I giovani subacquei apprendono sin dal primo corso il funzionamento degli erogatori ovvero di quei meccanismi che riducono la pressione del gas di respirazione e forniscono al subacqueo una pressione prossima a quella dell’ambiente per poter respirare sott’acqua. In questi dispositivi il gas viene fornito a richiesta, con l’inspirazione, o con un flusso costante all’interno del casco o di maschere speciali. Nel primo caso, una valvola “a domanda“ rileva quando il subacqueo inizia l’inalazione e gli fornisce il gas che viene portato alla pressione ambiente attraverso delle riduzioni della pressione tramite due stadi (primo stadio attaccato alla bombola e secondo stadio in prossimità del boccaglio). Grazie all’erogatore è quindi possibile respirare l’aria o i gas compressi contenuti nelle bombole ad alta pressione durante le immersioni.
Storia
La storia dell’erogatore incominciò quasi due secoli fa, nel 1838, quando il brevetto del primo dispositivo fu registrato in Francia. Il 14 novembre 1838, il dottor Manuel Théodore Guillaumet di Argentan depositò la richiesta di un brevetto per uno strumento di somministrazione di aria composto da due tubi; il subacqueo riceveva l’aria dalla superficie attraverso dei tubi. L’aria arrivava ad una valvola domanda posizionata sul dorso del subacqueo e da lì inviata tramite un altro tubo al boccaglio. Il gas esalato veniva scaricato al lato della testa attraverso un secondo tubo. L’innovativo strumento fu testato da una commissione dell’Accademia Francese delle Scienze ma non vi fu un grande interessamento. Di fatto, il 19 giugno 1838 William Edward Newton depositò a Londra un brevetto (no 7695: “Scafandro”) relativo ad una valvola a domanda funzionante con un diaframma e due tubi ad uso dei subacquei. Si ritiene che Newton depositò il brevetto a nome di Guillaumet che forse non riusciva a trovare sufficiente sostegno in Francia.

l’apparecchio di Denayrouze Rouquayrol
In seguito, nel 1860, un ingegnere minerario di Espalion (Francia), Benoît Rouquayrol, inventò un nuovo sistema a domanda collegato ad un serbatoio d’aria di ferro per far respirare i minatori nelle miniere allagate. Rouquayrol chiamò la sua invenzione régulateur (regolatore). Fu nel 1864 che l’ingegnere, dopo aver incontrato un ufficiale della Marina Imperiale francese Auguste Denayrouze, incominciò ad adattare questo congegno ad uso di un dispositivo per le immersioni. Insieme i due inventori ne realizzarono due modelli basati sul modello del 1860. Il primo fu denominato a “bassa pressione” (8 e 25 litri) e veniva alimentato con l’aria da una pompa. Il sistema poteva essere impiegato sia in ambiente marino che minerario. Il secondo modello, detto “alta pressione” (35 litri), era autonomo grazie ad un’alimentazione di aria pressurizzata e con una autonomia di mezz’ora a 10 metri di profondità. Il 27 giugno 1864 fu aggiunto al corredo del sommozzatore uno scafandro di tela gommata (la prima tuta subacquea) disegnato da entrambi i partner. Il brevetto includeva una piccola campana (elmo) che si riempiva di aria su richiesta del subacqueo.
Nel 1865 Rouquayrol e Denayrouze scoprirono che il sistema della campana non era sufficiente a proteggere gli occhi del subacqueo e che il loro primo progetto (con clip naso e senza protezione per gli occhi) doveva essere completamente abbandonato a favore di un sistema per proteggere gli occhi subacqueo. Progettarono una maschera facciale di rame adattabile alla muta e soprannominato “groin”, ovvero muso, a causa della sua strana forma. L’aria dal regolatore entrava nella maschera attraverso un boccaglio ed il gas veniva scaricato attraverso una valvola manuale di non ritorno. Furono brevettati tre modelli di questo strano elmo, passando da uno a tre e infine quattro oblò, ma le difficoltà individuate dai palombari portarono Auguste Denayrouze, nel 1866, a sostituirlo con un elmo corredato da un boccaglio ed una valvola di scarico per l’aria. Sebbene l’apparato Rouquayrol-Denayrouze fu prodotto in serie e, a partire dal 1865, acquisito come standard dalla Marina Imperiale francese, non fu mai del tutto accettato dai subacquei francesi a causa della sua scarsa sicurezza e autonomia.
Nel 1907, un tecnico della ditta tedesca Dräger, Hermann Stelzner prese spunto dal respiratore con cartuccia alcalina e dal pallone per la respirazione artificiale prodotti dalla stessa ditta per sviluppare un apparato di respirazione subacquea per gli equipaggi dei sottomarini sinistrati. Nel 1912 Dräger diffonde il primo respiratore subacqueo portatile e indipendente dal luogo di utilizzo. Ciò che rende veramente speciale questo apparecchio è il fatto che offre per la prima volta agli esseri umani la possibilità di muoversi liberamente sott’acqua per lunghi periodi di tempo. Di fatto, fino a 40 minuti. Il tubo dell’aria viene utilizzato per collegare il sommozzatore con un’imbarcazione di appoggio, la zavorra viene sostituita da due bombole di ossigeno e un assorbitore di anidride carbonica.
Arriviamo al 1926 quando ancora due francesi, Maurice Fernez e Yves Le Prieur, brevettarono un erogatore a flusso costante (non con valvola di domanda) che utilizzava una maschera gran facciale. L’idea nacque nel 1925, quando il comandante Yves Le Prieur assistette ad una dimostrazione che Maurice Fernez aveva fatto di uno dei suoi apparecchi respiratori subacquei, rifornito di aria dalla superficie tramite una pompa. L’innovazione era di sostituire il sistema pompa–tubo di respirazione con una bombola di aria compressa, la stessa utilizzata da un certo Michelin (si proprio lui) per il suo kit di riparazione dei pneumatici delle autovetture. Questo sistema forniva un fattore fondamentale per il subacqueo … l’indipendenza dalla superficie. Nel 1931 Fernez-Le Prieur brevettarono questo sistema per le immersioni sostituendo gli occhiali e la clip per il naso di Fernez con una piccola maschera finestra. La novità di Le Prieur fu quell’erogatore manuale (chiamato manodétendeur) che veniva accoppiato ad una bombola di aria compressa. Il sistema a circuito aperto e flusso costante poteva fornire aria per due subacquei ad una pressione costante, controllato manualmente fornendo un’autonomia di 20 minuti a 7 metri e di 15 minuti a 15 metri.
Nel 1932 il comandante Angelo Belloni perfeziona l’erogatore della Draeger e, nel 1935, crea un autorespiratore ad Ossigeno (circuito chiuso) con due ore di autonomia: il “49″ e, con la collaborazione di Toppat, Tesei e Sorrentino, il mitico “50″. Belloni, con l’aiuto di Teseo Tesei, portò l’autonomia dell’autorespiratore da venti minuti a qualche ora (lo stesso Tesei rimase per tre ore e un quarto in immersione per testarlo) e soprattutto lo rese più affidabile e nel luglio 1936 venne approvato l’autorespiratore a lunga autonomia 49/bis poi impiegato dai reparti speciali della Regia Marina. Se vogliamo, la progettazione dei primi sistemi a circuito chiuso risaliva al 1876 dall’ingegno di Henry Fleuss, poi sviluppato nel 1889 sia dall’azienda germanica Dräger che dall’americano Charles “Swede” Momsen e dal britannico sir Robert Davis (quello delle maschere Davis utilizzate per le fuoriuscite dell’equipaggio da sommergibili in avaria). Dal 1939, il pioniere austriaco delle immersioni subacquee e regista Hans Hass iniziò a sviluppare l’immediato precursore degli autorespiratori a ciclo chiuso per immersioni subacquee poi impiegati dalle marine militari di tutto il mondo. Nel 1939 il dott. Lambertsen brevettò un autorespiratore ad ossigeno (il Flatus) usato dai sommozzatori della Marina americana. L’apparato ad uso navale fu ideato sulla base dell’apparecchio di respirazione per il soccorso dei minatori nelle miniere invase da gas asfissianti. Tra il 1941 ed il 1944, durante la seconda guerra mondiale, i subacquei italiani furono artefici di imprese memorabili utilizzando gli Auto Respiratori ad Ossigeno (ARO), una tecnologia di respiratori a circuito chiuso che in seguito fu utilizzata anche dagli inglesi per affondare la nave tedesca Tirpitz.
fine I parte
Andrea Mucedola
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