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livello elementare.
ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: STATI UNITI
parole chiave: Trump, policies
Una nuova alba o un nuovo tramonto?
Le polemiche in merito alla elezione di Donald Trump, 45esimo Presidente degli Stati Uniti, non si sono ancora dissipate e, quotidianamente, vengono pubblicati dalla stampa internazionale nuovi articoli sulle sue presunte azioni per modificare radicalmente le politiche perpetuate fino ad oggi dal suo predecessore.
Se per noi Europei un cambio di regime così drastico possa essere un bene o un male, ritengo, sia ancora presto da dirsi e non mi va di entrare in questo gioco di specchi, di mezze verità, dove tutti hanno ragione e nessuno ha mai sbagliato. Proviamo a fare una valutazione.
La situazione interna americana è critica
Un enorme gigante che sta soffrendo alle radici e sta cercando di ricostruire un suo ruolo di guida mondiale in un mondo che sta diventando sempre più multipolare. Di fatto, negli Stati Uniti si assiste a uno strano palcoscenico dove tutti dicono il contrario di tutto, non considerando che il benessere deve essere misurato non dalla floridezza dei conti in banca ma dai servizi che si danno ai cittadini.
I danni fatti dalle politiche estere dei Governi precedenti hanno causato molti dei problemi che stiamo subendo oggi e la candidata Hillary Clinton, di fatto non persuasiva nemmeno agli occhi del suo elettorato, ne ha infine pagato le conseguenze (forse i Democratici avrebbero dovuto cercare un candidato più convincente?). Basta girare per gli States per vedere, specialmente nelle grandi città, tanta povertà ed incertezza, un tempo non così percettibile.
Trump, miliardario di successo, incurante dell’opinione pubblica, non è sicuramente un personaggio simpatico a molti; è stato definito narcisista, arrogante, difensore spesso dell’indifendibile, ma piace a molti americani che vedono in lui la possibilità di risalire la collina da cui sono scivolati a causa di politiche economiche interne discutibili.
Trump fa leva su valori semplici che sono facilmente condivisibili dal ceto medio: difesa della tradizione, famiglia e libertà personale e di scelta. Si può condividere la sua opinione negativa sulla cieca fiducia per la globalizzazione, un tempo ritenuta dai suoi predecessori democratici la panacea di tutti i mali del pianeta e foriera di prosperità per tutta l’Umanità. Di fatto, essa ha creato maggiori divari fra i Paesi fornendo ampi margini di guadagno solo alle lobby multinazionali, causando false speranze agli abitanti di zone depresse.
Il discorso sarebbe molto lungo ed articolato e meriterebbe una trattazione più esaustiva. Sebbene queste posizioni, se mantenute, continueranno ad influenzare le politiche marittime del futuro a livello globale, l’argomento che vogliamo trattare oggi sono le politiche ambientali del nuovo Presidente che, in campagna elettorale, mostrarono una forte differenza di vedute con quelle della Clinton.
Il suo rifiuto di accettare prove concrete sui cambiamenti climatici lascia perplessa tutta la comunità scientifica mondiale.
Il clima ha un andamento periodico che prevede in alternanza periodi di freddo estremo (glaciazioni) ad altri di siccità. Dalla analisi dei valori di CO2, si è valutato che l’apporto antropico, dall’era industriale ad oggi, sia stato significativo come elemento catalizzatore del cambiamento climatico, Gli scienziati ritengono che politiche condivise di controllo delle emissioni potrebbero mitigare questo cambiamento e dare un respiro al pianeta.
La loro opinione non sembra però essere condivisa dalla nuova amministrazione. Che si tratti solo di politica elettorale o che Donald Trump ci creda veramente in quello che dice, è ancora da vedersi. Quello che lascia sconcertati è che molti americani sembrano credere veramente alla sua politica.
Il celebre giornalista Dan Rather ha affermato che l’amministrazione Trump sta professando politiche ambientali che mettono in serio pericolo la risposta statunitense al cambiamento climatico e minacciano di cambiare la direzione fondamentale della ricerca scientifica negli Stati Uniti.
Il nuovo staff ha più volte sottolineato che sta cercando un modo di fare un passo indietro sull’accordo di Parigi. Sono dichiarazioni che ci lasciano molto perplessi. Valerie Volcovici e Alister Doyle (fonte Reuters) hanno affermato che Trump è alla ricerca di modi rapidi di recesso da un accordo globale per limitare il cambiamento climatico mettendo in crisi il sostegno internazionale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.
Dal 7 novembre si è aperta a Marrakech la ventiduesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (COP 22, COP sta per “conferenza delle parti”), alla quale stanno partecipando fino al 18 novembre più di 20.000 persone, in rappresentanza di 196 stati e centinaia di imprese, ONG, scienziati, enti locali, popolazioni autoctone e sindacati. Questo grande evento è organizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e previsto dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite (Accordi di Rio/il trattato ambientale internazionale che ha come principale obiettivo quello di ridurre le emissioni dei gas serra, nell’ottica di un possibile riscaldamento globale).
Segue la conferenza delle parti 21, più conosciuta come Accordo di Parigi, che fu poi adottato il 12 dicembre 2015 segnalando l’inizio di una nuova era basata su una risposta globale per mitigare i cambiamenti climatici del Pianeta. I Paesi firmatari si accordarono per effettuare delle riduzioni significative dell’emissione dei famigerati gas serra, proponendo un meccanismo di monitoraggio.
Un accordo formalmente importante che è ancora in fase di ratifica da parte di molti Stati … ma si sa che senza la ratifica non c’è un impegno vero. E’ importante comprendere che tale accordo fu raggiunto tenendo conto delle gravi implicazioni sulla salute umana derivanti dall’aumento delle temperature stabilendo il diritto alla salute dell’Umanità attraverso l’assicurazione di fattori primari quali l’acqua potabile, necessaria anche per un’igiene adeguata, e le risorse alimentari.
Ma quale sarà la posizione statunitense dopo che Trump, in campagna elettorale, aveva definito il riscaldamento globale una bufala e promesso di ritirarsi dall’accordo di Parigi?
Pur riconoscendo che l’acqua sia un fattore fondamentale per il futuro, i proponimenti di Trump in politica energetica si distolgono in maniera fondamentale dalla road map del suo predecessore. Sembrerebbe che la nuova Amministrazione voglia recedere dalla convenzione del 1992 su cui iniziò questo processo o addirittura emettere un ordine presidenziale che cancelli la firma degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. Ciò che Trump vorrebbe fare è di puntare sulle industrie del carbone e del petrolio degli Stati Uniti abbandonando il piano del presidente Barack Obama, da lui considerato avventato, di ottemperare al protocollo di Parigi tagliando le emissioni di gas serra del 26-28 % rispetto ai livelli del 2005 entro il 2025.
Per memoria, l’accordo di Parigi fu raggiunto con la firma di quasi 200 nazioni nel mese di dicembre e formalmente ratificato da ben 109 paesi i quali sono responsabili del 76% delle emissioni di gas che influenzano l’effetto serra. L’uscita degli Stati Uniti dall’accordo toglierebbe circa il 18% a questo potenziale vantaggio.
Va sottolineato che il rispetto dell’accordo non risolverebbe certamente il problema delle emissioni totali ma darebbe un contributo non indifferente al rallentamento dell’aumento delle temperature. In caso contrario, gli scienziati ritengono che gli effetti sarebbero catastrofici provocando estinzioni di massa di animali e piante, ondate di calore e siccità, inondazioni a causa sia di manifestazioni meteorologiche estreme sia dell’innalzamento del livello del mare che porterebbero ad un allagamento di vaste aree geografiche. Su questo ultimo punto va fatta una riflessione geo-economica. La perdita di vaste aree, attualmente devolute alla agricoltura, causerà migrazioni di massa numericamente importanti (si è calcolato di circa 500 milioni di persone solo in Asia) con conseguenti aperture di nuove aree di crisi geopolitiche.
Trump, alla domanda sulla sua politica ambientale, in campagna elettorale, rispose: “We’ll be fine with the environment. We can leave a little bit, but you can’t destroy businesses”.
La frase si commenta da sola con la parola business ma purtroppo l’emergenza climatica non è una bufala. Se il business deve essere il solo fattore guida per il futuro, abbandonando politiche di crescita sostenibile, allora sarà il caso di dire “ God Save America and … the Planet”.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.