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livello elementare
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ARGOMENTO: OCEANOGRAFIA
PERIODO: XX-XXI SECOLO
AREA: OVUNQUE
parole chiave: oceanografia, SSS, multibeam
La ricerca oceanografica moderna viene condotta con l’impiego di diversi strumenti tecnologici di origine militare che vengono oggigiorno impiegati in tutti campi di ricerca civile ed industriale. Le ricerche nel campo dell’off-shore petrolifero hanno portato alla scoperta di oggetti sul fondo ad alta profondità, testimoni della nostra storia passata.
Certamente un aiuto non sperato da parte degli archeologi che avevano posto il limite della loro ricerca a quote raggiungibili dagli esseri umani con attrezzature autonome subacquee. Oggi, tra i nuovi mezzi troviamo i sonar multi-beam che vengono utilizzati per ricostruire, attraverso il matching di diverse immagini acustiche, una visione complessiva della morfologia e del substrato del fondale marino. Questi sistemi, un tempo estremamente costosi, sono oggi a relativamente buon mercato e forniscono prestazoni straordinarie graze alla possibilità di operare a diverse frequenze ottenendo una risoluzione dai 5 ai 50 metri. Le immagini ottenute consentono di restringere le aree e concentrare la ricerca in un secondo passaggio utilizzando un altro tipo di sonar detto “a scansione laterale”. A differenza dei sistemi multi-beam montati a scafo, un sonar a scansione laterale (SSS, side scan sonar) non è collegato direttamente alla struttura della nave ma viene trainato da un cavo a poppa e mantenuto con immersori e divergenti ad una certa profondità dal fondo. Per una maggiore efficienza, essi devono essere mantenuti quanto più vicini al fondo per fornire immagini di qualità quasi fotografica. Esistono SSS che possono essere trainati anche da imbarcazioni di limitate dimensioni con risparmi notevoli sui costi.
RICERCA E ACQUISIZIONE
Le asperità del fondo possono essere quindi analizzate tramite sistemi acustici di vario tipo che possono essere alloggiati nella nave di ricerca, trainati o inviati in determinate aree da esplorare opernado sotto controllo diretto o autonomamente. In quest’ultimo caso parliamo di veicoli autonomi subacquei (AUV) e di glider, mezzi subacquei che, operando senza necessità di un collegamento fisico con la superficie, possono essere rilasciati in determinate posizioni ed operare senza necessità di controllo continuo anche per lunghi peridodi. Al termine della missione essi riemergono al tempo e vengono recuperati dallo staff. L’utilizzo dei dati è quindi non in real time e viene effettuato semplicemente effettuando il download degli stessi tramite un software di valorizzazione.

Un ROV Apache, dotato di sistema di fotogrammetria, durante la fase di acquisizione dati sul relitto di Cap Bénat 4 a 328 metri di profondità. Scatto effettuato dal ROV Super Achille photo credi Pierre Drap – Centre National de la Recherche Scientifique, Marseille, France
IDENTIFICAZIONE
Accenniamo anche alla terza fase ovvero l’identificazione. Per definizione essa viene ottenuta solo attraverso la diretta visione dell’occhio umano o con immagini raccolte in tempo reale da un veicolo subacqueo filo-guidato (ROV). Questi veicoli subacquei, che necessitano il pilotaggio remoto tramite un cavo in genere in fibra ottica, consentono esplorazioni anche molto profonde dalla superficie e possono fornire in tempo reale immagini dell’oggetto investigato. I ROV possono essere rilasciati anche da minisommergibili oceanografici per effettuare esplorazioni particolari.
La raccolta di grandi quantità di dati richiede quindi un’analisi accurata dei risultati che richiede software dedicati, esperienza e conoscenze. |
Ma come si effettuano queste ricerche?
La ricerca di relitti sul fondo richiede molto lavoro. Dopo la necessaria pianificazione a tavolino, comprendente una valutazione multidisciplinare dell’area di ricerca, è necessario concentrarsi sugli aspetti morfologici e sedimentologici del fondo. La conoscenza della geologia marina nell’area di ricerca consente di semplificare l’individuazione di anomalie acustiche che possono rivelare la presenza dei resti di un relitto. Ad esempio, forme troppo lineari possono essere delle rocce ma anche un oggetto sconosciuto che non può essere spiegato geologicamente.
In secondo luogo, echi simili a rocce nel mezzo di una vasta distesa di sedimenti sciolti, come sabbie o argille, non sono comuni. Per cercare oggetti solidi sui patch di sedimenti è necessario quindi esaminare sia la batimetria multibeam che i dati di backscatter. La batimetria ci fornisce l’informazione della profondità e dell’altezza dal fondo dell’oggetto mentre l’eco di backscatter da un indice di presenza di oggetti “anomali”.

F1 – Multibeam sonar bathymetry image of Japanese submarine I-400. NOOA
Qualche esempio di vita vissuta
Il primo evento che voglio brevemente raccontare fu la ricerca di un peschereccio in Adriatico nel 1986. Il relitto era stato stimato all’interno di un’area di circa venti chilometri quadrati, ad una profondità di 130 metri, su un fondale piatto e sabbioso. La ricerca venne fatta con un sonar ad alta frequenza VDS (ovvero un sonar a profondità variabile collocabile ad una certa quota tramite il cavo di un verricello). Teoricamente doveva essere una ricerca semplice ma fu complicata da un fattore inaspettato: la presenza di molti echi sul fondo che davano un forte backscatter, confondendo la visione di insieme. A quell’epoca i sidescan non erano ancora disponibili per cui ogni eco veniva investigato con un sistema ROV (PLUTO della Gay Marine). Le immersioni con ROV non rivelarono nulla di anomalo se non un vasto altopiano sabbioso. Dopo tre giorni di incessanti ricerche, in realtà scoprimmo che gli echi erano causati dalle numerosissime tane di granchio che creavano un forte backscatter.

trent’anni dopo, un modernissimo Pluto gabbia, ad oltre 1000 metri di profondità, procede all’investigazione di un relitto
La procedura fu la seguente. Poggiato il ROV sul fondo con i motori spenti per non alzare sospensione, attendemmo qualche minuto per far depositare il sedimento sollevato dalle eliche del veicolo subacqueo. Con grande sorpresa vedemmo fuoriuscire da dei minuscoli fori di forma semisferica sul fondo una miriade di granchi che, ristabilita la pace disturbata dal ROV, avevano ripreso i loro movimenti. Un bel problema tecnico da risolvere per trovare quel relitto che, nonostante le sue dimensioni, restava mascherato da quel diffuso e forte rumore ambientale. La scoperta avvenne l’ultimo giorno quando mi accorsi che in una certa posizione, a mezz’acqua, era sempre visibile un’eco assimilabile ad un branco di pesci. L’investigazione con il ROV scoprì che si trattava dei galleggianti delle reti del peschereccio, che puntavano verso l’alto. Il disturbo di backscatter aveva coperto il piccolo peschereccio ma l’analisi dei dati nel volume ci consentì di correlare le risposte acustiche ed effettuare una scoperta in altro modo impossibile a causa del combinato effetto delle scabrosità del fondo e delle reti.

Tirreno Settentrionale, immagine side scan di fondale con un’alternanza di rocce e banchi sabbiosi su quali si identificano delle ripple di sabbia storiche – photo credit andrea mucedola
Un altro buon esempio di come la scabrosità del fondo possa nascondere un relitto fu la scoperta di un relitto da parte del NOOA, avvenuta nel 2016, durante la spedizione MARANAS. L’Okeanos Explorer condusse un’immersione su un’anomalia che in seguito si rivelò essere un Boeing B-29 precipitato poco dopo il decollo. I suoi resti (circolati in rosso) sono scarsamente visibili nell’immagine in F2.

F2 -Multibeam backscatter image of a Boeing B-29 Superfortress off Tinian Island. Data collected by NOAA Ship Okeanos Explorer.
L’immagine seguente (F3) mostra invece l’eco di un F6F Hellcat, chiaramente visibile nella parte destra. Le condizioni di integrità dell’aereo consentirono, su un fondale tutto sommato poco accidentato, la sua scoperta.

F3 -Side scan sonar image of an F6F Hellcat fighter plane (lower right) off Pearl Harbor, Oahu. NOOA
Le fonti riportarono che l’aereo, che era in prossimità di Pearl harbour, fu costretto all’ammaraggio; il velivolo restò in galleggiamento per un pò, quindi lentamente scese dolcemente verso il fondo del mare mantenendosi intatto. Purtroppo non è sempre così facile ritrovare questi oggetti.
Un altro fattore da considerare è il software utilizzato per acquisire e valorizzare i dati acustici. Il moderno trattamento dei dati consente di filtrare informazioni aberranti e ricostruire intelligentemente i bersagli posti sul fondo. Nella Figura F2, si osserva come, eliminando molte delle patch scure a sinistra del bersaglio tramite il software SIS (Seafloor Imaging Systems), fu possibile comunque estrapolare l’oggetto.
Oggigiorno i software commerciali di elaborazione delle immagini sono integrati nei modern sistemi GIs, come ArcGis, che consentono la valorizzazione ed organizzazione dei dati nonché la possibilità di effettuare filtraggi successivi ad hoc. Un esempio di ciò che si può fare, per estrarre quante più informazioni possibili dai dati, è mostrato nella Figura 4. Invece di eseguire la griglia dei dati multi-beam, in una superficie continua liscia, i ricercatori del NOOA esaminarono i dati grezzi del punto che rivelarono dettagli che sarebbe stato difficile se non impossibile vedere diversamente se filtrati a monte.

F4 – Raw multibeam point data of suspected wreck of Japanese destroyer Hayate. NOOA
L’oggetto in Figura 4 fu ritrovato nella zona di Wake Island, dove il cacciatorpediniere giapponese Hayate fu affondato durante la battaglia di Wake nel 1941. Secondo i resoconti dei testimoni oculari, la Hayate si spezzò a metà dopo essere stata colpita da una batteria di terra. L’anomalia sembra essere troppo lineare per essere una formazione rocciosa naturale e si ritiene che la leggera “piega” del bersaglio rappresenti la rottura delle due parti del cacciatorpediniere. Essendo molto vicine, l’una vicina all’altra, si ipotizza che la nave dopo essere stata colpita non si spezzò a metà, sprofondando negli abissi in questa conformazione contorta. Vista la profondità, la risposta definitiva potrà pervenire solo nella fase successiva di identificazione ed esplorazione con i mezzi filo-guidati.

2014 immagine sonar scan del HMS Erebus (Parks Canada/The Canadian Press via AP)
In sintesi, la ricerca archeologica di relitti antichi a grandi profondità con metodi acustici è ormai una soluzione disponibile per tutti i ricercatori del terzo millennio, che possono trovare nuove risposte ai misteri fino ad oggi celati negli abissi. Importanti scoperte, come i relitti del Mar Nero e delle acque canadesi (HMS Erebus) dimostrano come l’Uomo può oggi raggiungere virtualmente tutti gli abissi e disegnarne i contorni come in un video gioco. La differenza che questo è reale.
Andrea Mucedola
immagini F1 F2 F3 F4 di proprietà NOOA da Identifying Deepwater Historic Wreck Sites Using Multibeam Sonar Data di Gary Fabian
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.