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livello medio
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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OVUNQUE RICONOSCIUTO
parole chiave: mine navali
Accordi internazionali correlati alla Guerra di mine
Dopo la convenzione dell’Aia del 1907, le nuove potenzialità, sia per deterrenza che interdizione o offesa, comportarono nel tempo vivaci dibattiti nei differenti fora internazionali senza però arrivare alla definizione di nuove Convenzioni specifiche all’argomento.
Per completezza di trattazione ritengo opportuno elencare alcuni documenti che, pur non menzionando direttamente le mine navali, furono in seguito considerati nella stesura del “San Remo Manual” di cui parlerò più diffusamente nell’ultima parte:
– Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite
– Seabed Arms Control Treaty del 1971
– Protocol II al Conventional Weapons Treaty del 1980
– Law of the Sea Convention (UNCLOS III) del 1982.
Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite
In accordo con l’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite l’uso della forza, e quindi anche delle mine navali, nei conflitti è proibito a meno che:
– vengano usate in un’operazione effettuata da una coalizione internazionale, sanzionata dall’ONU, contro un identificato aggressore;
– in caso si debba ricorrere ad una difesa collettiva o singola per prevenire un attacco imminente.
Da ciò deriva che un uso preventivo delle mine, prima dello scoppio delle ostilità, non è permesso. Inoltre, ne lega, in maniera ambigua, l’impiego ad una valutazione sull’imminenza dell’attacco. Considerando che la decisione di un’azione si basa sull’analisi di fattori, non è esente da errore (il 100% non esiste), e che un’azione di minamento difensivo o protettivo comporta dei tempi di esecuzione non brevi, la catena di ritardi andrebbe ad influire sull’efficacia dell’azione.
Seabed Arms Control Treaty
Durante la guerra fredda, i progressi nel campo della tecnologia oceanografica, il nuovo interesse verso le risorse sottomarine e l’assenza di chiare regolamentazioni in merito, comportarono la necessità di esaminare tali problematiche in riferimento alla aumentata presenza militare negli oceani. In particolare, si temeva che lo sviluppo dei mezzi militari subacquei portasse ad una corsa agli armamenti anche nel continente blu con il posizionamento di stazioni sempre più sofisticate di ascolto, per intercettare i sottomarini strategici, e la posa di campi minati di profondità con l’impiego di armi nucleari tattiche subacquee.
Il Trattato fu sviluppato congiuntamente dagli Stati Uniti e l’Unione Sovietica al fine di proibire l’impiego di armi di distruzione di massa e nucleari nel sottosuolo e sul fondo dei mari oltre le acque territoriali (12 miglia dalla costa). Sebbene il testo non contenga esplicitamente riferimenti alle mine navali convenzionali, si riferisce al possibile impiego di armi a testata nucleare sul fondo degli oceani (di fatto assimilabili a mine di elevata potenza). La costruzione di siffatti ordigni, sebbene fortemente temuta nel clima della guerra fredda, non fu mai confermata e, considerando le difficoltà tecniche e le possibili ricadute ambientali, questo fa pensare che non fu mai sviluppata dalle Super Potenze.
Conventional Weapons Treaty – Protocol II
Il Trattato, stipulato nel 1980, pone delle restrizioni in merito all’uso di armi convenzionali che possano causare eccessivi danni all’ambiente ed al territorio con effetti indiscriminati. Sebbene l’articolo 1 del Protocollo si riferisca alle mine terrestri, alle booby traps ed a quelle posate per interdire fiumi e spiagge, non contemplando quindi le mine navali, pone il problema dell’impatto sull’ambiente che, a causa delle esplosioni subacquee può essere deturpato o subire danni sensibili. L’Italia, come molte nazioni, ha ratificato il Protocollo nel 1984. per quanto riguarda l’ambiente, l’Italia è stata una delle prime nazioni ad impiegare sistemi di riduzione delle onde d’urto attraverso cortine gassose, una procedura che ha fornito eccellenti risultati durante le bonifiche in Adriatico.
United Nations Convention of Law of the Sea (UNCLOS III)
La ratificazione della terza Convenzione delle Leggi del mare delel Nazioni Unite ha comportato un possibile impatto sulle operazioni navali e quindi anche sulle operazioni di guerra di mine in tempo di pace. Prevedendo un’espansione delle aree territoriali a 12 miglia nautiche, la creazione di una successiva area contigua di 24 miglia e di una seguente zona economica esclusiva (ZEE) di 200 miglia, qualora dichiarata e ratificata, di fatto si viene a generare un’estensione dei diritti di sovranità economica alla piattaforma continentale ed agli arcipelaghi. Questo fattore potrebbe comportare, nel caso la nazione lo richiedesse, una riduzione teorica delle aree di alto mare in cui poter condurre operazioni navali fino al limite esterno della ZEE. Come menzionato precedentemente la convenzione dell’Aia non aveva infatti posto limiti geografici ben definiti se non da un generico “off the coast and ports of the enemy”.
L’estensione di queste nuove aree di sovranità potrebbe, in tempo di pace, fornire alla nazione la possibilità di effettuare in maniera legittima dei minamenti dichiarati a scopo protettivo. In caso di guerra, sebbene la questione sia controversa, la ZEE di una nazione neutrale potrebbe essere minata da uno stato belligerante a meno che tale intervento contrasti in maniera eccessiva con i diritti esclusivi di sfruttamento delle risorse attribuite allo stato costiero o comporti un danno all’ambiente (inquinamento).
Ambedue le situazioni comportano evidenti risvolti operativi in quanto potrebbe succedere che forze navali, sotto mandato dell’ONU, potrebbero dover operare, in tempo di pace, in prossimità di campi minati protettivi, legittimamente posati dalla nazione neutrale all’interno della sua ZEE, ottenendone una limitazione nei movimenti. Vada sè che, in situazioni di conflitto, l’eventuale impiego di campi minati offensivi a scopo di interdizione contro una nazione belligerante, dovrebbe essere soggetto al beneplacito dello Stato neutrale, che potrebbe legalmente opporsi qualora travisasse una ricaduta negativa sui propri interessi economici.
fine II parte – continua
Andrea Mucedola
in anteprima le fasi della posa di una mina ormeggiata:
1: Lancio in mare della mina da una nave
2: La mina galleggia(avendo un assetto positivo) mentre la zavorra affonda
3: la zavorra si srotola fino ad una lunghezza uguale a quella impostata ed apre il collegamento del rullo del cavo che collega l’ancora alla mina
4: L’ancora affonda e svolge il cavo di ormeggio
5: quando la zavorra raggiunge il fondale, la perdita di tensione fa richiudere il meccanismo per impedire un’ulteriore svolgimento del cavo di ormeggio e la zavorra si appoggia al fondo trascinando la mina
6: la mina è quindi posizionata alla profondità desiderata.
autore Martin Meise – opera propria – File:Legen einer Ankertaumine.svg – Wikimedia Commons – autore Martin_Meise
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).