GNA) di Fayez al-Sarraj con sede a Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto da parte dell’esercito regolare e da varie milizie prevalentemente di origine Tripolitana e Misuratina. Il GNA gode dell’appoggio economico e militare di Turchia e Qatar e viene avversato dall’altro, che ha sede a Bengasi ed è capitanato dal Generale Khalifa Haftar. Questi è supportato apertamente da Egitto, UAE e Arabia Saudita, oltre che da un appoggio da parte della Russia, ambiguo della Francia e, ancora meno chiaro dagli Stati Uniti.
Quali sono gli interessi?
La Libia è un paese estremamente ricco di riserve petrolifere e di gas ed è crocevia di importanti rotte marittime del Mediterraneo e di vie interne con il centro dell’Africa. Non a caso la sua destabilizzazione ha suscitato l’interesse di vari attori internazionali interessati ad ottenerne dei vantaggi personali. Tra di essi forse il più interessante da analizzare è la Turchia, appartenente allo schieramento atlantico ma la cui matrice laica sta lentamente perdendo la sua connotazione, procedendo ad un’islamizzazione sempre più spinta sotto la guida di Erdogan.

Fayez al-Sarraj incontra Erdogan
Di fatto in questi ultimi decenni la Turchia ha avuto una crescita economica importante che ha accompagnato una mutazione politico sociale in controtendenza con il progetto di occidentalizzazione e di secolarizzazione promosso da Kemal Atatürk. Dopo anni di Governi forti, dove i militari avevano avuto sempre un peso notevole, nell’ultimo periodo le tendenze islamizzanti, soprattutto sul piano sociale e culturale, hanno portato significativi effetti a livello politico che mettono in imbarazzo gli Alleati della NATO. Gli interessi turchi, sin dai tempi di Gheddafi, in Libia sono sempre stati notevoli, con numerosi progetti di costruzioni con un volume degli investimenti stimato di diversi miliardi di dollari. L’accordo turco-libico (con il GNA) sui confini marittimi potrebbero influire sull’esplorazione di petrolio e gas degli altri Paesi, aumentando le tensioni geopolitiche in tutta la regione mediterranea. Un esempio eclatante è l’impatto che ne deriva sulle Zone economiche esclusive (ZEE) di Grecia ed Egitto. Le reazioni non si sono fatte attendere. L’Egitto ha respinto l’accordo economico tra Ankara e Tripoli ritenuto “illegale” e Atene ha dichiarato che l’accordo è “completamente inaccettabile” perché ha ignorato la presenza dell’isola greca di Creta tra le coste della Turchia e della Libia.
Inoltre esiste una ragione politica: il conflitto in Libia rappresenta una nuova linea di faglia in Medio Oriente con Turchia e Qatar da una parte ed Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, uniti nell’opposizione ai Fratelli musulmani sostenuti dalla Turchia. Non ultimo il divario di visioni politiche con la Russia, che appoggia Haftar, sembra incolmabile. Recep Tayyip Erdogan intende far proseguire l’offensiva militare verso Sirte e la Cirenaica per mettere in ginocchio Haftar che gode del supporto di milizie non regolari russe, il Gruppo Wagner, che si era già distinto in Siria. Un incontro ad Istanbul fra Turchia e Russia che doveva svolgersi questa settimana è saltato all’ultimo momento. Un gioco astuto o avventato da parte di Erdogan? Anche questo lo vedremo presto.

Contractor russi in Libia, appartenenti al Gruppo Wagner, già visti in Siria
In questo gioco truppe turche e di mercenari russi potrebbero essersi già scontrati. Intanto il Cremlino ha negato qualunque collegamento tra il Gruppo Wagner ed il Governo russo affermando che la Russia non può evitare che “privati cittadini operino come guardie del corpo all’estero.”
Ma quale è il ruolo dell’Europa in questi giri di valzer che stanno producendo aree di sempre maggiore instabilità?
E’ un dato di fatto che l’Europa non sia stata in grado di assumere una posizione ferma ed unitaria. La Francia, da sempre interessata ad un futuro sfruttamento dei pozzi libici, per Total (togliendoli all’ENI) sostiene in maniera ambigua il governo di Haftar. Nonostante Parigi neghi, sono stati scoperti quattro missili anti carro Javelin in uso all’esercito francese in dotazione alle forze del generale Haftar, nella zona di Gharian. Naturalmente Parigi nega. I tentativi di cessazione del fuoco tra le due parti non hanno avuto grandi risultati. Anche la Conferenza di Berlino non ha prodotto risultati tali da far credere che una soluzione militare sia effettivamente esclusa dallo scenario libico. La tregua che ne è derivata, che sembrava approvata dai principali protagonisti internazionali della crisi, non è stata congiuntamente ratificata da Al-Serraj e dal generale Haftar, anche se riunioni successive stanno fornendo una possibile soluzione. Cruciale per la risoluzione della crisi sarà la gestione dell’embargo di armamenti. Facile a dirsi ma complesso da ottenersi.

ITN Bergamini in pattugliamento … La nuova operazione EUNAVFOR MED IRINI ha come compito principale di contrastare il traffico illecito delle armi, rispettando così l’embargo precedentemente imposto dalle Nazioni Unite. La missione utilizzerà navi, aerei e mezzi satellitari per raggiungere il suo obiettivo ma non si presenta facile
Quello che manca è una visione europea condivisa, almeno fino a quando la Francia non abbandonerà i suoi interessi personali, ad esempio in zone come il Fezzan, nel Sud del Paese, dove sono situati giacimenti di gas e petrolio molto importanti anche per l’ENI (in particolare quello di El Feel che produce 75 mila barili al giorno). Questo atteggiamento quanto meno ambiguo d’oltralpe ha portato Serraj a dichiarare la sua intenzione di interrompere i rapporti bilaterali con la Francia di Macron che di fatto, con il suo comportamento, ha dato legittimità politica ad Haftar, trasformandolo da capo militare ad interlocutore politico.
Nel panorama internazionale, vi è poi un altro aspetto. Il regime di Gheddafi fu abbattuto con l’aiuto di Obama. Trump non pare essere interessato più di tanto, lanciando messaggi contraddittori, che non solo hanno disorientato i due attori libici ma anche quelli internazionali. Sebbene gli Stati Uniti, dopo la caduta di Gheddafi, si siano ufficialmente disimpegnati in Libia, nonostante le iniziali dichiarazioni di appoggio a Serraj, rilasciate dal Dipartimento di Stato, nel mese di aprile il presidente Donald Trump ha espresso il proprio supporto all’azione militare di Haftar contro Tripoli. Un comportamento ambiguo che non facilita la risoluzione del conflitto, soprattutto con un’Europa debole e divisa. L’unico modo di costringere gli Stati Uniti a schierarsi in maniera definitiva sarebbe riuscire ad ottenere una visione unitaria europea. Solo così si potrebbe ottenere un fronte politico comune ed esercitare pressioni sulle parti in modo credibile.

Combattenti ribelli libici a Misurata – Foto Olycom – Alfano
I combattimenti continuano in uno scenario di guerra che rassomiglia sempre di più alla Siria, e dove diverse potenze hanno giocato le loro carte. Recentemente una dichiarazione congiunta tra i Ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia ha nuovamente esortato tutte le parti libiche e gli attori internazionali a cessare le operazioni militari, impegnandosi nel progetto di accordo del 23 febbraio presentato dalla Missione di Sostegno della Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) al fine di ” … fermare i combattimenti, riprendere il dialogo e raggiungere un cessate il fuoco … “. Questo è avvenuto al Cairo il 6 giugno nel quadro del Comitato Militare Congiunto 5 + 5, con la richiesta di un immediato cessate il fuoco, comprendente il ritiro da tutte le regioni della Libia di tutte le forze regolari e non (contractor come il gruppo Wagner russo) straniere e di attrezzature militari fornite in violazione dell’embargo sulle armi delle Nazioni Unite.
Qualora ciò non si riuscisse ad ottenere, la prospettiva geopolitica del Mediterraneo sarebbe disastrosa, con Russia, Turchia e una frantumata Europa a cercare di mitigare una diga piena di falle. Non ultimo tra i tanti litiganti, potrebbe affacciarsi sornionamente la Cina che ha già un footprint in Africa di tutto rispetto. Pechino ufficialmente appoggia il governo di Fayez al-Sarraj e suoi diplomatici hanno incontrato esponenti dell’esecutivo di Tripoli nove volte tra il 2016 ed il 2020. Inoltre Cina e Libia hanno avuto un bilaterale a margine del Forum di cooperazione Cina-Africa (Foocac) nel 2018 con firma di un memorandum d’intesa per inserire la Libia nella Silk road. L’anno scorso il commercio bilaterale ha raggiunto 6,21 miliardi di dollari con un aumento annuo del 160% con l’export petrolifero libico.

La Cina è sempre più vicina e l’Europa continua a guardare
Quali sono le ricadute per l’Italia?
Al di là delle belle parole, l’Italia di fatto non ha un ruolo di prima fila nonostante gli importanti interessi economici (ad esempio i contratti dell’ENI che fanno gola i Francesi) e politici come l’intensificarsi dei flussi migratori per lo più economici provenienti di Paesi del Sahel (ma non solo). Quello che no dicono è che questi migranti , secondo fonti UNCHR, provengono in minima parte dalla Libia ma, nel 2019, soprattutto da Tunisia (2,6 mila persone, 23% del totale) seguite da Pakistan (1,2 mila persone, 10%), Costa d’Avorio, Algeria e Iraq. Le ragioni sono principalmente economiche anche se spesso mascherate per motivi politici. Interessante notare che i flussi da alcuni Paesi africani, a seguito della guerra abbiano scelto come via di accesso la Turchia, prima dell’ingresso in Europa, facendo comprendere la complessità delle organizzazioni criminali che di fatto hanno creato delle vie privilegiate per le diverse etnie.

Gruppi di immigrati riuniti per l’identificazione dalle forze dell’ordine a Lampedusa ANSA / Filippo Venezia
L’immigrazione clandestina è un fenomeno complesso che dovrebbe essere gestita con politiche unitarie a livello europeo ma che di fatto dimostrano da un lato la fragilità decisionale europea e dall’altro la difficoltà a contenere e regolarizzare i flussi dovuta ad interessi nazionali. Facendo perno sugli aspetti umanitari, si nascondono ben altri obiettivi. L’Italia è un Paese economicamente forte. Ricordiamoci che secondo le stime dell’Office for National Statistics e del Citigroup, nel terzo trimestre 2009 l’Italia era la sesta nazione più ricca del mondo e la terza in Europa, avendo il suo PIL ormai superato quello del Regno Unito. Il peso di sostenere da soli una migrazione massiccia, senza possibilità di distribuirne gli effetti in Europa, costituisce un’aggravante economica non trascurabile per il nostro Paese che, di fatto, è stato lasciato solo dall’Europa. La crisi libica ha di fatto indebolito i controlli e gli sbarchi sono nuovamente aumentati. Questi traffici sono gestiti da organizzazioni criminali a volte legate allo Stato Islamico o ad altri gruppi islamisti, che considerano il traffico di esseri umani un business remunerativo per finanziare le loro attività di propaganda, terroristiche e militari. Questa situazione indebolisce i Paesi rivieraschi europei e, in particolare, l’Italia provata da anni di politiche poco concrete per l’immigrazione, divisa tra visioni umanitarie talvolta utopistiche e difesa della propria sovranità.
Cosa succederà a breve nelle acque antistanti la Libia?
Supposto che il cessate il fuoco del 3 giugno resista e che l’azione diplomatica proceda, sarà necessario unire agli sforzi politici un’azione di controllo e monitoraggio del traffico mercantile per garantire l’embargo. Per tale scopo è stato rinnovato l’impegno europeo con una nuova missione. La missione EUNAVFOR IRINI è di fatto operativa da diverse settimane, sostituendo la precedente missione SOPHIA con un mandato iniziale di un anno.

l’embargo delle armi …. metterà fine agli scontri?
Questa missione, a guida italiana, rappresenta la volontà di intensificare gli sforzi per far rispettare l’embargo delle armi delle Nazioni Unite sulla Libia, contribuendo in tal modo al processo di pace nel paese, attraverso l’avvio di una nuova operazione militare PSDC (politica di sicurezza e di difesa comune) nel Mediterraneo. Il suo compito principale è l’embargo sulle armi emesso dalle Nazioni Unite con l’impiego di aerei, satelliti e unità navali. In particolare, la missione potrà effettuare in alto mare al largo delle coste libiche ispezioni delle navi sospettate di trasportare armi da e verso la Libia conformemente alla risoluzione 2292 (2016) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Inoltre come compiti secondari, EUNAVFOR MED IRINI dovrà:
- monitorare e raccogliere informazioni sulle esportazioni illecite di petrolio, petrolio greggio e prodotti petroliferi raffinati dalla Libia;
- contribuire al rafforzamento delle capacità e alla formazione della Guardia costiera e della marina militare libica nelle attività di contrasto in mare;
- contribuire al contrasto delle reti di trafficanti di esseri umani attraverso il pattugliamento aereo per la raccolta di informazioni.

L’Ospedale italiano a Misurata nell’ambito del MIASIT
La missione ha avuto inizio il 4 maggio con la fregata francese Jean Bart e un aereo da pattugliamento marittimo del Lussemburgo, a cui poi si sono aggiunti un ricognitore polacco, uno greco e la fregata ellenica Spetsai. Per l’Italia, lo sforzo nell’ambito dell’operazione IRINI, si aggiunge alla missione bilaterale di supporto ed assistenza (MIASIT) in cui rientra l’ospedale da campo a Misurata.
Siamo ad una svolta o si tratterrà dell’ennesimo tentativo di stabilizzare un’area così importante per la sicurezza internazionale da parte di attori con diverse partiture? I prossimi mesi ce lo diranno e la partita si giocherà ancora nel Mediterraneo.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
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