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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVII – XVIII SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Genova, contrabbando
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Diplomazia e regole d’ingaggio
I blocchi navali e, più in generale, le operazioni di lotta al contrabbando furono accompagnate costantemente da iniziative diplomatiche volte ad ottenere leggi e bandi «proibitivi» da quelle potenze straniere i cui sudditi commerciavano con i ribelli. La diplomazia, dal punto di vista formale, ottenne quasi sempre successo. Non mancarono tuttavia le eccezioni: ad esempio i rapporti tenuti con la Francia nei primi anni Trenta furono tanto difficili da portare il Serenissimo Governo alla decisione di vietare ai propri bastimenti di intercettare e visitare i legni transalpini, al fine di scongiurare incidenti ed eventuali ritorsioni. L’analisi comparata delle fonti diplomatiche e di quelle consolari ci impone, tuttavia, di fare un distinguo fra l’atteggiamento accondiscendente delle corti straniere e la scarsa efficacia pratica delle misure che esse adottarono. I bandi ed i decreti proibitivi furono emessi senza troppe difficoltà, ma la loro reale applicazione si rivelò tutt’altra cosa. La pubblicazione delle gride non escluse infatti che autorità locali compiacenti trovassero sistematicamente espedienti per eluderle oppure, più semplicemente, le ignorassero. E a poco servirono le continue proteste del Serenissimo Governo. I bandi, inoltre, risultavano di scarsa efficacia anche nei pochi casi in cui venivano applicati con zelo.
I contrabbandieri, infatti, avevano a propria disposizione un’ampia gamma di espedienti per eluderli, come ad esempio la falsificazione dei documenti di navigazione, la vendita simulata del bastimento e altri meccanismi che permettevano di celare la natura del carico e di ricorrere al mimetismo di bandiera. L’altro punto debole dell’azione diplomatica genovese fu la posizione della corte di Firenze su Livorno. Già nel 1731 il governo toscano precisò che nel porto labronico non si poteva impedire in alcun modo il traffico verso la Corsica, per rispetto delle leggi di portofranco.
Livorno restò quindi esente da ogni grida emessa dal governo toscano e, non a caso, sarà per tutto l’arco delle guerre di Corsica la principale base del contrabbando ribelle. La forbice esistente fra l’atteggiamento formale delle corti straniere e l’inefficacia pratica delle misure da esse adottate ebbe notevoli risvolti sulle operazioni di polizia. Il governo genovese, preoccupato di non generare incidenti che andassero a discapito della buona disposizione di dette corti, istruì dettagliatamente i comandanti dei propri bastimenti di agire con molta cautela sia verso i legni stranieri visitati in alto mare sia verso quelli intercettati nelle acque dell’isola, e di procedere solo contro quelli che fossero risultati palesemente in difetto. Inutile dire che tale prudenza andava a ledere l’efficacia dell’azione di controllo; ma d’altra parte nei momenti in cui l’azione repressiva si fece più incisiva le proteste delle corti italiane e delle potenze europee si levarono con tale veemenza da indurre immediatamente la Repubblica a più miti consigli. È facile intuire come in un quadro siffatto la raccolta di informazioni rappresentasse un fattore di fondamentale importanza. L’apparato diplomatico e quello consolare da sempre aveva tra le sue principali funzioni quella della raccolta e trasmissione delle notizie che arrivavano in quei crogioli di uomini, nazioni e culture che erano i porti di mare. Fin dall’esordio della prima sollevazione il Serenissimo Governo ordinò ai propri consoli di fornire ogni possibile ed utile notizia sui traffici dei ribelli.
La corrispondenza che essi inviarono a Genova durante le guerre di Corsica dimostra ampiamente come eseguirono con zelo tale compito, avvalendosi di reti di informatori, nel caso dei consoli organizzate nelle città portuali dove risiedevano e spesso estese agli scali e alle città vicini. I ministri e i consoli non erano tuttavia l’unica fonte di informazione per i comandanti dei legni armati genovesi. Ogni battello incontrato da un legno militare durante la navigazione poteva fornire notizie della più svariata natura. Sull’attendibilità di tali notizie, tuttavia, non si poteva far sempre conto, in particolare se il bastimento era straniero e apparteneva a una delle marinerie coinvolte nei traffici di contrabbando. La raccolta sistematica di notizie permise: in primo luogo di identificare i contrabbandieri stranieri; in secondo luogo di smascherare i còrsi che utilizzavano documenti contraffatti e bandiere ombra; infine di concentrate l’azione repressiva solo sui navigli sospettati di avere a bordo merci proibite. In aggiunta a tutto ciò l’azione di intelligence fece emerge dall’ombra le reti di interessi e compiacenze che, a vari livelli, ruotavano intorno ai traffici dei sollevati.
Conclusioni
Nonostante l’ampiezza e l’incisività dell’azione genovese il controllo degli spazi marittimi si rivelò alquanto problematico principalmente per due ordini di motivi, strettamente legati l’uno all’altro. In primo luogo per la scarsa capacità di esercitare il controllo da terra. A causa della pressione militare dei ribelli e delle difficoltà finanziarie della Repubblica, infatti, la truppa genovese fu in grado di presidiare solo una porzione ridotta delle numerosissime torri costiere che si susseguivano a breve distanza lungo i litorali dell’isola. 6 In secondo luogo non si verificarono mai, sempre per problemi di bilancio, i fattori che avrebbero permesso di compensare l’inconsistenza della presenza stanziale sulle coste: mi riferisco alla disponibilità di truppe leggere in grado di intervenire tempestivamente sul territorio operando in un ambiente largamente ostile, e alla mobilitazione di un gran numero di bastimenti per coprire con un pattugliamento costante e capillare l’estesissimo perimetro dell’isola.
Si tenga anche presente che la progressiva riduzione dei presidi costieri andò ad influire negativamente sul controllo del mare sia direttamente che indirettamente, in quanto provocò la perdita di altrettante basi e punti di appoggio per i battelli armati genovesi e centri di produzione, raccolta e trasmissione delle informazioni. Tale fattore risultò penalizzante specialmente in inverno, quando il clima condizionava la capacità operativa degli armamenti, costringendoli a soste più frequenti e prolungate. Genova tentò di far fronte a queste debolezze di fondo ricorrendo, in parte, alla buona disposizione dei notabilati locali e alle forze paramilitari che questi potevano mobilitare su base clientelare. I risultati ottenuti furono alquanto differenti a seconda dei casi. È utile tuttavia evidenziare una tendenziale, e potremmo dire quasi naturale, prevalenza dei particolarismi e degli interessi di fazione, specialmente in condizioni come queste in cui lo Stato, in una situazione di guerra conclamata o comunque latente, delegando il controllo del territorio ammetteva in sostanza l’incapacità di esercitarlo direttamente. A questi fattori di debolezza di carattere operativo si aggiunse la parziale inefficacia dell’azione diplomatica, in particolare per la reticenza del governo toscano a prendere provvedimenti restrittivi verso i contrabbandieri che usavano Livorno come base, e per l’atteggiamento di generale compiacenza delle autorità delle città portuali napoletane, toscane, sarde, pontificie e francesi, anche a scapito dei bandi proibitivi emessi dai rispettivi governi. Concludendo si deve rilevare come il tentativo di reprimere il contrabbando nel teatro bellico còrso comportò un impegno complesso e articolato che diede alcuni risultati di rilievo, ma si rivelò alla prova dei fatti superiore alle risorse che la Repubblica era in grado di dispiegare. Il sostanziale fallimento di tale tentativo ci aiuta a comprendere come per una piccola potenza di antico regime l’effettivo controllo del territorio, in assenza di apparti di polizia adeguati, fosse assai arduo da realizzare senza il consenso dei poteri locali. Nel suo recente lavoro sui controlli di sanità nello Stato genovese Giovanni Assereto ha dimostrato come la Repubblica, durante le epidemie di peste, fosse in grado di dispiegare nei suoi domini un capillare ed organico dispositivo di controllo delle coste, tanto in terra quanto in mare. E il controllo fiscale, come è facile intuire, si affiancava a quello sanitario. Tuttavia l’efficacia di detto apparato era legata alla disponibilità di strumenti (quali, ad esempio, le guardie di sanità) la cui mobilitazione dipendeva da due fattori fondamentali: il consenso dei poteri locali e l’effettiva collaborazione della popolazione. Due fattori che erano relativamente facili da ottenere in un territorio su cui incombeva lo spettro della peste, ma un po’ meno in un’isola scossa per quasi quarant’anni da una serie interminabili di sollevazioni contro il suo sovrano.
Prof. Emiliano Beri
NavLab – Laboratorio di Storia marittima e navale
presentato al convegno “Contrabbando e legalità: polizie a difesa di privative diritti sovrani e pubblico erario”. Università degli studi di Messina, Messina 1-3 dicembre 2011
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Emiliano Beri si è laureato con lode in Storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova. Nel 2011 vi ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia, discutendo una tesi sulle guerre di Corsica del medio Settecento. Dal 2012 al 2016 è stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia e Geografia dell’Università di Genova. Negli anni accademici 2016-17 e 2017-18 ha insegnato Storia sociale nel corso di Laurea triennale in Storia e Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze Storiche della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. Per l’anno accademico 2018-19 è stato docente aggregato di Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze storiche della stessa Scuola. A partire dall’anno accademico 2019-20 è docente aggregato sia di Storia militare che di Storia sociale.