ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: SICUREZZA MARITTIMA (MARITIME SECURITY)
parole chiave: Geopolitica, instabilità
Quali sono le cause di instabilità a livello internazionale? Perché il mare è elemento cardine della risoluzione delle crisi? Che cosa ci riserverà il futuro? Questo articolo vuole sintetizzare un mondo in continua trasformazione il cui futuro si giocherà ancora negli oceani.

il team ispettivo del HMAS Toowoomba conduce un controllo su un Boum Jelbut Dhow, durante l’operazione Manitou, nell’ambito della campagna di sorveglianza marittima internazionale contro il terrorismo, il contrabbando e la contraffazione in Medio Oriente, un’area di oltre due milioni di miglia quadrate, comprendente il Mar Rosso, il Golfo di Aden, il Golfo Persico, l’Arabia Saudita Mare, Oceano Indiano e il Golfo dell’Oman.
Dalla fine della guerra fredda l’impiego delle forze aeronavali per il controllo degli oceani non è diminuito. Se vogliamo la natura asimmetrica delle guerre moderne ha aggiunto una dimensione ai conflitti tradizionali che necessitano quindi di assetti diversi, dedicati, e distaccati per lunghi periodi in aree dove il supporto logistico non è sempre assicurato. Le operazioni di sicurezza marittima sono però attività estremamente costose e le moderne marine militari stanno cercando di soddisfare, anche se con gran fatica, il numero crescente di richieste politiche, ottimizzando sia l’impiego delle unità aeronavali che la cooperazione. Un compito non facile perché la coperta, alla fin fine, è sempre corta.
Ma come è cambiato l’impiego delle forze aeronavali nel III millennio?
Dove un tempo regnavano le corazzate, strumenti statici di affermazione politica, oggi troviamo navi multi-ruolo, dotate di grandi capacità di comando e controllo, che gestiscono operazioni di polizia per preservare la sicurezza e la stabilità delle rotte marittime. Un compito non facile in quanto “fare molto con poco” è un’equazione complessa se non senza soluzioni, resa ancora più impervia dalle incertezze politiche che caratterizzano questo nuovo millennio.
Quale futuro?
Per prevedere cosa ci riserverà il prossimo futuro ci vorrebbe davvero una sfera di cristallo. Gli studiosi di geopolitica aggiornano continuamente le loro previsioni che sono basate sulle trasformazioni continue degli scenari mondiali; in realtà, al di là delle interpretazioni sulle “nuove” politiche delle superpotenze e sui ruoli dei Paesi emergenti, i fattori che entrano sempre più in gioco sono ben altri. Di fatto, tutti si rendono conto che la dinamicità del mondo in cui viviamo, combattuta tra globalismo e neo sovranità nazionali, apre delle riflessioni che vanno oltre gli aspetti puramente politici ma includono, in un gigantesco contenitore, elementi legati alla sopravvivenza della nostra specie. La situazione internazionale potrebbe quindi sfuggire di mano con conseguenze imprevedibili nel campo marittimo.
Allo stato attuale ogni ipotesi ha le sue valenze e possiamo solo cercare di stimare le tendenze politiche ed economiche che potrebbero influenzare solo in parte il futuro. In realtà, leggendo i lavori di molti gruppi di pensiero (come il saggio Multiple Future, prodotto dallo staff dell’Allied Command Transformation), ci accorgiamo che fattori considerati un tempo minimali assumeranno un peso sempre maggiore e potrebbero soppiantare qualsiasi dottrina di affermazione politica basata sulla deterrenza.
Una strada senza ritorno o qualcosa di già visto?
In realtà non c’è niente di nuovo e ogni giorno stiamo rileggendo pagine di un vecchio libro abbandonato in cantina ma sempre valido. Tutto è già accaduto negli ultimi ventimila anni e purtroppo accadrà ancora. L’instabilità regna da sempre sul pianeta solo che sfoga in tutta la sua pericolosità quando emerge una mancanza di visione politica. Questo può provocare il collasso dei Paesi dominanti (l’impero Romano) o una serie infinita, uno stillicidio, di piccoli conflitti che provocano emergenze sociali sempre più devastanti.

Mappa dell’instabilità sociale attuale e delle tensioni interne di ogni singola nazione. La situazione andrà a peggiorare a causa della lotta per le risorse e per i cambiamenti climatici che genereranno aree invivibili a meno di interventi globali di sostegno … Fonte articolo
Instabilità politica e sociale
L’instabilità dipende da molti fattori che richiederebbero ognuno un’analisi approfondita. In estrema sintesi potremmo dire che essa deriva dall’effettiva incapacità di fornire alle persone ciò di cui hanno bisogno. Dall’era industriale, le Nazioni hanno cercato di colmare il calice amaro della povertà delle classi meno agiate con il progresso tecnologico. Apparentemente, nei paesi più sviluppati, viviamo meglio di come vivevano i nostri antenati, un centinaio di anni fa. Siamo in grado di comunicare e di muoverci con facilità ed abbiamo strutture sanitarie che consentono di diagnosticare malattie e trattare disagi sociali un tempo senza speranza. Lo sviluppo delle scienze ci prospetta una vita migliore attraverso lo sviluppo di strumenti sempre più efficienti. Tuttavia, il progresso non è gratuito e richiede sempre più materie prime il cui flusso deve essere assicurato da un ambiente geopolitico ed economico assicurato, in termini di sicurezza globale. Una maggiore richiesta comporta la necessità di approvvigionare beni e trasferirli da zone diverse verso i siti di produzione. La maggior parte di questi beni primari sono però situati in zone dove il social divider è molto forte e dove esistono differenze sociali importanti.
Le popolazioni di quelle regioni combattono giorno per giorno con gravi conflitti interni, fame, malattie endemiche, disorganizzazione sociale sistemica e amministrazioni corrotte. Il fenomeno migratorio attuale è la logica conseguenza dell’insieme di queste drammatiche problematiche. Il fenomeno, da tempo messo in agenda dalle Nazioni Unite con il nome di “Environmental Peacekeeping” prevede una forza d’intervento sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza, in grado di operare in situazioni di “conflitto ambientale”. A causa dei cambiamento climatici ci sarà un’esacerbazione delle situazioni di crisi e, probabilmente, più del 40% delle guerre saranno collegate alle risorse naturali essenziali come l’acqua, le risorse ittiche e la terra da coltivare.
La globalizzazione ha esacerbato queste situazioni, aumentando la forbice sociale e vendendo, tramite i mass media, facili illusioni di benessere che portano quei disperati a migrare verso zone ritenute (erroneamente) più idonee per la loro sopravvivenza.
La storia ci insegna che questo fenomeno, sebbene comprensibile, sia foriero di seri problemi sociali. Gli Umani, da circa 70000 anni si sono sempre spostati verso aree più floride, invadendo altri popoli per acquisire maggiori risorse e ricchezze. Questi “spostamenti” furono evitati dai grandi imperi con rigide politiche di controllo delle frontiere che, quando vennero a meno, provocarono la caduta degli stessi. Le interazioni forzate, vere e proprie invasioni, causarono guerre sanguinose, spesso giustificate con motivi religiosi, che furono risolte solo con la vittoria di una parte sull’altra. Oggigiorno, per facile ipocrisia, spesso usiamo il termine “situazione di crisi” per non utilizzare la parola guerra, sinonimo di un fallimento delle politiche estere. Non importa che siano conflitti conclamati o di guerra fredda, gli effetti sulla stabilità sociale sono però gli stessi.
Un altro grande problema è la comprensione tra i popoli, un traguardo auspicabile ma molto difficile da raggiungere. Nonostante secoli di dissertazioni filosofiche abbiano permesso alla nostra società di diventare ciò che siamo, altri Paesi del mondo hanno avuto uno sviluppo sociale diverso, non sempre paragonabile con il nostro (nel male e nel bene). Queste ovvie differenze tra differenti civiltà sono spesso alla base dell’intolleranza che causa forti reazioni sociali, dall’estremismo al fondamentalismo.
Nei secoli, nel mondo occidentale siamo sanguinosamente passati attraverso lotte di religione e guerre sanguinose che spesso hanno coinvolto tutto il mondo conosciuto ma le lezioni apprese non sembrano essere state comprese. Esistono tuttora situazioni non risolte che ci affliggono, favorendo sentimenti xenofobi irrazionali che derivano principalmente dall’ignoranza delle masse. Esse sono state nel tempo diseducate, svuotandole della loro cultura e riempiendo il vuoto della loro ormai limitata capacità analitica con programmi demenziali e talk show. Un fenomeno comune che si riscontra nei Paesi occidentalizzati è l’abbassamento culturale medio. Nonostante la maggiore disponibilità dei mezzi di comunicazione il livello medio di educazione è preoccupante. Un terreno fertile per fake news, utili strumenti per la manipolazione della verità oggettiva.
Una domanda che spesso sorge spontanea è se ci siamo veramente evoluti in questi ultimi duemila anni?
Ascoltando le notizie di tutti i giorni ci si rende conto che in realtà non siamo ancora usciti dalla foresta. Le notizie mostrano una società occidentale indebolita, in continuo affanno, che sta perdendo la propria identità e le proprie radici. Ma la cosa ancor più grave è che questa opinione è condivisa dalle altre civiltà.
La tanto solennizzata globalizzazione, universalmente benedetta come strumento di comune benessere, alla fine ha rivelato un suo lato oscuro distruggendo rapporti sociali, di fatto creando spesso le basi di maggiore instabilità.
Il ceto medio è stato cancellato e le identità nazionali sono state indebolite sotto l’illusione di un “comune” benessere economico. Di fatto la globalizzazione ha comportato un pericoloso indebolimento delle sovranità nazionali giustificandolo come un avvicinamento (o forse dovrei dire un appiattimento) tra i popoli.
Può esistere una pan-cultura o dobbiamo guardare al futuro come un insieme di differenti culture unite solo dall’interesse comune?
Le esperienze del XX secolo ci hanno fatto comprendere che la ricerca di un livellamento sociale, economico e culturale mondiale, chiamato globalizzazione, è fallimentare. Nel III millennio non possiamo pensare di cambiare il modo di pensare degli altri. La trasformazione sociale è un processo lento che dovrebbe essere digerito attraverso secoli di discussioni interne. Il nostro “arrogante” pensiero di essere in grado di cambiare il modo di vivere con la tecnologia è puramente un utopia e sta iniettando il seme della ribellione nelle generazioni più giovani che spesso sembrano aver perso il senso della realtà, incantati dai nuovi mezzi disponibili. Sempre più spesso la percezione del mondo si allontana dalla realtà. Ad esempio, è emerso che l’Italia si colloca al decimo posto nel modo per “ignoranza”. Siamo ‘ignoranti’, voce del verbo ignorare, in quanto spesso ignoriamo dati e fatti fondamentali su temi importanti che dovrebbero pilotare le nostre scelte. Ma siamo in buona compagnia; in molti paesi occidentali la “cultura” è patrimonio di pochi. Per cui stiamo diventando tutti diversamente in-colti.
In una situazione come questa non c’è da meravigliarci se altre culture siano viste come un pericolo, portando ad un inevitabile scontro di civiltà come scrisse Samuel P. Huntington nel “The Clash of civilizations and the remaking of World Order“. Questa visione può sembrare molto riduttiva e pericolosa in quanto vede i Paesi occidentali (Europa occidentale, Stati Uniti e Canada) e apparentemente simili fra loro, contrapporsi ad altre civiltà. L’utopia di una civiltà universale, basata sul rispetto della democrazia e dei diritti umani, si scontra con una realtà che vede altre civiltà crescere sia dal punto di vista demografico che tecnologico, di fatto senza sentire nessun desiderio di allinearsi con la nostra.
Uno scontro inevitabile?
Storicamente le civiltà socialmente più forti hanno sempre avuto la meglio su quelle più deboli. A mio avviso, l’errore è quello di non difendere, entro i nostri limiti di estensione, la nostra identità ed i nostri valori. Dobbiamo accettare il concetto che i modelli degli uni non potranno essere universalmente condivisi. Accettare le altre culture come arricchimento culturale ma senza rinunciare alla nostra. La rinuncia della nostra identità millenaria è un indebolimento morale e sociale che, in caso di scontro, non potrà essere supportato da nessuna tecnologia.
Rapporto differenze culturali ed instabilità sociale
La relazione tra differenze culturali ed instabilità è quindi intimamente legata. Gli esseri umani si definiscono animali “intelligenti” che hanno sviluppato comportamenti sociali in base alla necessità di mantenere la nostra specie. Fondamentalmente noi avremmo bisogno solo di cibo per nutrirci e riprodurci. A causa della nostra capacità di elaborare abbiamo reso la nostra vita animale decisamente più gradevole e fantasiosa, siamo stati in grado di sviluppare dei modelli sociali e società sempre più complesse sulla base di relazioni e scambi interpersonali.
L’istinto iniziale di sopravvivenza del gruppo ci ha portato alla competizione da cui la necessità di rapportarci agli altri e, in alcuni casi, di combatterci. Quando l’intelligenza ha avuto la meglio sull’istinto, si è arrivati agli scambi reciprochi ed al commercio fino a quando gli interessi sono andati oltre … il lecito.
Non ho intenzione di descrivere processi che tutti voi conoscete molto bene, ma quello che sto sottolineando è che ciò che avviene ogni giorno non è che la logica conseguenza dell’evoluzione della nostra specie.
Il problema è che la domanda di un futuro sempre migliore per tutti si scontra con le diverse realtà. Gli esseri umani stanno crescendo in numero e, a causa dell’allungamento della vita, ci aspettiamo di avere una popolazione composta al 50% da adulti prima del 2050. Un numero numero di persone che richiederanno sempre più cibo e beni per sopravvivere. La lotta per le risorse sarà sempre più aspra, poco importa se mascherata da dissidi sociali o religiosi, la causa sarà la stessa, il predominio sulle risorse, e si combatterà ancora una volta sul mare.

Raffigurazione della battaglia di Ramses III contro i Popoli del Mare. Gli Egizi riuscirono a sconfiggerli e fermare la loro minaccia nel Delta del Nilo ma numerose città dell’Anatolia e del Levante vennero distrutte e fu la fine dell’impero Ittita e l’arretramento dell’Egitto dalle coste orientali del Mediterraneo. Questo sconvolgimento nella storia del Mediterraneo segna il passaggio tra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro, l’inizio del nuovo millennio prima di Cristo. In seguito, i pirati greci, fenici ed etruschi divennero i protagonisti più importanti della storia del Mediterraneo, fino all’arrivo di Roma.
Premesso quanto sopra, riassumiamo i fattori che influenzano la stabilità mondiale:
– Mancanza di un sistema comune di ricchezza e sanità
La ricchezza comune è un’utopia a causa del concetto stesso semantico di ricchezza. Ciò che è un livello di ricchezza per un Europeo è diverso per un Americano, figurarsi per un Africano o un Orientale. La differenza cresce quando siamo di fronte a popolazioni di altri continenti in cui le diversità ed i rapporti sociali sono ancora più evidenti. Tali diversità sono ancora maggiori nel campo della sanità. I sistemi sanitari sono molto diversi e nei Paesi più poveri esistono ancora persone che muoiono per una normale influenza. Il costo dei farmaci è troppo alto per la maggior parte dei paesi africani ed il livello di mortalità infantile è inaccettabile. L’attuale pandemia di COVID 19 sta portando alla luce come anche nei Paesi occidentali esistano differenze notevoli sulla gestione della sanità.
– Tecnologia e comunicazione
Il recente pensiero occidentale vede la tecnologia come panacea futura di tutti i problemi. La tecnologia può fornire un effetto catalizzante più veloce ed economico nel campo dell’istruzione ed è in grado di permettere una vita migliore e sviluppando la qualità dei servizi e riducendo i costi sociali. Tuttavia, richiede materiali che sono sempre più scarsi e crea la necessità di approvvigionarsi in zone dove questi sono ancora disponibili. La maggior parte di questi paesi sono socialmente instabili, dove esistono differenze sociali abissali tra una élite che garantisce i rapporti tra i Paesi più evoluti e la maggior parte del cosiddetto terzo mondo. Potremmo forzatamente parlare di una neo colonizzazione da parte dei paesi del mondo più sviluppati ma molti se ne risentirebbero. Di fatto ciò avviene, basti pensare alla cinesizzazione dell’Africa che di fatto sta mutando gli equilibri politici attuali.
– Globalizzazione
Nata come un sistema globale di benessere basato sull’allargamento delle relazioni economiche, di fatto ha mostrato un lato oscuro. La globalizzazione ha portato la televisione satellitare in villaggi la cui economia si basava da millenni sull’agricoltura e la pastorizia, ha contribuito a creare falsi miti che sono stati rapidamente acquisiti dai giovani tramite i mass media. Questo ha causato dissidi interni tra le generazioni e lo sviluppo di sentimenti ostili verso i Paesi occidentali visti come schiavi del male, corruttori di valori secolari e sfruttatori delle riserve locali, sfociati nel terrorismo o nella pirateria. La globalizzazione non solo ha arricchito le fasce alte del mondo, rendendo le altre sempre più povere ma ha contribuito a creare nuove instabilità locali, generando la migrazione di grandi masse di disperati verso lidi ritenuti migliori e seminando radici di odio contro il nostro modo di vivere.
– Risorse naturali
Quello delle risorse naturali è un fattore di instabilità molto sensibile e spesso frainteso. Quando parlo di risorse naturali non mi riferisco solo al petrolio. La maggior parte delle persone è ossessionata perché dipendiamo dai combustibili fossili per le esigenze di base come il riscaldamento, la produzione di materiali plastici, il trasporto delle merci prime industriali. In realtà di petrolio ne esiste ancora moltissimo, potremmo dire che ci sono ancora risorse per secoli. E’ più probabile che sia invece l’acqua ad esaurirsi prima dell’oro nero.
Riuscite a immaginare un mondo senza acqua? La mancanza di acqua significherebbe nessun cibo, nessuna pulizia, nessuna trasformazione industriale, la fine di tutto. Per assurdo la maggior parte delle condutture idriche europee sono obsolete e stiamo perdendo miliardi di tonnellate di acqua ogni giorno. Inoltre, l’inquinamento antropico sta minando le falde acquifere e la più grande riserva del pianeta, il mare.
– Cambiamenti climatici
Il cambiamento climatico causa effetti visibili in tutto il pianeta. Nel 2016 la temperatura dell’acqua del mar Mediterraneo è stata superiore di 4 gradi rispetto alla media. E’ un dato di fatto che il clima stia cambiando molto velocemente in tutto il pianeta. Quale è la causa? La risposta più facile è l’enorme e crescente rilascio di CO2 in atmosfera post industrializzazione. In realtà ci sono una serie di fattori concomitanti che dobbiamo ancora comprendere pienamente. Ad esempio, dalle analisi dei carotaggi profondi dei ghiacciai si è scoperto che l’aumento delle temperature non è sempre stato legato all’azione antropica. Certo dall’era industriale l’Uomo ha contribuito al suo aumento ma gli scienziati sanno che nelle Ere passate, quando la specie umana non esisteva ancora, avvennero variazioni altrettanto significative, se non maggiori, dei livelli di CO2 in atmosfera e che, in certi casi, portarono ad estinzioni di massa.
Ad esempio, i livelli di CO2 furono maggiori quando il primo animale uscì dal mare e strisciando raggiunse la terra ferma. Premesso questo, la domanda che ci dovremmo porre è come affrontare efficacemente i cambiamenti climatici. Una domanda attualmente senza una soluzione unica. Se poco possiamo fare per mitigare il loro effetto, possiamo però agire sulla salvaguardia dell’ambiente con un approccio coerente, sostenibile e consapevole.

La foto del NOAA Pacific Islands Fisheries Science Center mostra rifiuti galleggianti nella baia di Hanauma Bay, Hawaii. Si ritiene che circa 270,000 tons di plastiche stanno galleggiando negli oceani del mondo. La foto è stata pubblicata il 10 12 2014, sulla rivista scientifica PLOS ONE. (AP Photo/NOAA Pacific Islands Fisheries Science Center)
Tutti questi fattori troveranno un teatro di scontro negli oceani, storicamente vie di sviluppo e diffusione per il benessere del pianeta. Da qui la necessità di preservare il mare per evitare che diventi lui stesso un fattore di instabilità, subendo un attacco continuo e avventato da parte dell’Uomo. Va compreso che se il mare morirà, soffocato dalle plastiche e dagli effetti degli inquinanti, si trasformerà presto in una enorme pozza maleodorante e non assolverà più ad una sua fondamentale funzione, il controllo del clima del pianeta. Se sfruttato eccessivamente, in maniera non sostenibile, le popolazioni costiere non troveranno più sostentamento, come è avvenuto in Somalia generando la recrudescenza della pirateria. Ciò comporterà enormi migrazioni di massa che nessun muro potrà mai fermare, si svilupperanno fenomeni criminali antichi e mai completamente sopiti come la pirateria che mineranno le economie marittime degli Stati. Le nazioni si combatteranno nuovamente per il controllo delle rotte a discapito della libertà del mare e sarà l’inizio della fine della nostra specie.
Che cosa possiamo fare?
Abbiamo descritto le cause dell’instabilità, che portano a guerre e conflitti. Le soluzioni sono molteplici che richiederebbero da parte di tutti una visione globale di come risolverle. ma questo sappiamo che, per ragioni di interessi diversi, non è purtroppo possibile. Vediamo solo brevemente alcune azioni che coinvolgono la sicurezza marittima. Sarà necessario ridurre le immissioni in mare di inquinanti (dalle plastiche ai prodotti di scarto delle lavorazioni) per evitare fenomeni di alterazione chimico fisica degli oceani. Nel contempo regolare le attività di pesca combattendo l’overfishing e le manifestazioni criminali in mare. Compiti semplici da citare ma complessi da attuare viste le dimensioni degli oceani e la disponibilità di mezzi di controllo. In estrema sintesi dovremo mantenere, nel rispetto del diritto internazionale, la sicurezza delle rotte. E quest’ultimo aspetto, nel III millennio, potrà essere ottenuto solo mantenendo delle forze aeronavali credibili e cooperanti fra di loro. Ma di questo parleremo più approfonditamente in un altro articolo.
Andrea Mucedola
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Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
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