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livello elementare
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ARGOMENTO: EMERGENZA PLASTICHE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: plastiche
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Abbiamo parlato sin dal 2015 dell’emergenza delle plastiche in mare, mostrando immagini terrificanti degli ammassi galleggianti negli oceani. Ma cosa sappiamo della dinamica di questi vortici?
In uno studio condotto da Lebreton et alii, del 2018, i ricercatori della Fondazione The Ocean Cleanup hanno pubblicato i risultati di una importante ricerca sugli accumuli delle plastiche nell’area ciclonica compresa tra la California e le Hawaii, tristemente famosa come la Great Pacific Garbage Patch (GPGP). L’esistenza di un ammasso di detriti plastici nel Pacifico fu preconizzata in un documento pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti. Le predizioni erano basate su risultati ottenuti da diversi ricercatori con base in Alaska che, fra il 1985 e il 1988, misurarono le aggregazioni di materiali plastici accumulati nelle regioni pacifiche dominate dalle correnti marine. Basandosi su ricerche effettuate nel Mar del Giappone, i ricercatori ipotizzarono che condizioni similari dovessero verificarsi in altre porzioni dell’Oceano Pacifico, dove le correnti prevalenti favorivano lo sviluppo di masse d’acqua relativamente stabili ovvero nelle zone di convergenza dei vortici subtropicale. Alcuni ricercatori oceanici, tra cui Charles J. Moore, ne investigarono a fondo la diffusione e la concentrazione nel Vortice subtropicale del Nord Pacifico. Fu così che il fenomeno venne alla luce negli Stati Uniti. Nel 2015 ne incominciammo a parlare su Ocean4future … e finalmente ora tutti ne parlano.
Gli scienziati della Fondazione The Ocean Cleanup, come esaustivamente descritto nello studio, hanno sviluppato un modello, basato sui dati dei sondaggi navali e aerei, e valutato che almeno 79000 (un numero stimato tra 45000 e 129000) tonnellate di materiali plastici galleggiano in un’area di 1,6 milioni di km2; la cattiva notizia è che si tratta di un’area da quattro a sedici volte superiore a quanto riportato in precedenza.
Questa differenza è emersa attraverso l’uso di nuovi metodi per quantificare i detriti più grandi. Oltre tre quarti della massa all’interno del GPGP era composta da detriti più grandi di 5 cm e almeno il 46% era costituito da reti da pesca. Le microplastiche rappresentavano l’8% della massa totale ma anche il 94% dei 1,8 miliardi (1,1–3,6) stimati che galleggiavano nell’area. La plastica raccolta durante la ricerca indica che solo alcuni tipi di detriti hanno la capacità di persistere e accumularsi sulla superficie del GPGP. Per cui ne deriva che l’inquinamento da plastica oceanica all’interno del vortice del Pacifico sta aumentando in modo esponenziale e ad un ritmo più rapido rispetto alle acque circostanti.
Vediamo di capire meglio
Lo studio fornisce una quantificazione e caratterizzazione dettagliata dell’accumulo di detriti plastici oceanica all’interno del Great Pacific Garbage Patch. I campionamenti raccolti in mare mostrano che questa regione oceanica è ora dominata da pezzi di polietilene (PE) e polipropilene (PP), che superano sostanzialmente gli altri detriti galleggianti artificiali e naturali. Nell’intento di voler raccogliere i rapporti percentuali tra megaplastiche, mesoplastiche e microplastiche sono stati utilizzati i sistemi aerei e satellitari più moderni, ricorrendo poi alla modellizzazione dei dati raccolti.
I dati di rilevamento aereo, combinati con osservazioni in situ tramite due diversi dispositivi di reti a strascico, hanno supportato una valutazione completa di tutti i detriti GPGP superiori a 0,05 cm. Il modello stima che questa enorme zona di accumulo contenga circa 42000 tonnellate di megaplastiche (come ad esempio reti da pesca fantasma, che rappresentavano oltre il 46% del carico GPGP), circa 20000 tonnellate di macroplastiche (casse, trappole per anguille, bottiglie di plastica ad uso domestico), circa 10000 tonnellate di mesoplastiche (es. tappi di bottiglia, distanziatori di ostriche) e circa 6400 tonnellate di microplastiche (per lo più frammenti di oggetti rigidi di plastica, corde e reti da pesca). Nello studio non ci sono dati in merito alle nanoplastiche.
barche per la ricerca oceanografica raccolgono i detriti galleggianti con delle reti a maglie diversificate
Le immagini aeree hanno permesso di valutare con maggiore precisione e velocità la dimensione degli oggetti osservati, cosa che ha permesso di ridurre le incertezze nelle stime basate sui dati ricavati dagli avvistamenti delle navi.
Perché questo aumento?
Le differenze tra le stime potrebbero anche essere attribuite ai livelli crescenti di inquinamento di plastica degli oceani nell’area e, in particolare, agli input plastici a seguito dello tsunami di Tohoku del 2011. Dopo l’evento si stima che 4,5 milioni di tonnellate di detriti siano finiti in mare, di cui il 70% potrebbe essere affondato rapidamente secondo il governo giapponese mentre il restante 30%, circa 1,4 milioni di tonnellate di detriti, potrebbero essere stati trasportati sulla superficie del mare su lunghe distanze, finendo nel vortice. Una conferma dell’origine viene dalla marcatura (34%) degli oggetti di plastica raccolti che riportavano etichette “made in” per lo più in giapponese (30%) e cinese (29,8%). Considerando gli input globali stimati di materie plastiche nell’oceano il modello di dispersione suggerisce che il contributo dello tsunami di Tohoku del 2011 rappresenterebbe circa il 10-20% dei detriti immessi nel vortice pacifico.
debris trasportati in mare dopo il passaggio dello Tsunami … i più pesanti affondarono nel tempo … gli altri continuano a galleggiare negll’oceano
Nonostante un aumento della stima della massa dei rifiuti plastici, resta comunque una grande discrepanza tra le concentrazioni plastiche oceaniche previste dai modelli e quelle osservate. Considerando gli input plastici da fonti terrestri e marine, il modello globale prevedeva che milioni di tonnellate di plastica oceanica si trovassero all’interno della regione GPGP, mentre ne sono state trovate solo decine di migliaia di tonnellate. Questa differenza di grandezza di due ordini suggerisce l’esistenza di qualche meccanismo sconosciuto che rimuove la maggior parte della massa plastica dalla superficie del mare facendola affondare o frammentandola in pezzi più piccoli di quelli quantificati (<0,5 mm).
Una considerazione interessante
La plastica galleggiante rappresenta circa il 60% della domanda globale di plastica, quindi quasi la metà dell’input di plastica negli oceani dovrebbe affondare sul fondo subito dopo il rilascio, accumulandosi nei sedimenti e nei canyon sottomarini. Il resto può finire in costa, per lo più sulle spiagge, ingerito dalla vita marina o rimosso dalla superficie del mare a causa della perdita di galleggiabilità dovuta al biofouling o all’aggregazione. Le caratteristiche specifiche dei detriti suggeriscono inoltre che solo alcuni tipi di plastica hanno la capacità di persistere sulla superficie del mare per lunghi periodi di tempo e accumularsi nei punti dell’inquinamento plastico oceanico.
chilometri di reti fantasma sono presenti nel grande vortice pacifico. Trappole mortali per gli animali marini e detriti che presentano un degrado di centinaia se non migliaia di anni
In primo luogo, la stragrande maggioranza degli oggetti raccolti all’interno della GPGP erano realizzati in plastica rigida, PE e PP, e reti da pesca e cime. Tuttavia, raramente sono stati trovati film plastici, che rappresentano circa il 37% della produzione di rifiuti in PE e PP. Questo fa ipotizzare che la maggior parte della plastica galleggiante con rapporti volume-superficie insufficienti (come i film) non possa mai raggiungere le acque superficiali dei vortici poiché potrebbero affondare rapidamente sul fondo del mare a causa del biofouling o a frammentarsi in pezzi microscopici che, rimossi dagli strati superficiali, si trasformano in nanoplastiche.
In secondo luogo, almeno la metà delle materie plastiche GPGP raccolte era composta da oggetti provenienti da fonti marine, mentre le ampiezze relative delle fonti considerate nel modello prevedevano che i contributi di massa delle materie plastiche terrestri, sebbene inferiori alla media globale, continuerebbero a dominare in questi ambienti offshore. Questa discrepanza potrebbe essere dovuta alle differenze nell’entità di alcuni processi di rimozione tra materie plastiche terrestri e marine che non sono state prese in considerazione. Secondo lo studio, lo spiaggiamento è uno di questi processi in quanto può principalmente rimuovere le materie plastiche che vengono scartate negli ambienti costieri attraverso il trasporto del moto ondoso e delle onde di marea.
La persistenza delle materie plastiche di origine marina potrebbe anche essere attribuita alla loro durevolezza appositamente progettata per l’ambiente acquatico. Per quanto sopra i ricercatori ritengono che pesca, acquacoltura e trasporto marittimo siano responsabili del 28,1% degli input plastici globali negli oceani, sulla base dei dati di pulizia costiera; tuttavia, le osservazioni in mare possono portare a stime molto più elevate dei carichi di plastica persi o scartati in mare. Poiché la pesca, la navigazione e l’acquacoltura si intensificano a livello globale, è fondamentale quantificare e mitigare meglio questa significativa fonte di plastica oceanica altamente persistente.
Infine, sembra che la maggior parte delle materie plastiche che si accumulano nella regione pacifica sia difficilmente trasportata dai venti (il modello prevede che il GPGP sia dominato da oggetti con coefficiente di deriva basso o nullo). La maggior parte degli oggetti catturati dalle reti da traino non mostravano di assorbire aria e sembravano completamente sommersi. Ad esempio le reti fantasma, che hanno contribuito maggiormente alla massa totale della plastica nel GPGP, hanno generalmente una lunghezza di diversi metri e pertanto è improbabile che siano stati influenzati dal trasporto del vento.
Il modello suggerisce quindi che detriti con maggiore deriva vengono trasportati su aree più estese, con una maggiore probabilità di arenamento, al di fuori delle zone di accumulo oceaniche. I dati storici (1970-2015) indicano che i livelli di inquinamento da plastica stanno aumentando esponenzialmente all’interno del GPGP e ad un ritmo più rapido rispetto alle acque circostanti. Sebbene ciò non significhi necessariamente che i vortici siano i punti finali di accumulazione l’afflusso di massa di plastica è maggiore del deflusso. Il tasso di degradazione dei polimeri sintetici nell’ambiente marino è poco compreso, ma è noto che dipende dalle condizioni ambientali locali, dai tipi di polimeri, dalla forma e dal rivestimento degli oggetti. La presenza relativamente elevata di macroplastiche, con date di produzione degli anni ’70, ’80 e ’90 rispetto ai detriti più recenti, suggerisce che tipi specifici di plastica persistono e si accumulano nella Regione.
Essendo la massa di materie plastiche galleggianti distribuita principalmente in macro e megaplastica gli scienziati ritengono che sia difficile stimare quanto tempo impiegherà tutto il materiale attualmente presente nel vortice pacifico a degradarsi in pezzi più piccoli e, alla fine, a sfuggire alle acque superficiali del mare.
Conclusioni
Sebbene la ricerca fornisca una valutazione completa nella GPGP è necessaria una quantificazione degli input e degli output dei materiali plastici da e verso il vortice per valutare meglio il tempo di permanenza delle materie plastiche che si accumulano in quest’area del Pacifico. Sono quindi necessari ulteriori sforzi di ricerca per quantificare le fonti di plastica oceanica, i processi di trasporto e perdita e, successivamente, implementarle nei modelli di trasporto di plastica negli oceani.
Ad esempio, le tecnologie di telerilevamento aeree e satellitari possono aumentare drasticamente la nostra conoscenza del trasporto di plastica oceanica e certamente rappresentano una grande prospettiva per il futuro del campo di ricerca sulla diffusione delle plastiche negli oceani. Va menzionato che Teledyne Optech ha annunciato che il loro sistema CZMIL (Coastal Zone Mapping and Imaging LiDAR) ha effettuato con successo una serie di voli di rilevamento a bassa velocità e bassa quota attraverso la Great Pacific Garbage Patch.
In sintesi, lo studio fornisce molte informazioni utili ai ricercatori che si applicano nelle aree cicloniche di accumulo delle materie plastiche e si rimanda ad una sua lettura accurata per ottenere maggiori dettagli sui metodi utilizzati.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).